Isis e terrorismo, un punto della situazione tra tanta confusione
Se c’è una cosa chiara a proposito dei conflitti attualmente in corso tra la Siria e l’Iraq è che pochi ne hanno un’idea chiara, sia tra la gente comune che tra i parlamentari italiani, come evidenziato dalle domande rivolte a questi ultimi dai giornalisti de Il Fatto. Non c’è molto da stupirsi in effetti, si tratta di una guerra molto diversa da quelle di cui siamo, purtroppo, abituati a leggere, prodotta dall’evoluzione delle guerre civili precedentemente scoppiate in Siria e in Iraq. E si tratta anche di una guerra in cui la religione di riferimento delle parti in causa ha giocato, e gioca, un ruolo fondamentale.
L’Isis, o Isil, non è un fenomeno recente come molti pensano, recente è “solamente” (si fa per dire) la sua proclamazione unilaterale del restaurato Califfato islamico, uno stato transnazionale che ambisce a riunire politicamente tutti i musulmani. Come movimento fondamentalista jihadista, inizialmente affiliato ad al-Qaeda che l’ha successivamente disconosciuto a causa del suo esagerato estremismo (strano ma vero), le sue origini risalgono a circa un decennio fa. Dal punto di vista confessionale si tratta di un’organizzazione sunnita, che agisce in due stati a maggioranza sunnita, come quasi tutto il mondo arabo, ma che sono governati da esponenti di minoranze islamiche: l’alawita Bashar al-Assad in Siria e lo sciita Nuri al-Maliki in Iraq. Dalla caduta di Saddam Hussein non c’è mai stata vera pace in Iraq, si è sempre vissuto in un clima di forte contrapposizione tra le tre comunità principali: le due arabe, sunniti e sciiti, e la comunità curda. Dall’altra parte, in Siria, è invece arrivata l’onda lunga della primavera araba a mettere in discussione la leadership di al-Assad, e come già accaduto altrove la protesta, inizialmente a carattere laico, è finita per polarizzarsi consentendo al fondamentalismo sunnita di dilagare e di conquistare territori, sia in territorio siriano che nella parte confinante di quello iracheno.
Ridurre l’Isis a semplice comunità in cerca di indipendenza politica sarebbe tuttavia un errore. La partita che si sta giocando non è assimilabile a quella che, tanto per rimanere nell’attualità, è attualmente in corso nell’Ucraina orientale, dove la parte russa della popolazione rivendica l’indipendenza e una fetta del territorio nazionale. E non è nemmeno assimilabile al conflitto israelo-palestinese, dove ognuna delle parti mira all’egemonia sull’altra e sui territori palestinesi. L’Isis ha progetti ben più ambiziosi e, soprattutto, pericolosi, ed è disposto a perseguirli con ogni mezzo. L’Isis è integralismo allo stato puro, al centro del suo mirino c’è qualunque cosa che non sia non solo genericamente musulmana, ma specificamente sunnita e araba. Gli altri musulmani vengono risparmiati solo se non sono sospettati di intralciare i loro progetti, perché in caso contrario non si fanno scrupoli nemmeno a radere al suolo le moschee, a prescindere dal fatto che siano frequentate anche da sunniti.
I non musulmani è meglio che se la diano a gambe o avranno due sole alternative: essere sterminati o accettare di convertirsi con la forza, com’è già successo ai cristiani armeni e alla minoranza curda degli Yazidi. E proprio in territorio curdo si sta attualmente muovendo l’Isis, minacciando il genocidio dell’intera popolazione curda che però, dal canto suo, non ha nessuna intenzione di rinunciare al sogno di realizzare finalmente lo stato sovrano del Kurdistan. Fin qui i fatti sul campo.
È chiaro che la recrudescenza del conflitto preoccupa il mondo intero. Gli Stati Uniti stanno intervenendo da qualche settimana in territorio iracheno con bombardamenti contro l’Isis, dando allo stesso tempo sostegno ai civili sia a terra che con lanci di materiale umanitario, e già si parla di possibili interventi militari anche in territorio siriano a fianco di chi, fino a non molto tempo fa, veniva riconosciuto come uno dei peggiori nemici. La posizione dell’Unione Europea è stata espressa in una riunione dei ministri degli esteri ed è quella di non intervenire direttamente ma di sostenere l’invio di armamenti ai combattenti curdi (i peshmerga), decisione fatta propria dal governo italiano che l’ha proposta alle competenti commissioni parlamentari incassandone il parere favorevole. Gli unici a votare contro sono stati l’M5s e Sel, la Lega non ha partecipato al voto, pur essendo favorevole, perché riteneva che fosse necessario discuterne in aula. Più o meno nello stesso senso risulta spaccata l’opinione pubblica che, nel mare della confusione e nel rapido susseguirsi degli eventi, tende ad allinearsi con le opinioni espresse dai rispettivi leader politici e d’opinione.
Non mancano a tratti le polemiche, tra cui forse la più significativa è quella scatenata da un post del pentastellato Alessandro Di Battista apparso sul blog di Beppe Grillo. Un post abbastanza lungo in cui nella prima parte vengono raccontati a grandi linee gli avvenimenti succedutisi in medio oriente, e non solo lì, dallo smembramento dell’Impero Ottomano ai giorni nostri, per poi passare nella seconda a una riflessione sul ruolo degli Stati Uniti e sulle iniziative possibili e inaccettabili. Gli avvenimenti storici sono naturalmente esposti secondo l’interpretazione dell’autore e non senza qualche imprecisione, come quella secondo cui sunniti e sciiti sarebbero due popoli, ma non è su questo che si sono scatenate le reazioni.
Ciò che è stato contestato a Di Battista è principalmente la parte in cui dice di comprendere le ragioni per cui un ribelle possa decidere di diventare un terrorista, magari suicida, individuandole nei bombardamenti messi in atto dall’occidente, Stati Uniti in testa, nonché di ritenere che l’unica soluzione possibile sia nel tentativo di dialogo con i fondamentalisti dell’Isis. Tali affermazioni hanno scatenato cori di condanna da tutte le parti. Alle polemiche Di Battista ha replicato in un post su Facebook in cui lamenta di essere stato linciato mediaticamente per aver semplicemente espresso delle opinioni, sostenendo che la maggior parte di coloro i quali lo accusano non hanno letto quanto ha scritto ma si sono fermati “a una frase letta sul giornale”. Probabilmente su quest’ultimo punto non ha torto.
Naturalmente c’è anche chi, al contrario, difende Di Battista rivendicando il diritto di esprimere un punto di vista diverso sulla situazione e condannando l’invio di materiale bellico nel teatro degli scontri. Tra questi Angelo D’Orsi, che in un articolo su Il Manifesto si spinge fino a una riflessione sul significato da attribuire al termine terrorista definendolo “il rivoluzionario che non ha vinto”, comprendendovi persino i nostri partigiani perché, secondo la sua opinione, dal punto di vista dei nazifascisti dovevano essere visti come tali. Interpretazione che non è piaciuta affatto a un’altra giornalista dello stesso giornale, Giuliana Sgrena, che ha replicato a D’Orsi spiegando che oggi in campo non ci sono rivoluzionari che combattono per la liberazione del proprio paese. C’è gente il cui unico obiettivo è quello di annientare popoli e culti diversi dal loro, e che solo per la realizzazione di questo obiettivo cercano di annettere territorio e di rovesciare poteri costituitisi più o meno democraticamente. Ci sono, in una parola, terroristi islamici.
Tuttavia almeno un punto mette d’accordo sia D’Orsi che la Sgrena: l’invio di truppe e armi non risolve il problema ma rischia di aggravarlo. Noi non sappiamo qual è la soluzione migliore, non abbiamo una sfera di cristallo che possa dircelo e non abbiamo nemmeno la competenza necessaria per poterla esprimere. Forse nemmeno la storia può dare molte indicazioni, perché ad esempio non possiamo sapere cosa sarebbe successo se Hitler fosse stato fermato già all’annessione dell’Austria e dei Sudeti, né sappiamo se oggi le cose sarebbero migliori nel caso in cui gli americani avessero deciso di non combattere e lasciare il campo agli europei.
Tuttavia sembra ardito sostenere che con l’Isis si possa aprire un dialogo. E non per una questione di mero principio, anche se sarebbe già sufficiente, ma perché più semplicementeun integralista non ha nessun motivo per dialogare con i suoi avversari, con i suoi nemici giurati. Diversamente non sarebbe un integralista. E quelli dell’Isis, certamente, lo sono, e pure più estremi di tutti gli altri fenomeni recenti compresa la stessa al-Qaeda. Purtroppo, invece, spesso sembra prevalere nel mondo politico una visione per cui quando si ha a che fare con qualcuno, o qualcosa, che sostiene ideologie a base religiosa occorre mostrare rispetto. Visione decisamente inaccettabile, il terrorismo rimane tale a prescindere dalla sua matrice e, per parafrasare Popper che riteneva intollerabili gli intolleranti, non si può pensare di rispettare chi non ha rispetto per altri che se stesso.
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