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Il socialismo è attuale?

Terza puntata dell’analisi di Verdiana Garau sulla destrutturazione della politica, in cui si individua nella recentemente nata Italia Viva l’emblema della politica destrutturata odierna e si discute sull’attualità della formula del partito di ispirazione socialista come risposta a questa volatilizzazione.

di 

1 – Riscoprire il cittadino

2 – Crisi dei partiti e riforma elettorale

3 – Il socialismo è attuale?

Mi sono fermata a riflettere sul titolo di un post pubblicato sui social da Emanuele Macaluso (noto sindacalista, esponente del PCI e politico italiano di lungo e valentissimo corso): “Dove i socialisti non hanno paura di chiamarsi tali”.

Macaluso scrive che il socialismo in Europa è possibile, e che la necessità di costruire un centro “alla Renzi” sia cosa non necessaria.

Scrive inoltre sulla sua perplessità in merito alla timidezza dimostrata dal PD nel nostro paese, nel non perseguire programmi di stampo socialista, come gli aumenti al salario minimo, il calmieramento dei prezzi sugli affitti, il tetto di ore lavorative, ai quali egli fa riferimento, con il risultato, ci fa sapere, di una maggioranza bizzarra come quella giallo-rossa e il conseguente allontanamento dalle vere esigenze del paese con crescente disinteresse delle masse alla politica. “La battaglia politica in Italia, di chi ha un’ispirazione socialista e del sindacato, su questi temi può costruire una diversa prospettiva”.

Premesso che il socialismo è questo e anche molto altro, con il costante bisogno di aggiornarsi, il concetto di socialismo resta non nettamente definibile.

Mussolini fu socialista, il partito di Hitler era socialista e nasce dal partito operaio (certo nazionalsocialista poi per l’esattezza, ma veniamo al dunque), Gramsci era socialista, Nenni era socialista, i comunisti sono socialisti, Craxi era socialista, Trudeau padre, Pierre Trudeau, era socialista, e persino la Ocasio Cortez oggi si dice socialista, si dice anche che Obama abbia fatto politiche socialiste.

Cos’ è il socialismo?

Per Bettino Craxi ad esempio, quindi ai tempi di socialisti di stampo recente, coloro che si costituirono in una partito denominato Partito Socialista, dare una precisa definizione al socialismo è infatti difficile, molti ci hanno provato, ma in sostanza, diceva Craxi, il socialismo, “nell’universo di scuole ed eserciti di profeti, ha sempre la sua anima e l’essenza nei valori etici”.

Nella visione socialista, i modelli che la società sperimenta, devono sempre essere riportati alla libertà e all’eguaglianza, al passo con i tempi.

Alcuni meccanismi, come il capitalismo, nel corso della storia, hanno innegabilmente negato o forzato alcune libertà a scapito dell’eguaglianza sociale.

La società socialista, è quella in cui nessuno può essere tanto ricco o tanto povero, nella definizione di “quasi” eguaglianza -, si legge in un vecchio manifesto.

E per dirla anche “alla Marx”, dal momento che la storia sempre insegna e sempre è contemporanea, ci si chiede: come possono i produttori di plus-valore (coloro che subiscono le forzature del capitalismo) diventare “i nuovi dirigenti” di una nuova produzione industriale? Ovvero come si può riuscire a sottrarre la gestione o quantomeno – per essere più moderni – ad equilibrare quel meccanismo che vede coloro che a quella stessa produzione staccano solo cedole di rendita finanziaria? Con un partito, e il socialismo (o se si vuole una “gestione più sociale dei mezzi di produzione e distribuzione”) è un tema più che attuale.

La “classe allargata”

L’accelerazione tecnica e l’aumento del capitale costante (tecnologia) su quello variabile (salario), vede oggi nel mondo contemporaneo estendere quella che una volta si chiamava “classe operaia” a tutto il personale tecnico delle imprese e non solo, anche a coloro che non avranno la pensione, coloro che rischiano di perdere il posto di lavoro, per non parlare dei senza lavoro, quelli fuori dalle imprese, che non hanno, a causa del gap causato dall’accelerazione dello sviluppo tecnologico e al non adeguamento salariale, quella preparazione necessaria ad affacciarsi al futuro.

La si potrebbe definire “una classe allargata”.

Questa “classe allargata”, classe dominante oggi come in passato, non è ancora, oggi come ieri, classe dirigente e non ha più un partito di riferimento.

Lenin diceva che “ il sistema di produzione socialista ci guarda da tutte le finestre del capitalismo moderno”.

E come scriveva Rossana Rossanda in un articolo su Il Manifesto del 1978, “il mondo è diviso in due, quello imperialista e quello socialista”.

Se la politica non è matematica, come invece pensa che sia Matteo Renzi che vede nel cittadino un elettore, vede i numeri del consenso e non la persona, e si avvale di una leva emozionale per accrescere il suo share (detta anche più ironicamente “populismo imperialista”), ricordiamo che in Italia il partito di fiducia Togliattiano era quella forza che riequilibrava la DC grazie alla visione gramsciana e quell’equilibrio ha fatto grande il nostro paese.

L’attualità della forma partito

Il socialismo economico di cui potremmo parlare tranquillamente ancora oggi, altro non è che la volontà nobile e soprattutto politica, con la P maiuscola, di riequilibrio sociale, con le sue logiche che vengono rappresentate da un partito, o più partiti, necessario alla realtà delle cose per portare avanti programmi che promuovano correttivi alla economia di mercato nella società e per la società, perché questa possa continuare a progredire, con l’anima.

Perché Renzi ci dice che i partiti come li conosciamo sono una roba del secolo scorso?

I partiti sono i fautori delle scelte politiche, ci sono i mercati, c’è il welfare, c’è la cosa pubblica e quella privata e c’è il partito.

I programmi e i principi costituiscono la base sulla quale regge il rapporto fra il politico e l’elettore, ovvero fra il partito e le persone-cittadini, fra il partito e i mercati, fra il partito e il pubblico, fra il partito e il privato. Senza partito questa relazione viene meno.

Ricordiamo a Renzi, che ama le etichette alternative senza concreti programmi di governo e che ama i governi prêt à porter, che già Oskar LaFontaine, esponente nonché presidente della SPD tedesca, ovvero il partito più importante della storia europea recente, scrisse “socialismo e socialdemocrazia hanno finito per sposare i dogma del mercato e della filosofia neoliberale”. Infatti poco dopo LaFontaine si allontanò dall’SPD, amareggiato dal non ottimo rapporto con Schröeder, e confluì più a sinistra.

I partiti sono infatti fondamentali anche per incanalare oltre ai principi e ai programmi, il dissenso, altrimenti destinato a dilagare senza direzione e che così diffuso potrebbe sfociare anche in violenza, o in terrorismo.

La storia insegna molto. È tutta “roba” del passato? Come si può sostenere che i partiti siano un vecchio e pesante retaggio del ‘900?

Stiamo sereni. Ma siamo seri.

Secondo Renzi (riporto testuali parole da una recente intervista televisiva), la sinistra è: le unioni civili, il cuneo fiscale, (gli 80 euro e i 17 miliardi alle imprese), il Jobs Act. A lui non importano i territori, dice, perché si trova già in TV. “Sono già qui”, dice dalla Grüber. Ma qui dove? Il messaggio non passa.

Non sono forse oggi gli appelli al clima, al consumismo, alle guerre commerciali, le minacce cybernetiche, l’intelligenza artificiale, l’approvvigionamento energetico, il green new deal, il terrorismo, temi che dovrebbero essere affrontati con piglio ideologico e con la politica? Non sono forse problematiche risolte nelle scelte politiche e quindi di partito? E le scelte politiche non vengono forse racchiuse come una “ricetta ai mali” nei programmi di partito?

E la politica della società moderna (per lui già vecchia, quella del ‘900), non si è forse evoluta sulla base delle religioni, delle filosofie e delle lotte sulla base dunque di prospettive ideologiche?

Quale è la linea di Renzi? Quale realtà va disegnando? Quali le priorità in una situazione geopolitica di portata epocale?

Al di là delle trovate propagandistiche del ragazzo di Rignano, bisogna rendergli atto di aver sconfitto, o quantomeno scongiurato, con una mossa da re degli scacchi, la presa del potere da parte di una destra troppo a destra, ma vorrei che il nuovo leader di Italia Viva, così come il PD e tutti quelli di sinistra, riflettessero sulla realtà che fa da sfondo ai partiti di destra in Italia e nel mondo, che a livello mondiale sono risaliti nei consensi e trovano larga sponda tra le masse.

Ovvero punti da non sottovalutare.

Sfide epocali

Scriveva il professor Edward Luttwak in un vecchio articolo: “Il capitalismo non ostacolato dalle regolazioni pubbliche, dai cartelli, dai monopoli, oligopoli, inibizioni culturali varie, è il motore messo a punto dalla crescita economica e si tratta di una già vecchia verità, oggi dibattuta soltanto da qualche intellettuale crio-geneticamente conservato entusiasta, e da qualche infelice numero di poveracci malpagati accademici anglosassoni.”

Le letture sul problema dello sconquassamento globale, sono due: da un lato, la convinzione che la crescita di questo motore capitalistico sia il frutto di un’inarrestabile competizione, che distruggendo vecchie strutture e vecchi metodi vuole porsi a vantaggio dello sviluppo con più efficienti strutture e metodi, chiamandolo progresso, dall’altra che questo cambiamento strutturale può infliggere forti disagi alle vite dei lavoratori, alle fabbriche, ad intere filiere industriali, e quindi a tutto il tessuto sociale, amicizie, famiglie, clans, gruppi elettivi, vicinato, villaggi, paesini, città e nazioni.”

Anche queste forse restano idee alquanto demodé – dice il professore – riconosciute a suo tempo dalla Gemeinschaft e dalla Gesellschaft.

Ma c’è un dato nuovo, ed è che il livello di questa rapidissima crescita economica può provocare sicuramente grandi cambiamenti a tutti gli stadi.

E oggi nel 2019, trenta anni dopo la profezia luttwakkiana, (molti all’epoca ci avevano messo in guardia, uno di questi fu proprio Bettino Craxi e il suo Partito Socialista), lo stiamo infatti sperimentando e siamo profondamente immersi in questa crisi. 

Il motore gira macinando vite anche quando l’auto è parcheggiata.” Se la concezione dei partiti del primo novecento si basava su idee programmatiche come la proprietà dei mezzi di produzione dello stato, il quale stato attraverso la burocrazia avrebbe governato la macchina, oggi possiamo dire che il capitalismo così concepito sia però sfuggito di mano, e la globalizzazione abbia contribuito all’accelerazione di un processo oceanizzante di tutto il mercato, senza fiumi e laghi e ruscelli, accentratrice di tutti i capitali solo da una parte, prosciugando tutto il resto.

La delocalizzazione, produco ovunque, produco sempre, produco qualsiasi cosa al minor prezzo, il lavoro soppiantato dalle tecnologie e domani/oggi dall’intelligenza artificiale, ha provocato licenziamenti in massa in tutto il mondo, anche negli Stati Uniti. Basterà il Jobs Act di sinistra? Vogliamo altrimenti il protezionismo alla Meloni? Risolveremo le iniquità con la democrazia diretta del Movimento Cinque Stelle? È indispensabile il Ceta ratificato da un veterano sindacalista? Che confusione!

E ricordiamo che esiste ancora un terzo del mondo che in un molto prossimo futuro sarà costretto ad un salto nel buio se non è già caduto nel vuoto: in Africa ad esempio, il minatore diventerà scrittore, il raccoglitore di cotone un esperto informatico… Già, ma come? Quale il programma? Quale la ricetta? Tutto è possibile, ma serve un programma e manca un partito.

Nei nostri paesi avanzati dove questo passaggio si è verificato e si sta ancora in parte verificando, seppur drammatico, è stato tollerabile e tollerato in mezzo a molte difficoltà, grazie proprio alle politiche di stampo socialista e ai partiti fautori di certi programmi, che si sono preoccupati sempre di recuperare dal fondo chi rimaneva indietro economicamente e culturalmente.

La politica è finita? Il partito è concezione trapassata? Siamo sicuri?

La risposta che il professor Luttwak diede a tutti questi quesiti, mentre analizzava la società di trenta anni fa, ovvero all’alba dell’era digitale, era un monito da non sottovalutare, egli, in un’analisi panoramica che rivolge proprio alle realtà di destra e di sinistra moderate, scrive:

“ In questa situazione cosa fa la destra moderata, cosa ha da offrire?

Vediamo: più libero mercato e globalizzazione, più deregulation e cambiamenti strutturali, più delocalizzazioni della vita e dei rapporti sociali. Allo stesso tempo sono i medesimi che nei loro comizi pubblici, decantano e celebrano le loro virtù in funzione della loro azione salvifica su famiglie e disoccupati. Semplicemente un perfetto non-sequitur.

E la sinistra, cosa ha da offrire? Ridistribuzione, più assistenza pubblica, preoccupazione per quelle minoranze che sono vittime della pressione sociale e apparentemente dimenticate dallo stato, handicappati, lesbiche, gay, neri e i più poveri.

Quindi né la destra moderata, né la sinistra moderata riconosce il problema o offre una soluzione al problema.”

Il problema è la completa insicurezza economica senza precedenti della storia umana del pianeta di cui ha ampiamente parlato Luciano Gallino, l’insicurezza dei lavoratori, da quelli nelle fabbriche agli impiegati, ai managers a quelli già senza un lavoro sicuro. 

Nessuno di loro è davvero povero, ma nessuno di loro beneficerà della pensione, mentre le aspettative di vita aumentano. Questo accade in Italia, negli Stati Uniti, fino alla Russia. Vi è dunque un vasto spazio lasciato vacante dalle destre e dalle sinistre moderate.

E la legge di attrazione del vuoto esiste anche in politica.

Lo spazio che resta lascia il posto ad un prodotto, quello di stampo fascista, conclude il professore, magari non in stile mussoliniano e non xenofobo, ma un partito che si dedichi al conseguimento della sicurezza economica delle masse più ampie, siano impiegati, operai o managers.

La sua forza si concentrerebbe sulle restrizioni corporative, postponendo, se non bloccando, la globalizzazione.

“Non è necessario sapere come si scrive Gemeinschaft o Gesellschaft per capire che la predisposizione al fascismo è alimentata e trova il suo motore nel turbocapitalismo.”

Possiamo davvero fare a meno dei partiti e pensare che il socialismo appartenga al secolo scorso come ci dice Renzi? Il socialismo parte dalla società industriale e parte anche dalle masse e dai territori. Non dai talk show in prima serata.

In Italia e in Europa, i partiti, nel passato, hanno sempre avuto ben chiaro che la grande ricchezza del paese si è sempre ritrovata nel lavoro dipendente. Il problema dell’uguaglianza era stato risolto in larga scala e in larga parte grazie alle rivoluzioni sociali messe in atto da tali partiti.

Certo che la tavola dei valori muta, le diseguaglianze si spostano e si trasferiscono, cambiano forma, ma restano e si riproporranno a lungo.

Ecco la necessità di un partito, che pensi al progresso, alla sicurezza, alla libertà e all’eguaglianza, che sia modello per la società del futuro e per farlo ha bisogno di essere credibile, con una identità, ha bisogno di fare, di programmare, e soprattutto di avere molto coraggio nel dare una svolta, anche drastica se necessario. A volte i cambiamenti avvengono lenti, a volte c’è bisogno di un grande dinamismo per tagliare nettamente col passato. In questo, in parte, il Movimento Cinque Stelle docet.

Ma per tagliare con il passato è necessario sapere dove si è diretti e si deve aver ben chiara cosa sia la storia che insegue eternamente il presente e saperla rispettare.

Italia Viva è un partito che appartiene a quelle logiche del secolo scorso che non funzionano, è l’ultimo residuo della destrutturazione politica che ha avuto corso negli ultimi quaranta anni. È ora di voltare pagina. C’è bisogno di aggiustare il capitalismo.

Questo articolo è stato pubblicato qui

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