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"In Carne e Ossa": lo studio dell’Uomo Preistorico

In questo libro uscito nel dicembre 2006 (Laterza Editori), la biologia e l’archeologia prendono in esame i fossili, il DNA e gli ambienti nutrizionali e culturali che hanno portato all’Homo Sapiens: la sola specie che ha la capacità di comprendere il mondo e che ha la possibilità di distruggerlo. I più recenti studi sull’evoluzione hanno sovvertito la ricostruzione accettata finora: oggi sappiamo che le specie non si sono succedute le une alle altre secondo un percorso lineare, ma deriviamo da un cespuglio evolutivo in cui specie diverse hanno convissuto fianco a fianco (Homo Habilis, H. Ergaster, H. Erectus, H. Georgicus, H. Heidelbergensis, H. Neanderthalensis, H. di Cro-Magnon, H. Floresiensis).

La rivoluzione teorica ha interessato anche i gruppi di ricerca, unendo diversi campi del sapere. I quattro autori del libro sono infatti scienziati appartenenti a diverse discipline: Gianfranco Biondi insegna Antropologia nell’Università dell’Aquila; Fabio Martini insegna Paletnologia ed Ecologia Preistorica nell’Università di Firenze; Olga Rickards è co-editor della rivista “Annals of Human Biology” ed insegna Antropologia Molecolare dell’Università di Roma Tor Vergata; Giuseppe Rotilio insegna Biochimica all’Università di Roma Tor Vergata, presiede il corso di laurea in Scienze della Nutrizione Umana e dirige il Centro Studi in Alimentazione e Riabilitazione presso la Fondazione Santa Lucia (nel 2004 ha ricevuto dall’Accademia dei Lincei il Premio per la Medicina).

 

Tra le teorie più interessanti c’è quella della co-evoluzione uomo-cane. Infatti “gli studi sul Dna mitocondriale dimostrano che la separazione genetica tra i lupi e i cani è avvenuta circa 140.000 anni fa, e quindi la data del probabile addomesticamento dei canidi corrisponde alla finestra temporale che segna l’inizio della migrazione fuori dall’Africa della specie Homo Sapiens”. E questo “reciproco” adattamento e addomesticamento è dovuto alla predisposizione di entrambe le specie alla caccia cooperativa e alla condivisione del cibo con una famiglia estesa. Inoltre la suddivisione dei ruoli nell’approccio alla preda, l’uso dei richiami vocali, l’attenzione primaria per i cuccioli e la complementarietà delle doti sensoriali (la padronanza della vista e del pensiero da parte dell’uomo, e dell’odorato e dell’udito da parte del “cane”) ha indubbiamente favorito un’alleanza alimentare e una collaborazione vitale per la sopravvivenza negli antichissimi climi glaciali dell’Eurasia, così come succede oggi nelle regioni artiche.

Si descrive poi l’emergere delle prime forme di arte umana, quindi le grandiose pitture rupestri, le piccole statuette d’argilla e le innumerevoli pietre ed ossa incise che rappresentavano due filoni principali: gli animali e la caccia, con le esperienze quasi religiose delle “Magie Venatorie”, che dovevano favorire il procacciamento del cibo; e il tema della rappresentazione degli organi e della sessualità femminile (e a volte maschile), che riguardavano la “celebrazione” della sopravvivenza e della moltiplicazione del gruppo. Quindi nelle foto inserite nel libro si può vedere anche l’opera delle antiche pulsioni aggressive e sessuali che iniziavano a fondersi nell’arte, facendo emergere la terza forza vincente della specie Sapiens: la pulsione creativa dell’umanità.

Molto significativo anche il capitolo che parla delle diverse “culture del morire”: il cospargere i defunti con l’ocra rossa o le inumazioni accompagnate dall’offerta di manufatti o corna di animali. Queste “pratiche simboliche manifestano l‘insorgere nell’uomo della coscienza della precarietà della vita e dell’irruzione del caso nell’esistenza e, di conseguenza, la ricerca di un senso della vita laddove la morte porta una fine senza senso”. Comunque, oggi, la nostra anima più razionale può suggerirci che, in un certo senso, la morte ci può liberare dalle sofferenze delle malattie e della vecchiaia, e ha pure la funzione di lasciare uno spazio vitale e culturale, e molte risorse naturali anche ad altre persone, soprattutto a chi verrà dopo di noi.

P.S. Bisogna anche capire che, come affermava E. H. Gombrich, molte domande appartengono al futuro. E che comunque “l’uomo moderno è destinato ad oscillare tra la disperazione e la noia” (Schopenhauer).

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