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Il segreto del successo spagnolo, lo scorso trimestre

Sì, è vero, non bisogna sovrainterpretare i singoli dati eccetera. Ma questa non possiamo non segnalarla, a beneficio di tutti quelli che “la Spagna cresce perché ha fatto le riforme, mica come noi”. Il dato finale della variazione di Pil del primo trimestre è esemplare, sotto questo aspetto.

Intanto, lo spoiler: aveva ragione Edward Hugh (mai dubitato), tra poche righe saprete perché. Più in dettaglio, lo 0,4% di crescita trimestrale del Pil spagnolo è frutto di una contribuzione negativa del commercio estero netto, pari allo 0,2%. Su base trimestrale, esportazioni in calo dello 0,8% ed import in crescita dell’1,5%. Investimenti in calo dello 0,6% trimestrale, effetto soprattutto di un calo dell’1,1% degli investimenti fissi tangibili, sui quali pesa il meno 3,3% delle costruzioni, settore ancora in crisi profonda nel paese iberico.

Consumi delle famiglie in crescita dello 0,4% trimestrale. Ma il vero dato eclatante è il più 4,4 trimestrale dei consumi delle amministrazioni pubbliche. Bingo! Come aveva segnalato Edward Hugh, la chiusura fortemente anticipata (a fine novembre, praticamente una tagliola) del processo di autorizzazione di spesa delle amministrazioni pubbliche ha prodotto l’effetto di comprimere la spesa pubblica nel quarto trimestre dello scorso anno, con evidente impatto cosmetico sulla metrica di deficit-Pil. Nel primo trimestre di quest’anno, di conseguenza, è avvenuto il rimbalzo, che ha contribuito in modo decisivo al positivo dato di crescita spagnola complessiva.

Quindi, riepilogando per i pigri: nel primo trimestre 2014, in Spagna la domanda finale interna ha sostenuto l’economia, mentre quella estera ha sottratto crescita. Di tale domanda interna, tuttavia, la componente decisiva, in termini di apporto alla crescita, è data dai consumi delle amministrazioni pubbliche, mentre gli investimenti sono in calo. Un vero modello, no?

Da ultimo, l’occupazione: nel primo trimestre, il numero di posti di lavoro equivalenti a tempo pieno (ULA) è aumentato dello 0,1%, limando il calo su base annua a 55.000 posti di lavoro equivalenti a tempo pieno. Diciamo quindi che, come impatto delle riforme sull’occupazione, la derivata seconda cresce che è un piacere. Ditelo ai nostri editorialisti ed al nostro premier, se vi capita.

 

 

Foto: Bhatt/Flickr

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