Italianissime ragioni

“Storia della mia gente” è l’opera eclettica di Edoardo Nesi, uno scrittore-imprenditore che ha vinto il premio Strega 2011 (Bompiani, 2010).
Nesi è un romanziere che fino al 2004 ha fatto l’imprenditore nell’azienda di famiglia in provincia di Prato (negli ultimi anni era diventato per necessità un “imprenditore no-profit”). Questo libro ai confini tra i diversi generi letterari, rappresenta la rabbia e l’amore di un industriale di provincia che descrive il passaggio dalla tradizione industriale italiana ai tradimenti reiterati dei politicanti.
La narrazione autobiografica e lievemente romanzata, offre contributi illuminanti come questo: l’IRAP è diventata “un’invenzione infernale che ti costringe a pagare non in base all’eventuale utile conseguito, ma in base al fatturato che realizzi e al numero dei dipendenti che hai e agli interessi che paghi alle banche e persino alle perdite sui crediti che ti tocca sopportare; una tassa vecchia nata con il giusto intento di colpire i guadagni degli evasori e che oggi massacra le aziende in difficoltà e viene sentita come l’ingiustizia suprema poiché si è obbligati a pagare le tasse anche quando si perde davvero” (p. 63). E io aggiungo che questa tassa è anche la concausa della disoccupazione, del lavoro nero e del precariato (nei vari modi per evitare i contratti dipendenti, comprese le partite Iva forzate). Questo perché alza il costo del lavoro a livelli quasi insostenibili.
Comunque Nesi racconta con ludico realismo e lucido pessimismo la sua Prato invasa dai cinesi e “cosa si prova a diventare parte della prima generazione di italiani che, da secoli, si ritroveranno a essere più poveri dei propri genitori”. Per Nesi il “Made in Italy”, di pessima qualità rischia di trascinare tutta l’Italia in mezzo alle sabbie mobili e aggiunge: “Anche a quei buffoni degli stilisti andrei a chiedere aiuto: loro che ci imponevano lo sconto sul tessuto e poi rivendevano i cappotti a dieci volte il loro costo; loro che cianciavano tanto del Made in Italy e poi andavano a produrre i loro cenci in Cina, e quando qualcuno glielo faceva notare si incazzavano e dicevano che, però, erano stati concepiti in Italia” (in moltissimi casi si trattava degli stessi stilisti non più giovani che hanno fatto carriera anche grazie ai consigli e alla qualità dei tecnici e degli industriali italiani).
Quindi, se anche in Italia si affermerà l’ideologia della lotta estrema sul prezzo del prodotto finale, senza difendere la qualità vera, si rischia di perdere un patrimonio di conoscenze artigianali e industriali affinate nei secoli di manifatture pregiate italiane. E le aziende e le università che impediscono ai giovani di dirigere e formare, è come se macellassero le vacche incinte, pur di guadagnare qualcosa subito e di risparmiare le spese per il mangime e il mantenimento dei vitelli.
Così siamo arrivati fino al punto che i cinesi che si sono installati a Prato possono produrre il loro vestiario “Made in Italy”, etichettato e appioppato a tutto il mondo, anche evadendo le tasse e in molti casi schiavizzando gli operai. E pure io sono dell’idea che non ci può essere concorrenza leale “col braccio economico di una dittatura” che finanzia il dumping in troppi paesi, per troppo tempo.
Morale della favola italo-pratese-cinese: gli stilisti si approfittano del lavoro nero cinese; troppi pratesi pretendono di mandare avanti le loro aziende senza investire tempo e denaro in ricerca e sviluppo o nel settore commerciale e marketing; i politici italiani non conoscono il paese dove vivono, perché gozzovigliano in Parlamento e si inventano la stronzata burocratica del foglio di via nei confronti degli stranieri irregolari, che non manda via nessuno e che rimette in libertà tutti (liberi di lavorare in nero e di rubare il pane a italiani e stranieri che vorrebbero lavorare in regola).
Di certo questa economia nazionale anoressica, figlia del capitalismo nazionale familista e della perversione finanziaria internazionale, potrebbe rinascere dopo un salutare coma artificiale di resettaggio (il coma artificiale viene utilizzato per ridurre i danni da shock e anche come terapia estrema della tossicodipendenza). Purtroppo “L’istinto dei burocrati è quello di frammentare le questioni in parti separate, ma l’interdipendenza dei sistemi ecologici ed economici non rispetta questi artificiosi confini amministrativi e istituzionali” (Neil Carter, docente di scienze politiche, www.york.ac.uk). La politica nazionale e non, dovrà quindi lasciare più spazio a team di tecnici.
Ad esempio, per italianissime ragioni (di merda), non si promuove la straordinaria scoperta delle reazioni piezonucleari da pressione ultrasonica e meccanica: http://nuovonucleare.splinder.com, www.neo-energy.it. Queste reazioni producono energia non radioattiva e non inquinante a costi irrisori, permettono delle produzioni chimiche accessorie a costi molto bassi e consentono la decontaminazione delle scorie radioattive. Questa scoperta da Premio Nobel viene ancora ignorata dalla ignobile e ignorante classe dirigente italiana (compresi i pluriprezzolati direttori della carta stampata). Del resto anche il bolognese Guglielmo Marconi dovette “riparare” all’estero per potersi guadagnare da vivere con la commercializzazione dei brevetti della radio. Date le attuali mafie politiche, mediatiche, finanziarie e tecnologiche chissà chi svilupperà a livello industriale gli inestimabili brevetti detenuti dal CNR. Forse l’India, forse un paese del Nord Europa.
Le vecchie e pulciose volpi delle classi dirigenti italiane perdono il pelo, ma non l’odioso e costoso vizio di favorire lo status quo al servizio delle classi finanziarie familiste e parassitarie. E soprattutto in Italia, “la scienza ancora deve combattere per affermare il suo ruolo come arbitro oggettivo fra le opzioni politiche” (Neil Carter). Dunque cari scienziati è giunta l’ora di creare una grande Web-Tv che operi al di fuori dei club mediatici e delle università più o meno politicizzate.
Nota – Agli imprenditori in difficoltà segnalo www.sosazienda.ch. Mentre ai lavoratori stranieri segnalo www.taleaweb.eu e http://cisiamo.eu. E a tutti voi faccio una domanda: “Quali livelli di invivibilità ha raggiunto un paese quando i giovani più istruiti e meritevoli, e i piccoli e medi imprenditori più industriosi scelgono di andare a lavorare all’estero per vivere o sopravvivere?”.
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