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Il muro della negligenza

L’Unione europea attraversa una difficile crisi esistenziale e sembra aver smarrito gli interessi comuni.

L’Eurogruppo chiede il time out, una pausa di riflessione prima di sciogliere la riserva sul nuovo accordo con la Grecia. Per i cittadini, invece, è arrivato il momento di decidere se debbano o meno abituarsi ad un continente europeo diventato il bivacco di ideali malandati e deboli ricordi di aspirazioni sovranazionali, sebbene capaci dalla metà del XX secolo di compiere una specie di miracolo: unire popoli che conobbero l’odio portato da guerre fratricide. 

Un cambiamento che forse fu agevolato dal contesto della Guerra Fredda, ma comunque di rara grandezza e sarebbe un grave errore considerarlo a distanza di decenni come un fatto scontato, un esito in qualche modo connaturato alla nostra cultura del tempo.

Ma oggi cosa sta accadendo all’Europa? Come scriveva Kapuściński non basta visitare il mondo per affermare di conoscerlo, perché esso è in continuo cambiamento e non si finisce mai di imparare. L’Unione europea, probabilmente, è stata l’eccezione, riuscendo nell’impresa quasi impossibile di rimanere immobile, mentre il mondo intorno ad essa è cambiato.

Il punto non è di stabilire che cosa sia nata prima tra la crisi dell’Euro e la crisi nazionale dei paesi più deboli dell’eurozona, perché ci perderemmo nei meandri affollati delle teorie economiche ex post, che fanno tornare in mente la canzone di Jannacci “Se me lo dicevi prima”. La questione è invece un’altra, e ha a che fare con il muro di gomma che la Commissione europea sembra aver costruito attorno a sé.

Qualsiasi progetto politico non parte senza una visione trascinante ed allo stesso modo non dura nel tempo se questa visione non comunica più un sentimento di partecipazione. Mettere un paese dell’Unione alla porta aprirebbe la strada ad un pericoloso precedente che getterebbe nella precarietà l’adesione di tutti gli altri paesi dubbiosi di subire la stessa sorte.

Allo stesso modo si rimane increduli per la perdurante esitazione mortifera davanti al fenomeno migratorio. Quest’ultimo merita una soluzione organica, in seno a tutti i paesi membri, a prescindere dalla rispettiva collocazione geografica, altrimenti siamo di nuovo nella situazione dannosa di creare dall’alto differenze tra un paese e l’altro. Eppure, stiamo tornando a considerare le frontiere militarizzate come il limite estremo dell’offesa e della difesa. 

Ma, quando si mettono in campo simili progetti difensivi, automaticamente si innescano dei meccanismi nell’immaginario collettivo soprattutto delle nuove generazioni. Il fai da te di questi giorni ideato per frenare i migranti sul confine italo-francese e serbo-ungherese finirà per incattivire gli animi di chi preferisce chiudersi in una gabbia dorata e creare disperate periferie all’esterno.

Per una volta l’atteggiamento eurocentrico dovrebbe cedere la parola alla saggezza orientale del taoismo che insegna come una casa via e utile sia fatta di porte e finestre, e non solo di muri. Noi europei stiamo perdendo l’originaria visione universale di casa comune, pensando di opporre muri di cemento armato o di gomma agli avvenimenti esterni ed interni che invece hanno una portata travolgente.

Non capire questo e rispondere ai segnali d’allarme facendo spallucce è il grande errore che si profila all’orizzonte attraverso la riscrittura del mito dell’isolazionismo chiamato in aiuto per difendere il benessere collettivo di alcuni, un mito già in passato capace di ottenebrare le menti pensanti.

Siamo perfettamente consapevoli dell’importanza che l’Unione europea ha avuto ed ha per il nostro progresso, ma in tutti questi anni ci siamo preparati per un’Europa che non è questa di oggi, dove alcuni europei sono meno europei di altri.

Foto: Wikipedia Commons

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