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Il figlio unico in Cina: storia di una politica devastante

Storia passata e presente di una politica devastante – La politica del figlio unico cinese. 

 

Di Erika Ardemagni

Più bambini significa più felicità, i bambini avuti presto portano presto la felicità.

(Confucio)

Nel 2013 il governo cinese, con una modifica della normativa sulla pianificazione familiare, ha posto al bando la regola del figlio unico. Ma che cosa comportava e (come vedremo) cosa ancora comporta questa politica di controllo delle nascite?

Per ben comprendere di che cosa effettivamente si tratta ripercorreremo brevemente le tappe storiche della Cina a partire dall’avvento del Comunismo. Con la Rivoluzione Cinese del 1949 nacque la Repubblica Popolare Cinese proclamata da Mao Tse-tung, il quale fortemente convinto dell’idea di autosufficienza della nazione cinese si fece portatore del pensiero del filosofo Confucio, prevedendo l’introduzione di forti politiche a favore della natalità con sussidi statali, proibizione delle pratiche di aborto, di sterilizzazione e dei metodi contraccettivi. Nel 1953 tali proibizioni vennero rimosse attraverso la legalizzazione dell’aborto (seppur in casi particolari) e la concessione dell’uso di anticoncezionali.

Nel 1962 il baby boom cominciò a preoccupare il governo cinese, che intraprese una prima blanda azione di pianificazione familiare esclusivamente nelle aree urbane più densamente popolate. Solo tra il 1973 e il 1979 venne lanciata una vera e propria politica di controllo delle nascite in quanto il sovrappopolamento veniva considerato di ostacolo allo sviluppo e alla modernizzazione: inizialmente si applicò il motto “Wan Xi Shao” ossia matrimoni e gravidanze a un’età più avanzata, lunghi intervalli tra un figlio e l’altro e soprattutto meno figli, al massimo due per coppia. Ciò nonostante nel 1979 la popolazione cinese si attestava a un livello corrispondente al 25% della popolazione mondiale, aveva a disposizione solo il 7% della superficie coltivabile e due terzi dei cinesi avevano meno di 30 anni.

Tale situazione provocò un inasprimento delle regole di pianificazione familiare e l’introduzione da parte del governo di Deng Xiao Ping della famigerata regola del figlio unico. Furono stabiliti trend di crescita che dovevano portare nell’anno 2000 al raggiungimento della crescita zero. Fu quindi creata la Commissione di Stato per la Pianificazione Familiare. Emblematicamente nel 1982 i principi di pianificazione familiare e di limitazione della crescita della popolazione vennero inseriti nella nuova Costituzione (artt. 25 e 49). Pertanto, negli anni ’90 si potevano contare in Cina 300mila ufficiali di pianificazione familiare, cui si univano le migliaia di volontari o quadri membri del Partito.

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Le strette regole di pianificazione prevedono in particolare che ogni donna per poter concepire e portare a termine la gravidanza, a prescindere che si tratti o meno della sua prima gravidanza, debba avere un "permesso ufficiale" rilasciato da uno dei tanti uffici capillarmente sparsi sul territorio. Formalmente esistono eccezioni alla regola del figlio unico che prevedono l’esenzione dal rispetto della normativa per le minoranze religiose, per le coppie contadine la cui prima gravidanza ha portato alla nascita di una bambina, la possibilità di pagare una forte sanzione pecuniaria, nonché eccezioni una tantum come nel caso del terremoto del Sichuan occorso nel 2008. Quantomeno secondo la versione ufficiale.

Purtroppo la prassi è ben altra: le donne sprovviste del permesso ufficiale sono costrette all’interruzione di gravidanza e in alcuni casi persino alla sterilizzazione; chi si oppone a tali pratiche è sottoposto a ulteriori violenze e incarcerato. Nel corso degli ultimi anni sono state piuttosto frequenti le denunce di aborti e sterilizzazioni forzate e nonostante il governo cinese non abbia mai ammesso il ricorso alla pratica dell’aborto indotto, ci sono numerose prove del contrario, peraltro facilmente reperibili in rete. Immagini e testimonianze che io stessa ho dovuto visionare per poter circostanziare tali accadimenti, che hanno profondamente urtato la mia sensibilità e che ho deciso di non pubblicare direttamente, indicandone solo le fonti.

Tuttavia, nonostante la delicatezza dell’argomento ed essendo fortemente consapevole del sentimento di orrore che provocherò nei lettori, ritengo indispensabile sottolineare per iscritto le modalità di queste interruzioni di gravidanza: iniezioni in utero entro il sesto mese; oltre tale termine l’induzione al travaglio con conseguente iniezione letale al cranio del feto durante la fase di espulsione; nella malaugurata ipotesi in cui il neonato sopravviva temporaneamente, viene lasciato agonizzare al fianco della madre, come a monito per future ed eventuali disobbedienze. Numerosi anche i casi di sterilizzazioni forzate in presenza di controindicazioni per la vita della donna, come ad esempio problemi di coagulazione o altre malattie connesse. Il governo cinese, questa volta sì ufficialmente, si vanta di aver evitato nei 35 anni di applicazione della normativa la nascita di ben 400 milioni di bambini.

Ma quali effetti ha una simile violenza sulle donne e sugli uomini? Se le discussioni sugli effetti psicologici dell’interruzione volontaria di gravidanza sono fortemente indiziati di parzialità sia da parte di chi intende non riconoscere questo diritto, sia da parte di coloro che invece tendono a difenderlo, ciò che è sicuramente privo di ogni sindacabilità è il dolore di una madre e di un padre che vengono arbitrariamente privati del loro bambino o del nascituro che hanno desiderato.

Nonostante i soprusi e i tentativi di induzione all’aborto, migliaia di bambini vengono comunque alla luce illegalmente, in condizioni che comportano la loro mancata registrazione nelle anagrafi e quindi l’impossibilità di godere di qualsivoglia diritto politico o sociale, nemmeno il diritto alla salute con l’accesso agli ospedali o ai farmaci. Quanto alle "fortunate" che ottengono il permesso ufficiale rilasciato dagli uffici di pianificazione familiare, la politica del figlio unico ha un altro disastroso effetto: il figlio deve essere necessariamente maschio. Si apre quindi la porta a quello che in un articolo apparso su The Economist nel 2010 è stato chiamato "Gendercide", la sistematica eliminazione dei nascituri femmine.

In un Paese in cui la maggioranza della popolazione è sempre vissuta nelle campagne in condizioni di indigenza, le figlie femmine costituiscono un peso poiché è necessario trovar loro un marito e fornirle di dote mentre, invece, la nascita di un figlio maschio assicura la promessa di un sostegno sicuro al reddito familiare. Se prima, per ovviare a questo “problema”, si ricorreva a metodi brutali, oggi è sufficiente una ecografia (che in Cina a questi fini è vietata, ma non a Hong Kong, dove si può effettuare con l’assistenza di agenzie compiacenti) e la conseguente interruzione, questa volta volontaria, di gravidanza.

Ciò ha creato un pesante squilibrio demografico a causa del quale in alcune regioni della Cina le nascite maschili supererebbero quelle femminili addirittura del 30%. Le conseguenze non sono unicamente demografiche, ma anche sociali: favoriscono di fatto fenomeni come lo sfruttamento sessuale e la tratta di donne provenienti da Cambogia, Myanmar e Vietnam, oltre a provocare un altissimo tasso di suicidi femminili (in Cina si stimano circa 182 mila suicidi di donne all’anno). Insomma una circolo vizioso senza fine. E nonostante alla fine del 2013 tutti i media abbiano enfatizzato la notizia della sospensione in Cina della politica del figlio unico, in realtà alla norma è stata apportata solo una modifica: la possibilità di avere al massimo due figli è riservata esclusivamente a genitori entrambi figli unici. Per tale ragione, verosimilmente, la condizione di queste donne non migliorerà sensibilmente nel corso dei prossimi anni.

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Venendo come sempre alle considerazioni personali, può apparirmi come condivisibile l’idea di una educazione sessuale e culturale che favorisca consapevolezza nella decisione di mettere al mondo un figlio, e che quindi per ciò stesso si traduca in una più o meno efficace politica di controllo delle nascite, affiancata da un aumento degli standard di welfare (che attualmente sembrano mancare in Cina) in un Paese che di fatto ospita un quarto della popolazione mondiale.

Per quanto concerne una legge sull’interruzione volontaria di gravidanza, personalmente ritengo sia necessaria entro determinate modalità e a determinate condizioni per tutelare la salute della donna (anche il diritto alla salute della donna è un diritto umano inalienabile, e focalizzare tutta l’attenzione sul diritto alla vita del nascituro è a mio parere ingiusto oltre che non sufficiente per risolvere questo delicato problema), e questa scelta deve essere lasciata alla donna.

Cionondimeno mi pare evidente che, a prescindere dalle tendenze pro o anti abortiste, ci troviamo di fronte a una situazione inaccettabile, inumana e degradante sotto molteplici punti di vista: innanzitutto perché non consente una libera scelta, con conseguente violazione della libertà di autodeterminazione; e anche quando si tratti di una interruzione volontaria questa scelta è esercitata sotto una potentissima spinta culturale (per esempio, slogan anti-figli sono affissi ovunque per le città cinesi); perché questa politica si pone in netto contrasto con il diritto alla salute fisica e mentale della donna; perché nega ciò che in un’ottica CEDU verrebbe definito come il diritto alla vita familiare e privata, che racchiude anche il diritto al rispetto della decisione di avere o non avere un figlio; e perché viola palesemente il diritto alla libertà di religione o credo e di convinzione personale. Sono stati infatti denunciati anche numerosi casi di applicazione della regola del figlio unico e aborti forzati nei confronti di minoranze religiose che ne sono formalmente esentate. Inoltre questa politica favorisce fortemente fenomeni di discriminazione di genere come l’aborto selettivo di nascituri femmine, lo sfruttamento sessuale, la tratta di donne, il suicidio femminile.

Da ultimo, ma non per questo meno importante, ci pone di fronte alla barbarie dell’interruzione della vita di nascituri perfettamente sani, senza riconoscere il loro diritto alla vita nonché la possibilità di essere amati e di portare quella gioia per cui sono stati tanto desiderati. Alla faccia di Confucio.

Erika Ardemagni per Segnali di Fumo

 

Foto: Beyon Neon/Flickr

Questo articolo è stato pubblicato qui

Commenti all'articolo

  • Di (---.---.---.201) 25 novembre 2014 14:12

    nel mondo ci sono troppi cinesi , la violenza è brutta ma se adesso ci fossero 2miliardi di cinesi invece di 1miliardi e 300 milioni sarebbe già scoppiata la terza guerra mondiale.

    in italia ci sono troppi cinesi, dobbiamo rimandarli a casa , altro che aborto si rischiano linciaggi e guerra

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