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Il furto del nostro futuro. La Gelmini e il paradosso dei professori a contratto

Gelmini? Robin Hood al contrario

Nell’incertezza inquietante nella quale vaghiamo, laureati della generazione zero, così soprannominati dai più, considerati dei bamboccioni, sotto assedio della società, avevo trovato un posticino per la mia dignità calpestata nel mondo del lavoro. Quel che per anni avevo rincorso, la possibilità di condividere il sapere appreso, senza difetto di trasmissione o ancor peggio risparmio emotivo, l’ho trovata, l’ho amata, potendo insegnare a studenti di Infermieristica il sapere che per lungo tempo avevo coltivato ed accresciuto. Per nulla appagata economicamente, pur sempre una precaria, sempre alla ricerca di altri lavori che supportassero il mio ingente desiderio di dedicarmi all’insegnamento, mi sono sentita realizzata e investita di una grande fortuna che per 5 anni ho espresso nel modo migliore, continuando a studiare e a informarmi, iscrivendomi a corsi, a convegni, ricercando aggiornamenti, metodi didattici appetibili, riscoprendo le necessità e la sete di sapere di studenti che non ho mai trovato annoiati o opportunisticamente presenti, riscuotendo dalla mia il successo più grande: l’apprezzamento e il riscontro scientifico dei miei studenti e dei miei colleghi!

Bene, questa possibilità mi viene strappata, il mio cantuccio di tranquillità (seppur minimo) viene violato, la passione per la cultura minata, i buoni propositi non considerati, e da precaria si ritorna disoccupata!
Ma è la motivazione che non accetto, sono le ragioni irragionevoli a cui non mi arrendo, è il furto fatto al mio futuro che mi fa rabbia.
 
È ufficiale e già applicata la legge 240/2010 – la cosiddetta “legge Gelmini” - di riforma dell’università, approvata dal Parlamento lo scorso mese di dicembre (a due giorni dal Natale, quando la gente si ritiene in vacanza dai pensieri) promulgata il 30 dicembre ed entrata in vigore il 29 gennaio 2011; lunga 37 pagine della Gazzetta Ufficiale e snodata in 29 articoli in cui vengono avanzati 4 elementi di criticità dal Presidente della Repubblica in persona.
 
Eppure al di là dei 4 elementi di criticità, nonostante la dubbia ragionevolezza espressa e l’assenza di meritocrazia confermata dai vertici così come dalle masse, l’articolo 23 della legge risulta già applicato, basta consultarne i bandi pubblicati sui siti delle Università italiane (consultare ad esempio questo link).
 
L’attuazione della legge, scrive il Capo dello Stato, «è demandata a un elevato numero di provvedimenti, a mezzo di delega legislativa, di regolamenti governativi e di decreti ministeriali», in tutto oltre quaranta. In questo processo, che richiederà mesi, Napolitano invita a affrontare le “criticità” indicate. Si tratta di rimettere mano a quattro questioni: il titolo di professore aggregato (la legge lo modifica e lo abolisce al contempo), le borse di studio “territoriali” volute dalla Lega, i criteri per diventare professori a contratto, gli stipendi dei lettori madrelingua. Alla Camera, durante un tormentato dibattito, sono entrati nel testo alcuni errori e incongruenze.
 
Eppure nonostante l’invito del Presidente Napolitano a correggere le formulazioni equivoche della legge, e nonostante il ministro Gelmini abbia annunciato che i richiami di Napolitano sarebbero stati accolti dal governo, (difatti il Ministro conferma: “Insieme al governo e al presidente Berlusconi certamente terremo conto delle osservazioni del Colle”), oggi la legge proprio nei suoi punti di criticità, viene applicata in toto.
 
Quel “sì, però” pronunciato dal Colle e non considerato dalla maggioranza oggi restituisce un altro precario alle percentuali in crescita dell’indice di disoccupazione.
 
L’articolo 23, infatti, recita: «Le università (…) possono stipulare contratti della durata di un anno accademico e rinnovabili annualmente per un periodo massimo di cinque anni, a titolo gratuito o oneroso, per attività di insegnamento al fine di avvalersi della collaborazione di esperti di alta qualificazione in possesso di un significativo curriculum scientifico o professionale, che siano dipendenti da altre amministrazioni, enti o imprese, ovvero titolari di pensione, ovvero lavoratori autonomi in possesso di un reddito annuo non inferiore a 40.000 euro lordi».
 
Non sono dipendente di altre amministrazioni, né di enti, né di imprese. Ho 34 anni e sono una precaria, ergo non una pensionata. E sicuramente non figuro come una lavoratrice autonoma con un reddito di 40.000 euro lordi come la legge Gelmini vuole, probabilmente non avrei avanzato domanda di insegnamento alla Facoltà di Medicina per 21 ore e 540,00 euro. E dunque sono estromessa dalla possibilità, l’unica che mi avevano concesso fino al 2010, di partecipare al conferimento di incarichi di insegnamento universitario.
Non è il merito a permetterti l’accesso all’insegnamento che fino a ieri potevano richiedere tutti coloro che, laureati, presentavano un degno curriculum formativo composto da pubblicazioni e attività formative, ma è il portafoglio e la garanzia che tu non appartenga a quella fascia di svantaggiati e disagiati che sono i disoccupati.
 
E dunque la dubbia ragionevolezza espressa da Napolitano e che riguarda la limitazione oggettiva riferita al reddito, diventa ragionevolezza e viene applicata già oggi dai Rettori universitari che nulla hanno disposto in maniera contraria all’inadeguatezza esplicita e ovvia del provvedimento.
 
La legge è: illogica (come ha fatto autorevolmente rilevare il Presidente della Repubblica); discriminatoria, proprio perché privilegia i ricchi a danno dei meno ricchi; quasi certamente incostituzionale, perché limita la libertà di insegnamento sulla base del censo; controproducente, perché i professori a contratto (circa 50.000) coprono una parte rilevante degli insegnamenti nelle università e sono in numero superiore alla somma dei docenti ordinari e associati (37.000).
 
E pensare che per Mariastella Gelmini i giovani erano l’obiettivo della legge; probabilmente nel senso che si sarebbero trovati nel mirino della legge!
E quest’ultima affermazione concedetemela soprattutto dopo aver letto nell’articolo 4 una spudoratezza inaccettabile anche per il Capo dello Stato e che non riguarda il corpo docente, bensì gli studenti e relativo alla concessione di borse di studio.
 
La legge a parere di Napolitano “appare non pienamente coerente con il criterio del merito” nella parte in cui prevede una riserva basata anche sul criterio dell’appartenenza territoriale. Proposta di evocazione leghista che la maggioranza ha accettato e introdotto nella legge in questione.
 
Cosa c’entra il merito con l’indirizzo di residenza? In sostanza chi proviene dalla Basilicata o dalla Calabria e studia in una Università campana non avrebbe lo stesso pieno accesso alle domande di borsa di studio (pur magari avendone maggior necessità) dei residenti nella Regione Campania.
Se questa legge fosse esistita nel 1998 oggi molti colleghi che rivestono ruoli accademici di indiscussa professionalità e per sicura meritocrazia non starebbero ai loro posti a cercare di migliorare le condizioni culturali e le procedure organizzative degli istituti universitari. Ieri quelle borse di studio concesse hanno permesso a queste persone di intraprendere gli studi e raggiungere i notevoli risultati, ieri quando non vi era distinzione di reddito, di classe, di provenienza, di appartenenza territoriale.
 
È una società sotto assedio, siamo uomini confusi, incalza l’individualismo e la competitività, ma non lo meritiamo.

Commenti all'articolo

  • Di fulviob55 (---.---.---.143) 8 marzo 2011 11:25

    Berlusconi, anni fà, disse: Non pretenderete che il figlio di un operaio abbia le stesse opportunità del figlio di un avvocato! Si parlava di meritocrazia anche allora.
    A questi politici non interessa il futuro del paese, visto che il futuro è nei giovani, e lo si evince appunto come Lei fa notare, dal fatto che contano solo i dati economici.
    Fa rabbia poi che il presunto risparmio viene girato alle scuole private, scuole che, ad esempio, i miei figli non potranno frequentare stante il nostro reddito famigliare, non basso ma neanche tale da pagare le rette delle scuole private. Figuriamoci chi lo ha più basso.
    Non gli interessa la meritocrazia, chè cambierebbe lo status quo dei baroni.
    Le borse di studio territoriali sono una vendetta di Bossi contro i professori terroni, parole sue, che più volte hanno bocciato il Trota solo perchè.." é mio figlio ".
    Stante la situazione, tra qualche anno mi piacerebbe essere una mosca per volare nelle case di quelli, gente normale, hanno difeso questa presunta riforma, e sentire i loro commenti man mano si rendono conto degli effetti che ha avuto sul loro, e sui nostri, figli.

  • Di (---.---.---.161) 8 marzo 2011 12:12

    nel testo non c’è aggiunto che i contratti sono stati fatti e firmati prima che la Gelmini passasse e, con una norma retroattiva, sono stati congelati tutti quelli che non rientrano in questo meccanismo a data da stabilirsi...molto probabilmente mai in quanto finirà l’anno accademico a breve...

  • Di (---.---.---.164) 8 marzo 2011 12:50

    La scuola è veramente in brutte mani, ma...

    notiziedelfuturo.blogspot.com/2011/03/un-nuovo-reality-la-squola.html

  • Di (---.---.---.154) 9 marzo 2011 16:12

    Articolo di indubbio interesse che coniuga l’esperienza personale con un’approfondimento documentato della "legge Gelmini" enucleandone le criticità.

    Complimenti
    F.S.C.

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