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In fuga da Mogadiscio allo Yemen

Quello che per tanti è solo un Paese d'Africa, cioè un posto dove non ci si vorrebbe trovare a vivere, per altri è un rifugio dalla guerra, dalla siccità e dalle persecuzioni politiche. Partendo da Mogadiscio, la capitale della Somalia dilaniata dal 1991 da violenti scontri tra le forze militari di un governo invisibile - le cui leggi vengono rispettate solo dai pochi che ne ricevono anche vantaggi economici di discutibile legittimità - ed estremisti legati essenzialmente al terrorismo islamico, si raggiungono le coste dello Yemen dopo una traversata del Mar Rosso della durata di 26 ore.

Rachida Ahmed ha sette mesi. Quando arriva sulla spiaggia bellissima di Ampus Coast è bagnata, infreddolita ed ha la febbre. La sua mamma, unica superstite della sua famiglia dopo lo scoppio di una granata che ne ha distrutto la casa, non è riuscita a proteggere la bambina dalle onde che arrivavano sulla barca scoperta nella quale hanno viaggiato insieme ad altri 61 profughi. Come spesso accade, i trafficanti somali hanno scaraventato tutti in mare a 300 metri dalla riva, nel timore d'imbattersi in una nave della guardia costiera yemenita. Rachida riceve una prima assistenza dall'organizzazione locale Shs: le viene dato da mangiare ed un vestito asciutto. La sua mamma ha venduto tutto ciò che possedevano per pagare il loro 'viaggio della speranza', costato 120 dollari.

Cercheranno di raggiungere l'interno dello Yemen, in particolare il loro sogno si realizzerà in Hadramout (la valle da dove proveniva la famiglia di Osama Bin Laden, prima di emigrare in Iraq in cerca di fortuna). Hassan Hamed ha 16 anni. Era sulla stessa barca di Rachida, ma da solo. E' la seconda volta che compie questo disumano viaggio. "Eravamo partiti da Gibuti in 40 su una piccola imbarcazione", sussurra in un francese stentato. Ma, quando ormai le coste dello Yemen erano comparse all'orizzonte, una sera del maggio 2008, una nave della Missione Atalanta, inviata dall'Unione Europea per combattere i pirati nel Golfo di Aden, ha intimato loro il ritorno a Gibuti. L'esodo dal corno d'Africa non ha eguali nel mondo. Nel 2009 oltre 74000 somali ed etiopi sono arrivati nello Yemen su circa 1450 imbarcazioni gestite da trafficanti che non esitano a buttare a mare i 'passeggeri'. Secondo l'Alto Commissariato Onu per i rifugiati (unhcr), per il quale il numero degli sbarchi raddoppia ogni anno dal 2001, durante il 2010 i morti o dispersi sono stati 376. Le destinazioni finali privilegiate sono l'Arabia Saudita e l'Europa. Quei profughi che arrivano a Lampedusa, spesso, vengono riportati a Mogadiscio. Ma molti dati convergono nel sostenere che in breve ricomincia la loro Odissea. Sembra naturale chiedersi se la moderna Italia davvero non possa fare nulla per dare accoglienza a persone tanto disperate da vendere tutto, anche i vestiti che hanno addosso, pur di fuggire da un Paese di guerre e di malattie, dove per trovare un medico si può essere costretti a compiere a piedi un percorso di 17 km.

(Ho pensato ad un articolo che attraesse l'attenzione sul problema dell'emigrazione in continuo aumento esponenziale dalla Somalia allo Yemen. La mia fonte d'informazione è stata il libro In Fuga dalla Mia Terra, pubblicato nel febbraio 2010 dal giornalista della radio svizzera Emiliano Bos. Ho integrato con alcuni aggiornamenti).

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