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Inchiesta su Bettino Craxi

Continua, dopo l’analisi di Verdiana Garau sul ruolo politico e le manovre economiche degli esecutivi di Bettino Craxi, l’analisi dell’Osservatorio sulla figura dell’ex segretario e premier socialista.

 

Oggi vi presentiamo un ampio dossier di Matteo Luca Andriola, di cui qui riproponiamo l’anteprima, in cui viene studiata la transizione del Partito Socialista di Craxi dal campo della sinistra tradizionale a quello del socialismo liberale, filo-occidentale e aperto al vento nuovo dell’economia globale in versione Anni Ottanta. Una “mutazione genetica” che Andriola analizza con taglio critico contestualizzandola nella storia del suo tempo.

L’uscita del film Hammamet, di Gianni Amelio, nei cinema dal 9 gennaio 2020 e interpretato magistralmente da Pierfrancesco Favino che recita il ruolo dell’ultimo leader del Partito socialista italiano negli ultimi mesi vissuti nell’omonima città tunisina – in esilio per sostenitori, in latitanza per i detrattori – ha ovviamente diviso l’opinione pubblica, divisa fra il giustizialismo detrattore grillino o de «Il Fatto Quotidiano», che limita le vicende del politico a quelle giudiziarie, alla riscoperta bipartisan: l’ex premier Matteo Renzi ha dichiarato a La7 di aver «scoperto in Craxi un leader che quando ha fatto il presidente del Consiglio ha impostato una stagione di riformismo che comunque rimane. Craxi è stata una colonna di questo Paese», mentre l’ex sindaco di Pavia, Alessandro Cattaneo, deputato di Forza Italia, riporta la «Provincia Pavese» del 21 gennaio 2020, parte della delegazione in Tunisia, ritiene che «nella politica di oggi nessuno [è] di questo livello». Il senatore del Pd Tommaso Nannicini, su «Il Foglio» del 19 gennaio 2020, avvalora il giudizio di Gerardo D’Ambrosio («su Craxi non esistono prove di arricchimento personale, la sua molla era politica»), elencando i meriti del politico: «riforma istituzionale; strategia euro-atlantica; scala mobile; […] offensiva culturale in nome di un anticomunismo di sinistra col muro di Berlino ancora in piedi». Non è un giudizio legato al ventennale della morte del politico: Massimo D’Alema nel libro Controcorrente, dirà nel 2013 che «Craxi, aldilà delle sue discutibili scelte e delle responsabilità che si assunse, era un uomo di sinistra»; l’allora segretario dei Ds Piero Fassino, nel 2007, lo inserirà in una immaginario Pantheon della sinistra insieme a socialisti del calibro di Rosselli, Matteotti, Nenni e Pertini, portando nel 2009 Walter Veltroni a dire: «Craxi interpretò meglio di ogni altro uomo politico come la società italiana stava cambiando» e che la sua politica estera «fu grande: ci fu l’episodio di Sigonella ma anche la scelta di tenere l’Italia nella sfera occidentale, senza intaccare autonomia e dignità del Paese».

È il caso, a vent’anni dalla sua morte e a oltre trentacinque dal suo governo (1983-1987), di fare un’analisi equilibrata, più distaccata di quella del leader del Pci Enrico Berlinguer che dirà: «Craxi è un bandito di alto livello […], uno dei più micidiali propagatori dei due morbi che stanno avvelenando la sinistra italiana – l’irrazionalismo e l’opportunismo – che il maggiore partito della sinistra italiana ha il dovere di combattere e debellare». Ma la critica, all’epoca, nascerà da un fenomeno che va analizzato, e che stava colpendo anche i comunisti italiani: la mutazione genetica del Psi e della sinistra tout court, che ne favorirà l’allineamento col riformismo liberalsocialista occidentale.

[Leggi il dossier su Craxi su Academia.edu]

Foto: Wikipedia

 

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