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In morte di Carlo Azeglio Ciampi

Quando muore un personaggio della statura di Ciampi, i pericoli sono sempre due: l’agiografia acritica per cui il defunto è caricato di ogni merito al di là di ogni ragionevolezza e con una vis laudatoria tanto esagerata da sfociare nell’oltraggio, e, dall’altro lato, l’offesa gratuita, l’irragionevole addebito di colpe esagerate o inesistenti. Al solito: il servo encomio ed il codardo oltraggio dai quali vorremmo restar lontani. 
Ciampi non ha fatto eccezione: la gran parte di media e politici ha attaccato il corro delle lodi mentre il solito tanghero Salvini si è prodotto in una uscita di rara volgarità.

Cerchiamo di dare un giudizio più equilibrato: Ciampi è stato sicuramente un personaggio di statura storica ragguardevole e non solo perché è stato Presidente della Repubblica. Ha retto la Banca di Italia da pochissimo investita dal ciclone Baffi-Sarcinelli e riuscì a restaurarne l’autorevolezza, ciò che non era scontato che avvenisse.

Ha salvato la lira nel 1993, pur se con misure non sempre condivisibili, quando è stato Presidente del Consiglio governando il paese nel torbido passaggio fra prima e seconda repubblica, fra stragi ed oscure manovre interne alle istituzioni. Gli va riconosciuto d’essere stato un Presidente della Repubblica di grande correttezza (quel che sicuramente non si può dire del suo successore). Così come gli va riconosciuta l’onestà personale e la dedizione al compito. Questi sono meriti oggettivi che solo con molta faziosità gli si possono negare.

Poi c’è l’esame storico obiettivo della sua azione di finanziere, economista e politico a cominciare dall’infelice divorzio fra Banca di Italia e Ministero del Tesoro, di cui Andreatta fu il proponente e Ciampi la necessaria sponda a palazzo Koch. E Ciampi fu il massimo regista della politica delle privatizzazioni (all’epoca descritte come la quintessenza della modernità) e l’organizzazione della celebre crociera sul Britannia, in cui ne venne sancito il canone culturale (ma direi quasi religioso). Ed, ovviamente , a lui va dato il merito-demerito (a seconda dei punti di vista) dell’entrata dell’Italia nell’Euro con tutte le scelte correlate. Poi ci sarebbero scelte occasionali, come l’uscita temporanea dell’Italia dallo Sme nel 1993 che servì a salvare la lira dall’urto speculativo di Soros, ma questo richiederebbe un esame a sè che rinviamo ad altra occasione.

Personalmente, sin dal 1992 ho sempre dato un giudizio negativo di tutte queste scelte (divorzio Tesoro-Bankitaria, privatizzazioni ed Euro), e non ho motivo di modificare il mio giudizio sul carattere fallimentare di quelle scelte, questo però non implica alcun giudizio sprezzante sull’uomo che fu l’architetto di quelle scelte. Fu (come Cuccia, del resto) un gran sacerdote della finanza che amministrava il suo potere senza interessi personali, ma servendo un blocco di classe che io ritengo avversario.

In questo pesava la sua formazione politica che proveniva dalla destra del Partito D’Azione (quella che si ispirava ai vari La Malfa, Tarchiani, Cianca ecc.) che fu sempre vicina all’èlite finanziaria dei Cuccia, Mattioli ecc. e che era il punto di contatto con Scalfari e la base ideologica della Repubblica. E questo spiega anche la sua fede europeista saldamente creduta sino ai suoi ultimi giorni, quando il fallimento del progetto europeista è ormai conclamato.

Dunque non nascondiamo le ragioni della nostra critica all’uomo ed alla sua cultura azionista su cui torneremo a dire, ma questo non ci esime da un omaggio ad un avversario che servì gli interessi delle classi dominanti, ma con innegabile disinteresse personale, intelligenza e studio.

La critica storica è cosa diversa dall’insulto becero e sguaiato e, di fronte ad un avversario di classe del genere, nel momento della morte, si possono chinare le bandiere senza, per questo rinunciare alla critica ed alla difesa degli interessi di classe contrapposti.

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