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Il protocollo Farfalla e i segreti

di NICOLA TRANFAGLIA

E’ il caso di parlare, ricordando l’intervento del magistrato Roberto Scarpinato, procuratore generale presso la Corte di Appello di Palermo, di fronte alla Commissione Antimafia, di quel che ha significato il “Protocollo Farfalla”, un documento tuttora coperto dal segreto di Stato che è di fatto un accordo segreto tra il Dipartimento Penitenziario e i Servizi segreti per l’Interno (Sisde) per la gestione dei principali detenuti in regime di sicurezza, per gestire alcune informazioni fornite da alcuni mafiosi, senza che rimanesse alcuna traccia nei registri carcerari.

Questo è quello che ha rivelato l’attuale vicepresidente della Commissione Parlamentare di inchiesta sulla mafia, Claudio Fava parlando di un documento che è stato trovato fin dal 2006 durante una perquisizione disposta dai pm romani Maria Monteleone e Erminio Amelio che stavano indagando su Salvatore Leopardi, il magistrato palermitano finito sotto inchiesta per aver rivelato le informazioni di un pentito al Sisde. Tutto è complicato da vicende precedenti che hanno avuto luogo nei primi anni del ventesimo secolo e che si sono verificate anche durante il governo Berlusconi, succeduto nel 2008 al secondo governo Prodi. Si è appreso proprio in questi giorni che un uomo dei servizi segreti ha opposto il segreto di Stato sul Protocollo Farfalla, di fronte a una domanda precisa della Commissione parlamentare antimafia e il colonnello Raffaele Del Sole dell’AISI (ex Sisde) ha rifiutato finora di rispondere alle domande dei magistrati.

Peraltro il documento di cui ora molto si discute, cioè il Protocollo Farfalla, è stato introvabile fino a quando, molto di recente, è stato inviato a Palermo con gli interrogatori fatti nelle precedenti inchieste. Da questo punto di vista, la situazione appare preoccupante se non interviene il governo, anche se già il 24 novembre 2011 la Sesta Sezione del Tribunale di Roma ha stabilito che il processo contro Leopardi ed altri può proseguire "a prescindere, almeno per ora, dalla legittimità del segreto di Stato”, riaffermata dal governo Berlusconi nel 2011. In una situazione come questa, che il procuratore generale di Palermo ha definito ancora “preoccupante” riferendo alla Commissione Antimafia particolari importanti delle indagini sue e del sostituto procuratore generale Luigi Patronaggio, in vista del processo di Appello contro il generale Mori e il colonnello Obinu.

Scarpinato, a quel che si apprende, ha insistito sui rapporti tra i servizi segreti dell’interno, il Ros e i mafiosi implicati e questo fornisce elementi che forse possono far capire meglio il quadro politico complessivo che si determinò all’inizio degli anni Novanta in Sicilia, come in Italia. Era stato Giovanni Falcone a dirci con chiarezza, qualche mese prima di essere ucciso, due cose che in questo periodo mi vengono spesso in mente di fronte a quel che succede nel Paese che ancora, malgrado tutto, continuo ad amare. Falcone disse a Marcelle Padovani, che lo intervistava:

”Io credo nello Stato e ritengo che sia proprio la mancanza di Stato come valore interiorizzato a generare quelle distorsioni presenti nell’animo siciliano; il ripiegamento sulla famiglia, sul gruppo, sul clan; la ricerca di un alibi che permetta a ciascuno di vivere e lavorare in perfetta armonia, senza alcun riferimento a regole di vita collettiva. Che cosa se non il miscuglio di anomia e di violenza primitiva è all’origine della mafia? Quella mafia che essenzialmente, a pensarci bene, non è altro che espressione di un bisogno di ordine e quindi di Stato.”

E la seconda è, per certi versi, ancora più triste:

”Nei momenti di malinconia mi lascio andare a pensare al destino degli uomini di onore: perché mai uomini come gli altri, alcuni dotati di autentiche qualità intellettuali, sono costretti a inventarsi una attività criminale per sopravvivere con dignità?” 

Di fronte a pensieri come quelli che ho ricordato, c’è prima di tutto il rimpianto per la sua morte precoce ma anche la consapevolezza di quella che il giudice palermitano aveva capito prima e meglio di tanti altri, cioè l’idea che nelle stragi di mafia non ci siano soltanto le associazioni mafiose ma forze occulte presenti nella società italiana (il pentito Vincenzo Calcara ha scritto qualche giorno fa in una lettera al direttore di AntimafiaDuemila, Giorgio Bongiovanni: “Esiste una super commissione nazionale, vertice di cinque entità: Cosa Nostra, ‘Ndrangheta, P2, Vaticano deviato e servizi segreti deviati che hanno deciso le grandi stragi del ’92-’93").

 

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