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Iran, i vani appelli della direzione delle carceri per fermare la pandemia

“Si richiedono per i prossimi tre mesi 5.400.000 mascherine normali, 100.000 mascherine di tipo N95, 3.600.000 guanti in lattice, 10.000.000 guanti in plastica, 450.000 litri di disinfettante per le mani, 1.000.000 litri di disinfettante per le superfici, 5000 scudi facciali, 5000 occhiali protettivi, 5000 camici protettivi, 300 sistemi di ventilazione dell’aria e 250 macchinari per la disinfestazione”.

Questa è la prima di quattro lettere, trapelate e visionate da Amnesty International, che l’Organizzazione delle prigioni ha inviato a partire dal 25 marzo al ministero della Salute per sollecitare maggiori risorse e prodotti per contrastare la pandemia da Covid-19 nelle carceri iraniane e curare i detenuti contagiati.

La lettera sottolinea anche l’urgente bisogno di fondi per acquistare apparecchiature mediche essenziali, come misuratori della pressione e dei livelli di glucosio, termometri, saturimetri, stetoscopi e defibrillatori.

Le successive lettere portano le date del 12 maggio, del 14 giugno e del 5 luglio. Nelle prime due si lamenta l’assenza di risposte e nell’ultima si sollecita un incontro urgentissimo. Anche questa è rimasta priva di riscontro.

L’attuale direzione dell’Organizzazione delle prigioni fa dunque sul serio, al contrario del precedente direttore, Ashgar Jahangir, non a caso attuale consulente del ministero della Giustizia, che in passato aveva lodato “esemplari” iniziative adottate per proteggere la popolazione carceraria dalla pandemia e aveva proclamato l’assenza di decessi da Covid-19.

Gruppi locali per i diritti umani hanno denunciato oltre 20 decessi per sospetto coronavirus nelle prigioni iraniane.

Notizie ricevute da Amnesty International riferiscono di detenuti con sintomi da coronavirus non visitati per giorni, poi posti in quarantena o in isolamento senza accesso a cure mediche adeguate.

Una prigioniera risultata positiva, Zeynab Jalalian, risulta scomparsa dal 25 giugno 2020. Era in sciopero dalla fame da sei giorni poiché le autorità avevano rifiutato di farla ricoverare fuori dalla prigione di Shahr-e Rey, nella capitale Teheran.

A un’altra detenuta, la difensora dei diritti umani Narges Mohammadi, così come ad altri prigionieri, non è stato reso noto l’esito del tampone.

Tra la fine di febbraio e la fine di maggio, secondo fonti ufficiali, 128.000 prigionieri sono stati temporaneamente rilasciati e 10.000 sono stati graziati. Il 15 luglio è stata annunciata una nuova serie di rilasci.

Da queste misure sono stati esclusi centinaia di prigionieri di coscienza: difensori dei diritti umani, cittadini stranieri o con doppio passaporto, ambientalisti, fedeli di religioni vietate e manifestanti arrestati arbitrariamente durante le proteste del novembre 2019.

La popolazione carceraria è, secondo dati ufficiali, di 211.000 persone, ben oltre la capienza massima dichiarata di 85.000.

Dal mese di marzo, le agghiaccianti condizioni di prigionia e il timore della diffusione della pandemia hanno spinto molti detenuti a intraprendere proteste, scioperi della fame e tentativi di evasione. Le proteste sono state sedate con estrema violenza.

(Nella foto, l’entrata della prigione di Evin)

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