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 Home page > Attualità > Cronaca > Innse: potere ai lavoratori

Innse: potere ai lavoratori

Alla fine i lavoratori dell’Innse ce l’hanno fatta. Magari non sarà stato solo merito loro, ma certamente la loro lotta ha contribuito a trovare un valido acquirente per una fabbrica che era tutt’altro che fallita, come forse qualche speculatore voleva furbescamente asserire, ma in piena capacità produttiva (altrimenti l’acquirente non avrebbe promesso zero tagli ed addirittura ampliamenti di mezzi e produzione), e soprattutto con tanti lavoratori disposti a sacrificare la propria quotidianità pur di lavorare. "Semplicemente" per lavorare.

L’attaccamento alla fabbrica dimostrato da quel centinaio di lavoratori milanesi deve diventare un modello per tutti i lavoratori italiani. Non solo come forma di lotta, che sarà certamente e giustamente emulata da tanti altri lavoratori in un autunno che si preannuncia caldissimo (anche se "qualcuno" si ostina ancora a dire in giro che la crisi è alle nostre spalle e che non c’è da temere per i posti di lavoro), ma come spirito di partecipazione diretta ai destini del proprio luogo di lavoro. La semplice "lotta operaia", infatti, può non bastare: i lavoratori dell’Innse, infatti, hanno creato le giuste premesse, ma ciò non toglie che l’acquirente poteva anche non uscire fuori. E così avrebbero pagato le conseguenze di una scellerata logica speculativa. E d’altronde sono sempre principalmente i lavoratori a pagare.


Non deve essere così. Per questo i lavoratori, visto che i sindacati non si muovono da anni ormai, devono chiedere nelle prossime lotte, oltre alla conservazione del proprio posto di lavoro, anche una forma di partecipazione alle decisioni che determinano il loro destino. Insomma, che sia l’azionariato operaio, o la co-decisione sul modello tedesco (dove per le grandi aziende i lavoratori hanno pari dignità decisionale rispetto alla proprietà, mentre per le piccole aziende tale potere si riduce al 33%), gli industriali devono cominciare a capire che i lavoratori non sono numeri, ma il motore delle loro aziende, e dunque devono avere il diritto di partecipare alle decisioni che li riguardano, o perlomeno di condividerne gli utili, e non solo i fallimenti. Certo, non sarebbe la soluzione di tutti i mali. Anche i lavoratori, e soprattutto i sindacati, quando ci si mettono, riescono a fare il male di se stessi. Ma lo stesso vale, e molto di più, per gli imprenditori: e allora perchè solo loro devono determinare il destino delle imprese?

Pari dignità e rispetto reciproco. Questa deve essere la nuova frontiera della lotta operaia. Ci saranno da battere probabilmente le resistenze di Confindustria, e persino probabilmente di una parte del mondo sindacale che vedrebbe nella co-decisione una collaborazione col "nemico" e una rinuncia alla "lotta di classe". Ma se persino il Ministro del Welfare di uno dei governi più "confindustriali" della storia ha osato qualche tempo fa ipotizzare un simile scenario, forse forse qualche possibilità c’è. La lotta, d’altronde, è dura... Ma non ci deve far paura, no?

 

Commenti all'articolo

  • Di massimo (---.---.---.131) 14 agosto 2009 00:48

    sono totalmente d’accordo con le tesi esposte.
    E mi fa piacere , dopo aver sostenuto, nella mia vita professionale, molte battaglie con lontane e distaccate proprietà finanziarie, che venga sollevato il problema della responsabilità della gestione d’impresa e del suo controllo. Perchè questo è il vero punto critico, vorrei dire la nuova frontiera del ventunesimo secolo. Ridefinire i rapporti operativi e giuridici tra capitale di rischio, finanziamento e lavoro nell’impresa. La soluzione capitalistica classica , in presenza di una forza sindacale coesa ed intelligente, ha discretamente funzionato, fino a quando la proprietà non è stata trasferita dall’imprendtore, che comunque amava la sua azienda e ne voleva lo sviluppo, alla pura finanza che , specie se internazionale, non ha alcun legame con il prodotto, la tecnologia od il territorio, ma si focalizza solo sul valore a breve delle quote azionarie. All’opposto la soluzione marxista leninista di totale pianificazione e controllo statale delle attività economiche ha generato povertà e miseria.
    E’ chiaro che la politica ed i sindacati devono trovare una nuova via nel senso indicato , cioè di un controllo e di una partecipazione sostanziale del lavoro nella gestione di ogni singola impresa, accettando d’altra parte una corretta ed equa remunerazione del capitale investito.
    Temo però che le forze di di sinistra e qualche sindacato come la CGIL non saranno mai disponibili ad accettare che, anche in una situazione pienamente sotto controllo da parte del lavoro e con la certezza che nessuno si stia segretamente arricchendo, in caso di crisi di mercato, si debbano accettare sacrifici retributivi e di condizioni di lavoro. E di certo gli attuali imprenditori non sarebbero entusiasti di dover essere trasparenti e chiari con tutti i dipendenti, circa la gestione aziendale.
    Temo quindi che sia un sogno, ma è un bel sogno e val la pena di insistere. Specialmente i giovani dovrebbero porselo come obiettivo primario.
    Ed alle prossime elezioni sostenere in massa chi presenterà il miglior progetto di una nuova struttura di relazioni aziendali e d’impresa. Queste finalmente sarebbero discussioni serie.
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