Il sinodo, l’Italia che cambia e la politica in ritardo
Si fa un gran parlare in questi giorni del sinodo, presentato come fucina di aperture “rivoluzionarie” su omosessualità e divorziati dai media giubilanti. Ma a ben guardare la realtà è diversa, si può parlare al massimo di riforma (specie a livello di public relations). Ciò non toglie comunque che queste discussioni in Vaticano abbiano, come spesso accade, una influenza sul dibattito politico nostrano. La politica pende dalle labbra della Chiesa, aspettando il nulla osta per avviare qualche riforma, contando sull’ammorbidimento dei vescovi.
La Chiesa si muove con circospezione, in bilico tra la necessità di mantenere la sua dottrina secolare per non perdere la faccia e quella di non deludere le aspettative gonfiate da papa Francesco. Nella Relatio post disceptationem, un documento di sintesi che riassume il dibattito della prima settimana, si citano anche omosessuali e divorziati. Si parla di rispetto e accoglienza per chi è divorziato, sulla necessità di accompagnare singoli casi in un sorta di “piano di rientro” nella Chiesa, con modalità che saranno approfondite in un non meglio precisato futuro. I vescovi sono orientati piuttosto a snellire le procedure di nullità del matrimonio, per dare un colpo di spugna (magari a prezzi più popolari) alle nozze celebrate in chiesa.
Si ribadisce poi l’accoglienza anche per gli omosessuali ma rimane la centralità della dottrina: le unioni gay “non possono essere equiparate al matrimonio fra uomo e donna”, né vanno negate le “problematiche morali”. Poi la stoccata: “non è nemmeno accettabile che si vogliano esercitare pressioni sull’atteggiamento dei pastori o che organismi internazionali condizionino aiuti finanziari all’introduzione di normative ispirate all’ideologia del gender”. Il pensiero non può non andare alle proteste di alcuni paesi africani che hanno introdotto il carcere per i gay violando i diritti umani e che hanno lamentato il pressing internazionale.
Un atteggiamento espresso con parole più esplicite e positive sulla falsariga dell’approccio empatico di Bergoglio. Ma la sostanza non cambia molto: piuttosto la Chiesa tende ad adeguarsi a fenomeni di massa accettati ormai largamente tra i fedeli. È proprio ciò che temono i tradizionalisti più vocianti e su questo non sono mancati scontri nel sinodo. Sui gay si prosegue sulla linea della pastorale del 1986, firmata dall’allora cardinale Ratzinger, che puntava all’accoglimento “umano” ma ribadiva la condanna morale. Sempre tenendo conto che il testo è una sorta di verbale e non un decreto. Persino la stessa sala stampa vaticana ha dovuto frenare gli entusiasmi.
Forse proprio sulla scia del dibattito sull’assemblea dei vescovi ora anche il premier Matteo Renzi è tornato alla carica con la proposta di una legge sulle unioni civili. Alla tedesca, con lo schema della norma che esiste in Germania dal lontano 2001. Con gli stessi diritti e doveri del matrimonio (ma senza chiamarlo così, per carità) e il divieto di adottare bambini esterni alla coppia. Viene consentita quindi solo la cosiddetta stepchild adoption, per i figli di uno dei partner. “Ai vescovi già l’ho detto. Si mettano l’anima in pace”, avrebbe affermato il cattolico Renzi.
Già a settembre ha fatto presente la questione durante un incontro all’ambasciata italiana presso la Santa Sede. Con Silvio Berlusconi convinto dalla sua compagna, Francesca Pascale, e dall’attivista gay Vladimir Luxuria invitata a cena a Palazzo Grazioli (con tanto di selfie), Forza Italia dovrebbe dare l’ok. La contropartita per avere il consenso del Nuovo Centro Destra, che rivendica la difesa dei valori cattolici, è il quoziente familiare. Ma il partito del ministro Alfano potrebbe creare difficoltà.
A ben vedere quella di Renzi è una vecchia promessa, fatta diversi mesi fa. E, in un contesto internazionale dove svariati paesi ormai approvano i matrimoni tra persone dello stesso sesso persino con l’adozione, non è al passo con i tempi. Tra l’altro appare riduttiva, perché solo le coppie omosessuali potranno registrare l’unione civile: sono escluse le coppie eterosessuali. L’Italia, nonostante lo sbandierato slancio di novità propagandato da Renzi, rimane fanalino di coda sui diritti civili e sui temi etici. Mentre la società cambia e si fa più secolarizzata rispetto alla politica, preoccupata di non scontentare il Vaticano. La proposta per accorciare i tempi del divorzio si è arenata in Senato, per l’intervento trasversale della componente cattolica.
Smantellata da mesi la legge 40, è solo di pochi giorni fa la notizia della prima fecondazione eterologa in un ospedale pubblico italiano, il Careggi di Firenze. Ma rimangono tuttora diversi paletti che rendono più difficile la donazione di ovuli e sperma, tanto per fare qualche esempio. Se quindi c’è qualche segnale positivo che non va ignorato, si rimane sempre sulla strada del compromesso per non destare le ire clericali.
Su certi temi c’è una evoluzione del mondo cattolico e nel centro-destra che diventa rilevante, con buona pace delle sentinelle in piedi e degli integralisti, sempre più incattiviti nella difesa della tradizione e della dottrina. Secondo gli ultimi sondaggi, la maggioranza dell’elettorato è ormai a favore del matrimonio gay. La rilevazione Demos indica un 64% dei votanti di Forza Italia a favore, che sono il 56% del Pd, mentre tra quelli di Sel, sinistra e Movimento 5 Stelle si supera il 70%. Persino tra le forze tradizionalmente clericali come Lega Nord e Fratelli d’Italia si arriva al 30%. Solo i sostenitori di Ncd e Udc sono massicciamente contro: più del 90%.
Che aspetta la politica a mostrare più coraggio e a promuovere le riforme laiche di cui il paese ha bisogno? Il permesso della Chiesa?
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