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Israele-Palestina | Parents Circle: "Non ci conforta portare fiori sulle tombe dei figli"

di Antonietta Chiodo

Il 3 agosto di quest’anno, negli Stati Uniti d’America, si è tenuto un convegno del partito democratico, improntato sulla discriminazione razziale e sulle morti sempre più numerose dei giovani afroamericani nelle strade d’America. Il convegno femminista venne ideato anni fa da Hillary Clinton per dare un’opportunità a tutte le donne del mondo di incontrarsi ed esporre idee e proposte per il futuro di tutte le etnie. Ospite del convegno anche Robi Damelin, co-fondatrice di Parents Circle, un’organizzazione di base formata da famiglie palestinesi e israeliane che hanno perso familiari diretti a causa del conflitto. Qui di seguito riportiamo per intero l’intervento che ha risuonato dal palco, lasciando attonita l’intera platea:

Guardando le madri afro-americane in lutto sul palco della Convention democratica, ho pensato solo a quanto noi madri, che abbiamo perso figli, abbiamo in comune, a prescindere dal colore, dal credo o dall’identità nazionale. Ho pensato che tutte le madri in lutto del mondo dovrebbero alzarsi insieme e dire “Basta! Fermate le uccisioni. Lasciate che i nostri bambini vivano la loro vita. Non possiamo continuare con il terribile compito di seppellire i nostri figli e le nostre figlie e proseguire la nostra maternità occupandoci delle tombe e fingendo che piantare fiori e piante porti conforto”.

Vi assicuro, come una di coloro che hanno perso un figlio, che il dolore non se va mai via. Sì, al mattino mettiamo su la nostra maschera e andiamo fuori nel mondo come se fosse ancora uguale, ma sotto questa facciata siamo danneggiate per sempre. La vita assume un tono dolceamaro. Non importa quanti eventi felici accadano, c’è sempre la sedia vuota al tavolo, i nipoti mancati che avremmo avuto, la gioia totale di un matrimonio o di un compleanno o di un anniversario. Impariamo a vivere accanto alla perdita e possiamo scegliere o di morire con il nostro bambino, o di cercare un percorso di vendetta, solo per scoprire che non c’è vendetta per un bambino perso, o in qualche caso di percorrere un cammino di riconciliazione per evitare che ad altri venga strappato il cuore. Scegliere il cammino di riconciliazione mi permette di rinunciare a essere una vittima e di essere libera.

Immagina se alle madri sul palco della Convention democratica nazionale si unissero le madri di poliziotti uccisi nel corso delle recenti violenze. Immagina che con una sola voce urlassero a tutti “Fermate le uccisioni. Cercate l’umanità nell’altro, e urlate, se noi che abbiamo pagato il prezzo più alto possiamo stare qui in piedi davanti a voi nello sforzo di fermare la violenza, allora potete sicuramente farlo anche voi”. Tutte queste madri potrebbero allora sentire uno scopo e forse trovare una ragione per alzarsi al mattino e onorare i loro bambini nel più straordinario dei modi. Potrebbero scegliere non la rabbia ma, oserei dire, l’amore. Potrebbero scoprirsi l’un l’altra attraverso la comprensione e l’empatia.

In qualche modo mi sento qualificata a dire tutto questo, dopo molti anni di lavoro nel Parents Circle – Family Forum. Siamo un gruppo di famiglie palestinesi e israeliane che hanno sofferto la perdita di una persona amata in questo conflitto che avrebbe dovuto finire molto tempo fa. Riconosciamo il bisogno di raccontare la nostra storia personale molte volte, per portare un messaggio di riconciliazione. Non è sempre facile. C’è la violenza, la guerra, le bombe strazianti, l’uccisione di cittadini innocenti da entrambe le parti. Tuttavia, sappiamo di essere qui per cambiare la situazione e che l’effetto dell’onda di empatia può smuovere montagne.

Mi auguro di poter incontrare madri palestinesi, madri israeliane, Madri del Movimento e madri dei poliziotti che hanno perso la vita. Sono sicura che possiamo lavorare insieme per instillare un senso di speranza, che le cose possono essere diverse e che non c’è niente di più importante della santità delle vite umane. Sì, siamo d’accordo, ogni vita conta.

Traduzione dall’inglese di Matilde Mirabella

Questo articolo è stato pubblicato qui

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