• AgoraVox su Twitter
  • RSS
  • Agoravox Mobile

 Home page > Attualità > Religione > Intesa clericale a Roma per una strada alla “Serva di Dio” simbolo degli (...)

Intesa clericale a Roma per una strada alla “Serva di Dio” simbolo degli integralisti anti-aborto

Scegliere di intitolare una piazza o una strada a una persona piuttosto che a un’altra non è un’operazione neutra: le targhe che costellano le nostre città ci raccontano infatti chi e cosa la politica vuole rendere visibile, portare a esempio, conservare nella memoria collettiva. Non a caso sono poche le donne cui sono intitolate strade e piazze nelle città italiane.

Secondo i dati raccolti dal progetto Mapping Diversity, nei 21 capoluoghi di regione e province autonome del nostro Paese, ci sono 24.572 strade intitolate a persone: solo 1.626 di queste (appena il 6,6%) sono intitolate a donne; se escludiamo le sante, scendono a 959.

A metà strada in questo computo si colloca Chiara Corbella, morta il 13 giugno 2012 e nel 2018 proclamata serva di Dio – prima tappa del processo di beatificazione e canonizzazione – cui l’8 giugno scorso l’Assemblea capitolina si è impegnata a intitolare una strada, una piazza o un giardino.

“La storia, la vita e le opere di Chiara Corbella hanno avuto un’ampia eco a livello nazionale e internazionale”, si legge nella mozione presentata dai consiglieri di Fratelli d’Italia e approvata con 19 voti favorevoli, un contrario e l’astensione dei consiglieri Biolghini, Cicculli, De Santis, Ferrara, Luparelli e Raggi, “a lei sono stati dedicati numerosi servizi giornalistici, pubblicazioni, incontri ed eventi di vario tipo; la sua vita è diventata un esempio per tantissime persone, in particolare tra le giovani generazioni, affermandosi come modello di speranza e amore per la vita e la famiglia; è opportuno che Roma Capitale renda omaggio, a distanza di oltre dieci anni dalla sua morte e in vista della celebrazione del prossimo Giubileo universale della Chiesa cattolica nel 2025, a una giovane donna e madre romana, la cui storia è conosciuta a livello internazionale”.

Ma chi è Chiara Corbella e come va letta questa iniziativa di Fratelli d’Italia?

Chiara Corbella è stata una giovane donna, molto devota, divenuta in seguito alla morte simbolo degli integralisti anti-aborto. Dopo due gravidanze portate a termine nonostante i feti presentassero gravissime malformazioni (entrambi i neonati sono morti poco dopo aver visto la luce), Chiara Corbella scopre di essere di nuovo incinta ma contestualmente si accorge anche di una lesione alla lingua.

Il 16 marzo 2011 si sottopone a un primo intervento chirurgico per asportare il tumore. Per la seconda parte dell’intervento e per iniziare le terapie decide di aspettare la nascita del figlio, che nel frattempo ha scoperto essere completamente sano. Francesco nasce il 30 maggio 2011. Corbella riprende le cure ma muore il 13 giugno 2012.

Nel 2018 si apre la sua causa di beatificazione e canonizzazione. Nessuna sorpresa, soprattutto se si pensa al caso – molto simile – di Gianna Beretta Molla, canonizzata nel 2004.

Se altri laici, sotto il pontificato di Giovanni Paolo II, si sono guadagnati il titolo nel lavoro, nel sociale, nella politica, Beretta Molla (unica donna, tra le molte elevate agli altari da Wojtyla, a non aver preso i voti) lo ha fatto anteponendo la vita che portava in grembo alla cura della propria (per poi morire di complicazioni al momento del parto).

Ecco, la Chiesa fa beati e santi, la politica intitola strade e piazze. Quando le due cose si sovrappongono perfettamente, delle due l’una: o la Chiesa ha cambiato rotta e con il titolo di “santo” indica chi ha dato laicamente lustro al Paese o la politica basa le proprie scelte su elementi che in uno Stato (in teoria) laico non dovrebbero essere rilevanti. Individuare la risposta giusta non è difficile.

Andando al traino della Chiesa e scegliendo di intitolare una strada a Chiara Corbella l’assemblea capitolina ci dice, neanche troppo implicitamente, che l’autodeterminazione è cosa buona e giusta, ma solo quando non turba l’idea di donna, di maternità, di società che ha in mente.

Ci dice, un po’ subdolamente ma neanche troppo, che una donna che scegliesse di fare ricorso all’aborto negli unici due casi ammessi dalla legge 194 oltre i 90 giorni (pericolo di vita della gestante e rilevanti anomalie o malformazioni del nascituro) non farebbe male, ma se scegliesse altrimenti farebbe meglio.

Che questo sia l’orizzonte entro cui si muove l’estrema destra (in Italia e non solo) non è una notizia, per quanto inquietante questo orizzonte sia. Di più inquietante c’è solo che gli altri partiti non abbiano nemmeno tentato di porre un argine, non scorgendo (o facendo finta di non scorgere) nella strumentalizzazione politica di questa tragica storia nessun rilievo problematico.

Ingrid Colanicchia

 

Questo articolo è stato pubblicato qui

Lasciare un commento

Per commentare registrati al sito in alto a destra di questa pagina

Se non sei registrato puoi farlo qui


Sostieni la Fondazione AgoraVox


Pubblicità




Pubblicità



Palmares

Pubblicità