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Il mio Derby. Il "tifo" tra Juve e Toro

Fin da piccolo, ho sempre coltivato un certo amore per il calcio: come ogni bambino italiano in questo mondo, sono cresciuto con l’idea che l’unico sport veramente bello fosse quello del pallone e, di conseguenza, tifare una squadra era un modo per essere più legato alla mia nascente passione. Essendo io piemontese, le squadre più tifate dai miei cari erano sostanzialmente due, Torino e Juventus.

Da subito, mio nonno buonanima mi ha preso sotto la sua egida, portandomi fin da piccolo nei luoghi calcistici a lui cari, come il “Combi”, campo in cui si svolgeva la preparazione atletica della Juventus, o lo Stadio Comunale (ora Olimpico), impianto dove, quando io ero piccolo, si svolgeva unicamente la preparazione tecnica della Madama. Perciò, i miei primi ricordi calcistici erano composti da sciarpe bianconere al collo, gli Hurra Juventus da “leggere” e la maglietta di Zinedine Zidane (quella dell’anno 97/98) da indossare alle prima partite al Delle Alpi, mostro edilizio e stadio torinese degli anni ’90.

La mia infanzia, dunque, è stata inconsapevolmente bianconera, in nome dell’indottrinamento materno e "granpaterno", delle vittorie di Lippi e della facilità con cui si poteva essere felici per il calcio. Tuttavia, stava crescendo in me un altra fede, “quell’altra”, quella della sofferenza: un giorno, i miei nonni materni mi portarono a Superga e mio nonno mi raccontò la storia di quell’aereo che, in un giorno di maggio, centro in pieno il muraglione della basilica torinese. Mi ricordo distintamente il giorno successivo a questa mia visita; io, all’asilo, andai da un mio amichetto e, con aria seriosa, gli chiesi: “Hai mai sentito di Superga?”. Lui ovviamente mi disse di no, e io gli raccontai di come il Torino morì in quel terribile schianto. Lui, sempre serioso, mi disse “ma anche Ferrante?”, riferendosi al bomber allora appena giunto nella squadra torinese. Non ricordo cosa gli dissi dopo, ma il fatto che me ne ricordo ancora dopo 16 anni, vuol dire che questo evento ha segnato un punto importante nel mio processo di crescita, quello che diede inizio ad un autentico derby interiore.

Per anni, la mia fede calcistica fu in ballo tra “Toro” e “Juve”, granata e bianconero, sofferenza e vittorie. Poi, arrivò la stagione 2001/2002 ed il giorno 14 ottobre 2001, quello del derby di andata. Dopo che la Juventus aveva dominato il primo tempo per 3-0, io ero andato tranquillamente a giocare in cortile, incurante di quello che sarebbe successo nel secondo tempo. I miei ricordi ritornano vividi solo in preciso momento, quello del rigore, un rigore per la Juve. Un rigore che andò alle stelle. Io ero sempre fuori, ma al momento dell’errore, saltai in alto, con le braccia aperte e gridai di felicità. Mi sentivo parte di qualcosa, mi sentivo parte del Toro.

Il “mio” derby, era finito; aveva vinto il Toro! Non riesco a dire se abbia “giocato meglio” o meritato “la vittoria”. Ha vinto perché il “cuore” mi disse così, perché quella maglietta, quel colore, mi emozionavano. In quel momento, tuttavia, non sapevo a cosa sarei andato incontro: infatti, sebbene la mia famiglia “granata” mi ha raccontato dei trionfi e dei protagonisti, non ero stato preparato a quella che è la sofferenza, lo scoramento, la rabbia che si prova ad essere tifosi del Turin. Non gli rimprovero questa mancanza, perché con il tempo ho imparato da solo cosa vuol dire “Essere Granata”, ed è andata meglio così. Essere sempre i “secondi” e lottare strenuamente per ogni obiettivo, seppur minimale, porta ad essere felici anche per le piccole cose, ad apprezzarle come se fossero scudetti o coppe, rendendomi, anzi, rendendoci fieri ogni volta di più di questa “scelta” che, come ogni fede che si rispetti, va ben oltre lo sport, sconfinando nel modo di essere.

Bando alle ciance! Stasera sarà l'ora di un altro derby, nella mia città, Juventus contro Torino. La “Mole” divisa in due ed una città pronta ad urlare. Non amo fare pronostici, lascio il gioco a determinare il vincitore. Anche se, in fondo, il “mio” derby ha avuto, ha e avrà un solo vincitore.

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