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India, la lotta al Covid-19 lascia indietro i più poveri

Il 24 marzo il primo ministro indiano ha annunciato tre settimane di confinamento nazionale, ai sensi della Legge sulla gestione dei disastri del 2005, per contrastare la pandemia da Covid-19.

Amnesty International India ha lanciato l’allarme: se non verranno prese misure straordinarie, milioni di lavoratori migranti, di poveri e di emarginati non avranno più accesso a servizi essenziali.

Secondo le Statistiche ufficiali per il biennio 2018-19, il 93 per cento della forza lavoro dell’India è impiegata nel settore informale, caratterizzato da limitatissime misure di sicurezza sociale.

Dall’inizio del confinamento, milioni di questi lavoratori hanno già perso il loro impiego. Altri rischiano di subire la stessa sorte, costretti a rimanere nelle loro abitazioni o in alloggi precari nei luoghi di lavoro, alla disperata ricerca di cibo e acqua potabile.

Chi non ha avuto altra scelta se non tornare a casa, per via del blocco dei trasporti pubblici su gomma e su rotaia, è stato costretto a mettersi in viaggio a piedi, da uno stato all’altro dell’India. In molti, durante il tragitto, hanno subito arresti arbitrari, maltrattamenti e altre violazioni dei diritti umani da parte della polizia per violazione dell’obbligo di rimanere in casa.

L’insensibilità delle istituzioni e la macchina della repressione sempre in funzione rischiano per milioni di indiani di essere una minaccia persino più grande del Covid-19.

Qui un’analisi di Amnesty International sui rischi per i diritti umani determinati dalle misure adottate dai governi dell’Asia meridionale (India inclusa) per contrastare la pandemia.

Questo articolo è stato pubblicato qui

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