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Il voto in Israele: perché Obama sgrida Netanyahu

La vittoria di Netanyahu ha due aspetti: da un lato essa è stata ottenuta al grido: “ Se mi votate non ci sarà nessuno stato Palestinese”, il che manda gambe per aria trenta anni di negoziati, dall’altro il voto ha segnato una avanzata, purtroppo insufficiente, delle sinistre e della Lista Unita Araba, il che significa che, anche se troppo lentamente, in Israele si va facendo strada la consapevolezza di liberarsi della leadership di Netanyahu. Purtroppo, l’esito rischia di arrivare troppo tardi e questo voto può diventare il suicidio di Israele.

Lo ha capito Obama che, dopo lo schiaffo di non aver ricevuto Netanyahu durante il suo viaggio in Usa, rilascia una intervista per dire esplicitamente e senza troppi complimenti, che lo status quo della zona deve cambiare, cioè che deve nascere lo Stato di Palestina.

Il punto è questo: gli Israeliani, in questo mezzo secolo, si sono fatti forti di due dati: la strepitosa vittoria militare del 1967 –poi confermata da quelle del 1973 e 1982- che segna una schiacciante superiorità militare sul mondo arabo e l’incondizionato appoggio di Europa e Stati Uniti. E sulla base di questi due presupposti, hanno avanzato la pretesa ingiustificabile di mantenere parte dei territori occupati nel 1967, per dare spazio ai loro coloni, in massima parte provenienti dall’est europeo. Spazio, ovviamente sottratto ai palestinesi, ormai ridotti in riserve come i pellirosse.

Israele ha poi proseguito, negli ultimi venti anni, a tirare il processo di pace per le lunghe, con posizioni sempre più intransigenti (complice anche l’errore dei palestinesi di schierarsi con Saddam Hussein nel 1990).

La situazione, nel frattempo è molto cambiata ed i due presupposti si sono molto logorati, ma a Telaviv non sembra se ne siano accorti. La superiorità militare sui paesi del Medio Oriente resta ma non è utilissima se non si devono affrontare battaglie campali quanto una insidiosa e costante guerriglia, contro la quale le operazioni come “piombo fuso” servono solo a fare indecenti mattatoi, ma non risolvono il problema che per una manciata di mesi. In secondo luogo, le vittorie militari degli anni settanta avevano fruttato ad Israele accordi di pace come quello con l’Egitto e, più in generale, uno stato permanente di cessate il fuoco con tutti gli stati arabi circonvicini, ma anche questo, con lo scossone delle primavere arabe e dell’ondata fondamentalista, inizia a non essere più tanto vero. Anzi, Israele ha fatto l’errore imperdonabile di schierarsi con i vari Mubarak e contro le primavere. Ma, soprattutto, l’inaccettabile situazione dei palestinesi è diventata il principale motivo di propaganda di tutti i fondamentalismi, da quello sciita degli iraniani, a quello sunnita di Al Quaeda. E non importa che oggi l’Isis non ne faccia cenno, perché il tema è così presente nella visione del mondo delle masse arabe, da fornire ugualmente reclutati al Califfato.

Israele ha ostacolato in tutti i modi Al Fatah (che, peraltro, era una indecente banda di corrotti) con il risultato di trovarsi Hamas. La politica della destra porta solo a due possibili sbocchi: il genocidio palestinese (macchia atroce sin qui evitata) o il suicidio di Israele.

Ed il secondo esito diventa sempre meno improbabile, perché sta franando anche il secondo presupposto della folle politica della destra israeliana: l’incondizionato appoggio di americani ed europei è sempre meno scontato. Se si vuole prosciugare il serbatoio dei consensi allo jihadismo la prima misura da prendere è quella di risolvere la questione palestinese e, tanto per esser chiari, risolverla in modo soddisfacente per entrambi, cioè anche per i Palestinesi e non solo per gli Israeliani. Il che esclude l’idea di fare uno stato fantoccio, spezzettato in una miriade di bantustan, magari ciascuno circondato da un muro militarizzato. Questa soluzione non può essere decentemente avanzata ed Israele deve accettare, puramente e semplicemente, di rientrare nei confini del 1967. Non c’è altra soluzione che possa evitare sbocchi tragici ed irreparabili anche per lo stesso Stato di Israele. Ed anche per evitare che la cronicizzazione della piaga palestinese diventi la cronicizzazione della jihad.

Questo Obama lo ha compreso (è fra le poche cose azzeccate della sua politica) e lo manda a dire a Netanyahu senza troppi giri di parole.

La destra sionista è il peggiore avversario di Israele ed è il caso di farlo comprendere agli israeliani: ci pensino anche gli ebrei fuori di Israele, la cui voce può molto influire sull’esito di questa situazione. In questo contesto anche l’idea di applicare sanzioni ad Israele per l’osservanza delle risoluzioni Onu diventa assai meno irrealistica del passato.

Aldo Giannuli

Questo articolo è stato pubblicato qui

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