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Immigrazione. L’accoglienza interessata detta legge (e la viola)

Per quasi due decenni, il problema dei conflitti di interessi di Silvio Berlusconi è stato uno dei temi all’ordine del giorno del dibattito politico. Giustamente, a mio modo di vedere. Ma il suo non era, e non è, l’unico caso di conflitto di interessi. Ce ne sono altri, forse meno eclatanti. Ma altrettanto ingiustificati.

Quei benedetti conflitti di interessi

Qualunque cosa si pensi del fenomeno migratorio e delle politiche di gestione dello stesso, è indubbio che ci girano intorno molti, troppi soldi, da una parte e dell’altra del canale di Sicilia. Proprio per questo motivo, sarebbe opportuno che chi si batte con veemenza per l’accoglienza dei migranti non si occupasse poi della gestione operativa dell’accoglienza stessa. Che viene lautamente remunerata dallo Stato.

E invece è ciò che accade con parte della sinistra e con la Chiesa cattolica. E con entrambe nello stesso tempo, perché sono anni che organizzazioni delle due realtà fanno business e politica insieme senza che i confini tra i due ambiti siano mai molto chiari. L’ex presidente di Legacoop Giuliano Poletti, ora ministro del lavoro, vanta ben quattro partecipazioni al meeting di Rimini di Comunione e Liberazione. Quel meeting dove Pierluigi Bersani andò a svendere un secolo e mezzo di impegno sociale progressista sostenendo che “la vera sinistra nasce dalle cooperative bianche dell’Ottocento”. Sic.

Quel che è certo è che il volontariato di sinistra, nell’Ottocento, volava enormemente più in alto delle cooperative che, in nome dell’accoglienza, oggi mungono senza sosta le finanze pubbliche. Che siano bianche, rosse oppure rosa (e, quindi, dotate di molte spine). Che agiscano lecitamente o illecitamente. Il quadro che emerge dalle ultime rivelazioni è semplicemente sconfortante. E lo dovrebbe essere soprattutto per il mondo cattolico, i cui vertici predicano la propria morale al mondo un giorno sì e l’altro pure. Chiedilo a loro, se è proprio il caso di farlo…

centro-accogl

L’accoglienza umanitaria, un principio negoziabilissimo

L’inchiesta “Mafia Capitale” ha portato alla perquisizione della coop ciellina La Cascina, quattro esponenti della quale sono stati arrestati. Devo ammettere di non esserne rimasto estremamente sorpreso, come non lo sono stato leggendo dei suoi rapporti con criminali neofascisti: negli ultimi trent’anni, la coop è stata regolarmente coinvolta in scandali legati agli appalti. Qualunque altra società sarebbe stata già chiusa da tempo, anzi, si sarebbe già chiusa da sola, cercando semmai di riapparire sotto nuove spoglie. Ma i ciellini pensano di avere il privilegio dell’impunità. E non hanno tutti i torti: nonostante la pessima nomea, da trent’anni ricevono committenze di ogni tipo da amministrazioni pubbliche di ogni colore, alle quali è però invariabilmente vicina Cielle. Praticamente tutte, quindi.

Pare poi che, stando alle intercettazioni, La Cascina ristorni parte degli utili ai devoti politici del Nuovo Centrodestra di Alfano, una notoria creatura vaticana. Una creatura impresentabile, come ben mostra la richiesta di arresto del senatore Azzollini per il crac di una casa di cura cattolica per malati psichici (due suore ai domiciliari). Guarda caso, il bando incriminato del Cara di Mineo era stato stilato dall’attuale sottosegretario Ncd Castiglione. E il cerchio si chiude. Con un surreale comunicato stampa La Cascina ha informato il pianeta che “i provvedimenti che hanno interessato alcuni propri dirigenti non riguardano in alcun modo reati di mafia”. Vero: ma riguardano diversi altri gravi reati previsti dal Codice.

Nell’inchiesta è indagato anche il presidente della cooperativa Capodarco, sorta all’interno dell’omonima comunità fondata da don Vinicio Albanesi. La coop gestisce le prenotazioni della sanità laziale. Si tratta di un servizio che vale — da solo — 60 milioni di euro. E che eroga, da dieci anni, in regime di proroga, grazie a un bando a cui si presentò sola soletta, tanto sembrava scritto ad cooperativam. Curiosamente, l’allora assessore alla sanità del Lazio, Augusto Battaglia (Ds), era tra i fondatori della coop. Quando ne scrivemmo, tra i commenti apparvero alcune critiche all’Uaar a nome di “cittadini di Cinecittà”. Si scoprì che provenivano dall’interno della stessa coop.

Due lustri dopo continuano a gestire il servizio. Augusto Battaglia è tornato a impegnarsi nella comunità di Capodarco, ma al suo posto fa politica la figlia Erica, diventata presidente in quota Pd della commissione del Comune di Roma che si occupa di immigrazione e disagio sociale. In tale veste ha seguito il gigantesco business (venti milioni di euro) del nuovo “villaggio della solidarietà” che sorgerà laddove oggi c’è un campo nomadi. Assegnato a un consorzio di cui fa parte (toh, coincidenza) la Capodarco e un’altra coop legata alla comunità, la Ermes. È di qualche giorno fa la notizia che Erica Battaglia comparirebbe tra i beneficiari di versamenti effettuati da Salvatore Buzzi. Che fino a qualche mese fa era amministratore del consorzio di cui è dipendente la stessa Battaglia, e di cui fa ovviamente parte anche Capodarco.

E che dire degli arresti alla Domus Caritatis? Qui il caso sarebbe ancora più scottante, perché la coop è stata creata da un ente regolato dal diritto canonico, l’Arciconfraternita del Santissimo Sacramento e del Trifone, che fa capo al Vicariato e del cui bilancio il Vicariato era a conoscenza. La confraternita è stata commissariata: ma solo dopo il coinvolgimento in Mafia Capitale, non quando non versava l’Iva e non si capiva che attività svolgesse. Il suo sito internet trasmette ora improbabili messaggi orientali, ma il portale “Integrazione Migranti”, gestito dal ministero del lavoro (toh, Poletti), dal ministero dell’interno (toh, Alfano) e da quello dell’istruzione, sembra non avere remore a continuare a segnalarla, nonostante tutto ciò che è apparso sulla stampa.

E non si parli di eccezioni, per favore. È ancora caldo il caso di don Cesare Lodeserto per la gestione del centro immigrati “Regina Pacis”. E caldissima è la vicenda giudiziaria che riguarda don Vincenzo Federico, della Caritas diocesana di Teggiano-Policastro, indagato per sottrazione di fondi destinati ai profughi. È vero: l’occasione fa l’uomo ladro. Ma anche i preti sono uomini e, quindi, può capitare più spesso se si danno loro più occasioni. E lo Stato, come ben mostra l’assurda assoluzione di don Lodeserto, ne crea anche troppe, di occasioni per lasciare impuniti i sacerdoti che compiono reati.

Né i reati si limitano alle truffe. Basta leggere le cronache per leggere della violazione di diritti fondamentali nelle strutture di accoglienza cattoliche: ricordate i migranti di Ponte Galeria, che per protesta arrivarono a cucirsi la bocca? Il Cara di Mineo è sovraffollato, e caratterizzato da fenomeni di degrado, illegalità e violenza. Anche i bimbi immigrati vivono in condizioni difficili, secondo il rapporto di Save The Children sui centri della Domus Caritatis. E finisse almeno qui. Negli ultimi giorni abbiamo dovuto leggere di tre sacerdoti coinvolti in un giro di prostituzione con minori rom alla stazione Termini e di un docente di religione che si dava alle orge con i minori immigrati di cui era tutore.

La questione morale

L’avevamo scritto in tempi non sospetti: è difficile conciliare accoglienza, solidarietà e portafogli. Il papa attira l’attenzione di tutto il mondo invitando i conventi ad aprirsi ai migranti, ma i suoi subalterni preferiscono di gran lunga accogliervi i pellegrini in vista del Giubileo: si guadagna di più, e si può conciliare l’accoglienza con il portafogli. E non lo sostengo io, ma il prefetto Gabrielli. (Per la solidarietà pazienza, lasciamola ai poveri illusi)

Un paese normale è quello dove c’è una legge sul conflitto di interessi valida a 360 gradi. Dove gli appalti vengono assegnati in modo efficiente, onesto e laico. Dove i sottosegretari, i senatori e i consiglieri indagati si fanno da parte, in attesa di chiarire ogni addebito. Dove gli enti ecclesiastici (ma anche il terzo settore) non godono di privilegi ingiustificati. Dove, magari, chi predica una certa morale, prima di predicarla, la applica. Dove chi dice di fare carità e volontariato lo fa senza secondi fini: perché è facile fare carità e volontariato con i soldi di tutti, o fare soldi sulla pelle dei più deboli.

Siamo invece il paese dove, nel valutare se sciogliere il consiglio comunale di Roma (decisione su cui ovviamente non metto becco), c’è chi dice (toh, Alfano) che farlo sarebbe una catastrofe, perché c’è da pensare all’imminente Giubileo. Come se il papa l’avesse convocato concordandolo preventivamente con l’amministrazione. Siamo il paese dell’impunità diffusa e del delirio di onnipotenza dei privilegiati: come nei casi di pedofilia ma forse anche peggio, perché agli abusi si aggiungono l’interesse economico e una gestione priva di controlli di fondi pubblici. Siamo il paese dove il premier Renzi ritiene che gli indagati non si debbano dimettere. Quanto ai conflitti di interesse, nessuno semplicemente ne parla più. Forse perché tutti, ormai, ci vivono dentro fino al collo.

Raffaele Carcano

 
Questo articolo è stato pubblicato qui

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