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Il pensiero di Scola sulla blasfemia, così clericale e interessato

Secondo un lancio Ansa, il cardinale Angelo Scola ha chiesto di eliminare le leggi che puniscono la blasfemia. Davvero l’arcivescovo di Milano, già papabile favorito durante l’ultimo conclave, ha fatto propria una delle istanze laiche più importanti del momento, la richiesta di abolizione di ogni tutela penale del sacro?

Come sempre, quando si è in presenza di una dichiarazione di un autorevole esponente cattolico che appare innovativa, il diavolo c’è e sta nei dettagli. Prima di tutto, il contesto: il convegno internazionale Costantino a Milano. L’editto e la sua storia, che si tiene in questi giorni organizzato da Università Cattolica del Sacro Cuore, Università degli Studi di Milano e Biblioteca Ambrosiana, sull’editto del 313 emanato dal primo imperatore cristiano, che sanciva la libertà religiosa dei cristiani. L’idea diffusa dal Vaticano è che solo grazie a Costantino è nato il concetto di libertà religiosa, perché con lui finirono le persecuzioni contro i cristiani: il che è vero, ma racconta solo una parte della storia. Perché già con i discendenti di Costantino, e con ancora più determinazione con Teodosio, furono avviate massicce discriminazioni nei confronti dei non cristiani durate oltre un millennio.

Il problema della libertà religiosa, ricorda Scola, è “un’emergenza sempre più globale”. In molti paesi orientali sussiste una “vera e propria persecuzione violenta su base religiosa di coloro che professano una fede diversa da quella ufficiale”. “Ma anche in Occidente non mancano limitazioni”, sostiene, “talora non di poco conto, della libertà religiosa”. In quei paesi dove “domina ancora la religione di Stato, dove ancora non si è scoperto il valore di una ’sana laicità’”, continua, “tutelare la libertà religiosa significherà primariamente incoraggiare il pluralismo religioso e l’apertura a tutte le espressioni religiose, per esempio eliminando le legislazioni che puniscono anche penalmente la blasfemia”. Anche in Occidente “è urgente superare la latente diffidenza verso il fenomeno religioso insita nell’ambiguità di alcune concezioni della laicità che generano un clima non certo favorevole a un’autentica libertà religiosa”.

La questione della libertà religiosa, ammette Scola, “si impiglia in un nodo in cui s’intrecciano gravi problemi” particolarmente vivi nelle società occidentali. Come il rapporto tra “verità oggettiva e coscienza individuale”, la “coordinazione tra comunità religiose e potere statale” (si veda la tendenza al comunitarismo tradizionalista che invoca speciali privilegi e deroghe alle leggi valide per tutti). E, dal punto di vista teologico, “la questione dell’interpretazione dell’universalità della salvezza in Cristo di fronte alla pluralità delle religioni”. Ma anche il rapporto tra “ricerca religiosa personale e la sua espressione comunitaria”, la distinzione da parte dello Stato tra “una religione autentica da ciò che non lo è” e il rapporto tra sette e religioni. E, ancora, “l’acuto problema della libertà di conversione” e l’equilibrio tra “libertà religiosa e pace sociale”.

In realtà la maggiore preoccupazione di Scola è abolire il reato di blasfemia nei paesi islamici perché colpisce talvolta i cristiani. In Occidente, invece, chiede più spazio per la religione, all’insegna di una “sana laicità” cattolica. Che implica una maggiore ingerenza ecclesiastica negli affari temporali. Leggi che criminalizzano la blasfemia esistono tuttavia ancora in Occidente e nella stessa Italia, e vengono non raramente applicate: per il punto normativo rimandiamo alle nostre schede su vilipendio e bestemmia. Si assiste quindi a un doppio registro delle gerarchie cattoliche: si chiede giustamente l’abolizione delle leggi che consentono di criminalizzare i cristiani accusati di bruciare il Corano o di insultare Allah — e che colpiscono anche i non credenti o gli apostati — ma non si chiede la fine delle norme che per esempio criminalizzano i musulmani che gettano il crocifisso, come capitato ad Adel Smith. Lungi da noi sostenere che sia corretto gettare un crocifisso, ma ciò non può essere un reato oggetto di una tutela privilegiata.

Ancora una volta, i concetti di libertà religiosa e di laicità vengono stiracchiati ad usum ecclesiae, invocando cioè massima libertà per sé e concedendone una residuale per gli altri non cristiani, limitata ai soli aspetti in cui si ritiene non pregiudichi la propria. Del resto, il prelato vicino a Comunione e Liberazione è noto per sparate anti laiche, come quando ha tuonato contro lo Stato “senza Dio”.

Tanto per cambiare, non c’è dunque alcun cambiamento nelle sue parole. Solo la bimillenaria ricerca di ampliare gli spazi occupati dalla propria fede a danno degli altri. Un approccio veramente laico da parte delle gerarchie ecclesiastiche non è certo alle porte. A maggior ragione se chi dovrebbe farsene alfiere è anni luce distante dalla teoria e dalla pratica della laicità. Quella senza aggettivi.

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