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Incontri d’autore - Enrico Brizzi (seconda puntata)

Feltrinelli, spazio libero, Lorenzo Sani, Enrico Brizzi, il pubblico, i quadri.
Ci siamo, è arrivato il momento della presentazione. E anche qui, siamo già in ritardo.

Dopo la presentazione, ci avevano chiuso dentro... ma se non ci avessero interrotto, domande e discussioni e confronti, sono sicura, sarebbero continuate fino all’alba, come in un vero salotto di altri tempi.

Ma ora...torniamo a noi. Torniamo a Bologna.

“Bologna? Bologna è un “concetto” complesso e partire da una realtà come quella calcistica risulta limitante, non abbraccia le sfaccettature di una città che è molto di più”.

Bologna è viva, in continua mutazione, si arricchisce di realtà differenti. Bologna è le persone che la popolano, personaggi che si affacciano timidi dai portici per entrare, a volte per sempre, a volte solo per un po’, nel cuore della gente.
Da qui la voglia di Enrico di parlare di Bologna attraverso l’esperienza personale, attraverso gli occhi di un ragazzo che come tanti ha visto la luce all’ombra di San Luca, protetto dalle mura rosse dello stadio Dall’Ara, vita scandita dall’ascesa di un altro Bolognese d.o.c.: Vasco Rossi. E così, ecco delinearsi, nella memoria, la Bologna degli anni Settanta, una visuale che, partendo dal quartiere, dall’amico d’infanzia, si allarga mano mano che si allarga il punto di vista di quel ragazzo.
Si colora, nella nascita di un senso civico, nella scoperta di una politica in grado di mutarne nel profondo la fisionomia senza però arrivare mai a sfiorarne lo spirito ribelle, giovane, scanzonato, “spericolato”.

Qui la meraviglia di Enrico nello scoprire che, come lui, anche “i grandi” hanno una vita, e la condividono, non la nascondono. Ecco l’incontro con il sindaco che fa la spesa lì di fianco, o con Imbeni, mentre pedala sui mitici colli emiliani. Da qui lo stupore di poter entrare in contatto diretto con coloro che ti hanno “costruito” l’adolescenza, che hanno indirizzato i tuoi pensieri, che hanno dato solidità alle speranze: ecco d’un tratto nomi tramutarsi in corpi, visi, parole.

“Per me Benni è stato sempre un esempio, o meglio un riferimento. Personalmente giudico magnifici e indescrivibili i suoi libri. Un giorno, mentre me ne andavo pedalando per la città, me lo vedo lì, in bici, su via Farini. Ci ho pensato meno di un secondo e gli sono corso dietro, oh, mica me lo potevo lasciar scappare. Lo fermo e gli dico: Lei per me è il più grande scrittore italiano. E lui mi guarda e sorridendo (!) mi risponde: Lei mi sa che mi ha scambiato per Busi!
Incredibile! E’ un ricordo che tengo caro, per la semplicità dell’incontro, per l’umiltà della risposta. Se fossi cresciuto a Roma o Milano, credo, sarebbe stato molto più difficile. Qui, a Bologna, ogni cosa è possibile, hai l’universo in una mano. Pensa solo agli orti, i famosi orti che insieme ai portici caratterizzano la nostra città. Per noi, in un attimo, diventavano il Far West dei film, la Via Pal, luoghi concreti che si rivestono di fantasia”.

E Vasco?

Vasco era uno come noi, uno dei ragazzi che vedevi in giro. Ad un certo punto viveva con Massimo Riva, in “via delle Bombe” (pezzo di via Porrettana, n.d.r.). Che poi perché si sia chiamata così non l’ho mai capito davvero, se era per il casino che veniva dallo stadio durante le partite o per i petardi che i ragazzi facevano scoppiare in continuazione!
Vasco veniva da quelle strade, da una realtà ancora provinciale, Bologna ai tempi, diciamocelo, era ancora un paesotto. Eppure, partendo da quelle vie, musica nelle vene, è diventato “la” celebrità. I “cinno” di prima, il “giovanotto” di poi, diventa Vasco! Timido e impacciato ma già grintoso, promessa di ciò che sarebbe diventato, lanciato dal palco di San Remo, quando Sanremo era ancora Sanremo, entra dentro la città, nella sua vita più nascosta, nei suoi vicoli, nelle radio di altri giovani, e in quelle che oggi sono i nostri “vecchi”! E da lì, dai vicoletti di Bologna, il fenomeno Vasco, esplode nel mondo, fregandosene di persone che, come Salvalaggio hanno fatto di tutto per screditarlo.”

Partiamo da quegli anni. Bologna è definita un “paesone”. Mi ricordo ancora di Vasco dj allo Snoopy... suonò dei pezzi suoi, ci furono alcuni applausi, ma qualcuno disse “è meglio se rimetti la musica, và”!
Mi ricordo di Riva, e credo sia un ricordo importante per tutti, una presenza assenza pesante, un anello portante nel fenomeno Vasco.
Tu, Enrico, tratti di personaggi come lui, esprimi opinioni sugli eventi che hanno abbracciato Bologna, descrivi la maestosa eleganza dello Stadio, e arrivi anche a menzionare elementi come Pazienza...pensi di esserteli ricordati tutti questi “uomini” che hanno fatto di Bologna ciò che è, ciò che è stata?


No, sai, forse è impossibile stabilire chi sono quelli che hanno davvero “caratterizzato” la nostra Bologna. Quello che è emerso, nel corso di questo progetto, è la mancanza, come dicevi tu prima in merito a Riva.
Di lui, come di Pazienza o di Tondelli non c’è nulla, in città, ed è un paradosso. Bologna è una città giovane che fa di questa gioventù il suo biglietto da visita, la sua forza. Eppure, soprattutto negli ultimi tempi, rimane indietro, si perde, li trascura, questi ragazzi, li lascia da parte.
Ormai i vecchi negozi colorati non ci sono più e, come funghi, ecco sbucare dal nulla banche ed agenzie immobiliari, addirittura al posto delle vecchie, mitiche, osterie.
Bologna non è Milano. Deve mantenere la sua peculiarità; è certo che si ingrandisce, che progredisce, che si colora, ma è altrettanto certo che ha dimenticato la sua essenza. Il numero di iscritti all’Università è calato e questo, già di per sé, è un rumoroso campanello d’allarme.

Quindi, Bologna che era, e che non è più?

Dai, questo è un atteggiamento di arrendevolezza, e non fa parte della sua filosofia. Sono sempre stati i veri “bulognaisi” i primi a non arrendersi, a cercare di mantenere il loro spirito vivo e pulsante. Bologna va difesa, non abbandonata.

Dicono che a Bologna ormai ci sono solo stranieri, quindi si vive nell’incertezza, nel timore, nel sospetto. Tu vedi la possibilità di un “Rinascimento”? Quali sono le strade che si potrebbero imboccare? Già Eco ci ha dato un bell’esempio con il boom di presenze alla sua lezione.



Eh, rinascimento. Rinascimento sociale, ci vorrebbe, riscoprire le tradizioni terra terra di familiarità tra vicini. Tu pensa solo che oggi non ci fidiamo a lasciare che i bambini giochino liberi fuori dal nostro controllo. In realtà non conosciamo nemmeno i nostri vicini, gli stessi cui, solo una manciata di anni fa, affidavamo i nostri figli ad occhi chiusi. Dove sono le tavolate degli “umarells”, sempre in canotta, seduti su sedie sghembe, intenti in una mitica partitona a briscola?
Che fine ha fatto il cortile, mezzo di conoscenza, di sviluppo, di apprendimento, strumento di familiarità assoluta, unione di perfetti sconosciuti?
Oggi si ha più consapevolezza della mostruosità, e si è portati a pensare che ormai, più o meno ovunque, dietro il portone di casa, nascosto nell’androne, seduto sotto un albero, questo “mostro” rimanga in agguato.

Quindi, come si può agire?

Per ricostruire un tessuto sociale dobbiamo smettere di considerare stranieri gli stranieri, o tali rimarranno per sempre. Lo scambio di culture può e deve essere una soluzione.

Torniamo un attimo all’attualità. E’ di questi giorni la notizia della chiusura anticipata di alcuni tra i più famosi e frequentati locali del Pratello. Secondo te, la città delle idee è ormai diventata la città dell’ordine assoluto?

Io credo una cosa, senza ombra di dubbio. Se qualcuno ha sbagliato, deve essere sanzionato, ma così, in questo modo, il messaggio che esce non solo non è positivo, ma conferisce un carattere di oppressione e negatività a chi si avvicina a Bologna per la prima volta.
Mi rendo conto che ormai, quella zona, abitata da gente comune, non può più esistere come un tempo. Si disturba, e questo non va bene, è un dato di fatto. Però chiudere e basta è controproducente. Perché non creare una zona ad hoc? In una posizione strategica, raggiungibile, fruibile dai giovani e dai meno giovani, per ricostruire quel senso di comunione che era il vero spirito di questa città?

Quindi, Enrico, come la descrivi ad un certo punto nel tuo libro, Bologna è stata donna, femmina, citando poi i versi del grande Francesco (Guccini, ndr). Credi che se tornasse ad acuire il suo lato femminile, se risvegliasse questo suo aspetto di “madre”, potrebbe avere una buona possibilità? In fondo la madre, per antonomasia, lo è dei suoi figli, ma anche degli amici e di chiunque entri nella sua casa.

Certo, una città come questa, emblema di ospitalità, deve tornare ad acuire il suo senso primo, deve tornare ad essere accogliente. O meglio, deve continuare ad esserlo sforzandosi di migliorare, non di rimanere, segnando il passo.

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Bologna come anticipatrice. Questa capacità sta diminuendo. Siamo noi che stiamo invecchiando, questo non possiamo dimenticarlo o non considerarlo, in questo esame critico. Può essere per questo che si avverte un fastidio nei confronti dei giovani? E qui ritorno alla questione Pratello, allargando il discorso.

Sono passato da ragazzo single a marito e poi a genitore. In effetti, devo riconoscere che questo pensiero bisogna farlo. I ritmi diventano più serrati, si riscopre l’importanza dell’alternarsi di notte-giorno, sonno-veglia. Qui, dovrebbe scattare il fenomeno della memoria. Fenomeno indotto, ovviamente. Non certo spontaneo. Ricordare ciò che anche noi siamo stati è il primo passo per comprendere ed accettare e guardare con occhio diverso i nostri giovani, i vicini, il prossimo in generale. Se si riesce in questo, tutto è possibile. Se tutto si trasforma in un torto nei confronti della nostra persona, se i bolognesi si identificano nella visione negativa che fanno di loro, quelli di affittacamere, strozzini, approfittatori, abbiamo perso in partenza. Le due parole chiave sono tolleranza e buon senso, ovviamente da entrambe le parti.


Parlare di Enrico e del suo libro attraverso queste poche parole, è limitante. Qui, non ho voluto mettere in luce un personaggio, ma più un’idea, una speranza.

Bologna. Un mezzo per riflettere. Enrico. Un personaggio da prendere in considerazione se si vuole agire.

Poco dopo, mentre Brizzi, in piedi, sorriso sornione, penna alla mano, firma le copie dei suoi libri con mirabolanti disegni, e scambia due parole con ognuno dei presenti, Lorenzo, osservando con attenzione la mia maniacale voglia di registrare tutto anche tramite fotografia, mi dice, in un orecchio:

 

oh, mi raccomando, quando poi pubblichi l’articolo, scrivilo eh che Enrico disegna veramente bene!

Così, in ritardo cronico, come sempre, sono arrivata alla fine di questa piccola ma coinvolgente avventura. Un viaggio nella mia città, attraverso gli occhi di un ragazzo come tanti, che però, come pochi, ha avuto il coraggio di agire.

Non lo faccio mai, ma vorrei qui ringraziare i ragazzi della “Compagnia delle Mercanzie” che sono stati davvero unici, con la loro simpatia e la loro voglia di rimanere sempre grandi bolognesi, nonché Virtussini! E anche Lorenzo, una scoperta, un uomo di una gentilezza inaspettata e dal sorriso coinvolgente. Volevo, infine, ringraziare, ovviamente, Enrico, per l’intervista, certo, ma anche per avere ricordato uomini di cui non si deve perdere memoria.

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