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Iran, l’insegnante “nemico di dio” verso il patibolo

La sua richiesta di grazia è stata respinta: il perdono per i “nemici di Dio” non sempre arriva.

 

In Iran, il reato “pigliatutto” di moharebeh (essere in guerra contro Dio, essere nemico di Dio), buono per chi compie azioni armate come per i dissidenti politici, rischia di fare nuove vittime.

Abdolreza Ghanbaripadre di due figli, poeta, insegnante di letteratura nelle scuole superiori e docente all’Università di Scienze applicate Payam-e-Nour a Karaj, ha pubblicato cinque libri e molti articoli su varie riviste e tenuto conferenze un po’ dappertutto nel paese. Molti suoi allievi sono a loro volta diventati insegnanti di scuola, docenti universitari o anche scrittori.

Ma Abdolreza Ghanbari è anche un “nemico di Dio”.

Secondo l’accusa, ha ricevuto e-mail e telefonate dall’Organizzazione dei mojahedin del popolo dell’Iran, un gruppo fuorilegge. Sua moglie, Sakineh Habibi, giura che non è mai stato coinvolto in attività politiche e il suo unico impegno è stato circoscritto all’interno del sindacato degli insegnanti: fatto difficile da smentire, dato che anni fa Ghanbari era stato arrestato, tenuto in carcere per tre mesi prima del processo e poi condannato a sei mesi di sospensione dall’insegnamento e di esilio interno.

Ghanbari è stato arrestato mentre era a scuola, alla fine del 2009, poco dopo la celebrazione del giorno dell’Ashura, trasformatasi in una massiccia protesta contro la rielezione di Mahmoud Ahmadinejad, avvenuta sei mesi prima.

Un mese dopo, il 30 gennaio 2010, il “nemico di Dio” è stato condannato a morte dalla XV Sezione del tribunale rivoluzionario di Teheran, sentenza confermata in appello, il 10 maggio 2011, dalla XXXVI Sezione della Corte d’appello.

La Corte suprema ha poi respinto un ricorso e stesso esito ha avuto, il 28 febbraio di quest’anno, la richiesta di grazia. A quel punto la sua avvocata, Nasrin Sotoudeh, era stata già arrestata e condannata.

Le condanne a morte di persone ritenute “nemici di Dio” per contatti, reali o presunti, coi Mojahedin del popolo, sono una costante del sistema giudiziario iraniano. Gli esiti sono alterni. Nel 2011, Farah Vazahan ha ottenuto la commutazione della pena capitale in 17 anni, che sta scontando nel carcere di Reja’i Shahr. Mohammad Javad Lari, arrestato nel 2009, ha avuto due condanne a morte, entrambe commutate, fino a quando poche settimane fa è stato rilasciato. Sono stati impiccati, invece, Ja’faz Kazemi e Mohammad Ali Haj Aghaei.

Altre tre condanne a morte per lo stesso reato, nei confronti di Mottahareh Bahrani Haghighi, Rayaneh Hajebrahim Dabbagh e Hadi Gheami, arrestati a loro volta intorno all’Ashura del 2009, sono state commutate. Confermate, invece, quelle di Moshen Daneshpour Moghaddam e di suo figlio Ahmad Daneshpour Moghaddam, che restano in attesa dell’esecuzione.

Molti dei “nemici di Dio” condannati per essere in contatto coi Mojahedin del popolo hanno legali di parentela coi rifugiati in Iraq ed erano andati a trovare i loro familiari, che si trovano in condizioni sempre più precarie.

Le condanne sono spesso inflitte, come nel caso di Ghanbari, dal giudice Salavati, il quale fa parte della lista di iraniani colpiti da sanzioni personali da parte dell’Unione europea per violazione dei diritti umani.

Secondo l’ultimo rapporto di Amnesty International sulla pena di morte, nel 2011 in Iran tra esecuzioni ufficiali e segrete si è superata quota 600. Iran Human Rights è arrivata a contarne 676. Quest’anno siamo già intorno al centinaio.

Oltre ai “nemici di Dio” di cui abbiamo parlato, rischiano l’impiccagione tre appartenenti alla minoranza curda (Habibollah Golparipour, Zaniar Moradi, Loghman Moradi), cinque appartenenti alla minoranza araba degli ahwazi(Abd al-Rahman Heidari, Taha Heifari, Jamshid Heidari, Mansour Heidari e a Amir Mo’avi) e Saeed Malekpour, il programmatore di computer già noto ai lettori e alle lettrici del nostro blog.

E se la comunità internazionale, invece di minacciare un rovinoso intervento militare contro l’Iran, additandolo come “nemico del mondo”, si occupasse della sorte dei “nemici di Dio”?

(Ha collaborato Marco Curatolo, presidente di Iran Human Rights Italia)

Questo articolo è stato pubblicato qui

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