• AgoraVox su Twitter
  • RSS
  • Agoravox Mobile

 Home page > Tribuna Libera > Il femminismo materialista é strutturalmente abolizionista!

Il femminismo materialista é strutturalmente abolizionista!

Intervista a Maddalena Celano, della segreteria nazionale di Convergenza Socialista, 

dal sito: www.ideologiasocialista.it

Clara Treves:

Il dibattito sulla prostituzione non è una novità nel movimento femminista. Tuttavia, nei mesi precedenti, abbiamo assistito ad un aumento della controversia che circonda questo problema, all'interno delle assemblee organizzative dello sciopero femminista, che ha conosciuto nuovi scontri tra le abolizioniste e le regolamentariste.

Maddalena Celano:

I marxisti sono contrari alla regolamentazione della prostituzione. Siamo contrari ai postulati liberali che difendono la "libertà" delle donne di commercializzare il proprio corpo. Non esiste tale libertà. 

Oltre il 72% delle donne che praticano la prostituzione sono costrette dai trafficanti o da protettori.[1] Ad eccezione di un numero molto limitato di donne “volontarie” o presunte “autoderminate”, il resto delle donne “non-trafficate” comunque esercita la prostituzione in condizioni di disperazione o estrema povertà, il che implica che le scelte non sono affatto libere. Una donna marxista, una donna rivoluzionaria, un partito rivoluzionario ha il dovere di tutelare la netta o stragrande maggioranza delle donne prostituite (che, di fatto, risultano trafficate) e il resto delle donne che sceglie la prostituzione come “ultima spiaggia” (ciò significa che ne farebbero volentieri a meno). Difatti, non compete ai rivoluzionari tutelare la presunta “libera scelta” di gruppi assolutamente minoritari di donne, spesso e volentieri legati a situazioni di privilegio (non esistono, infatti, escort di lusso provenienti da classi disagiate o minoranze etniche). Tutte le donne che lavorano vivono sotto l'oppressione capitalista. Ma la prostituzione è un caso particolare di sfruttamento, il più estremo. Non possiamo cadere nella trappola liberale di considerarla un lavoro. Il lavoro salariato, anche in presenza sfruttamento, offre alle donne una maggiore indipendenza economica e di movimento, consente di esibire e sviluppare le nostre capacità fisiche e intellettuali, contribuisce allo sviluppo delle forze produttive, tecniche e scientifiche di un’ intera comunità. Inoltre, il lavoro salariato, crea le basi su cui sarà sostenuta l'organizzazione economica su cui il socialismo prenderà forma. Non potremmo dire la stessa cosa dell’attività prostituente. La prostituzione, d'altra parte, è una schiavitù degenerata che non riflette il futuro della liberazione, ma la barbarie più degradante.

Viviamo in un sistema in cui anche in un paese sviluppato, come il nostro, migliaia di persone vivono in condizioni miserabili. In un sistema in cui tutto è acquistato e venduto, in cui il denaro è il bene supremo, cercare di sradicare la prostituzione è un'utopia.

Finché non saranno garantite condizioni di vita dignitose, finché non vivremo in una società con un pieno e decente diritto al lavoro, in cui non vi è il rischio di perdere la casa o di essere tagliati fuori dalla società, finché non avremo sufficiente cibo di qualità o sufficiente assistenza medica, le leggi potranno fare ben poco per contrastare la prostituzione. Perché, sotto il sistema capitalistico e patriarcale, ci saranno sempre uomini che credono di avere il diritto di disporre di una donna a loro piacimento. E ci saranno sempre donne che non avranno altra via d'uscita che la prostituzione, per sopravvivere.

Possiamo concordare con la proposta della creazione di leggi che perseguitano i magnaccia e che penalizzano i clienti (che, di fatto, abusano a pagamento di donne ridotte in schiavitù o ridotte in miseria), ma sappiamo che questo non metterà fine alla prostituzione. Ecco perché diciamo che non si tratta di voler abolire la prostituzione ma di creare le condizioni materiali affinché le donne non debbano ricorrere a questo tipo di schiavitù. E, all'interno del capitalismo, queste condizioni non possono verificarsi.

Clara Treves:

Come trattare le regolamentariste negli spazi femministi e/o tra le donne in lotta?

Maddalena Celano:

È inevitabile che, in questi spazi, possiamo confluire le difensore della regolamentazione della prostituzione. Respingiamo le accuse di essere contro le prostitute. Se mai siamo contro la prostituzione (cosa tanto diversa, cosa radicalmente diversa). Dobbiamo difendere fermamente le nostre idee, con i dati, tenendo sempre presente che le prostitute subiscono lo sfruttamento più crudele al quale una donna possa essere soggetta. Ma dobbiamo anche spiegare che, la lotta delle donne, deve essere collegata alla lotta della classe lavoratrice, nel suo insieme.

Nel nostro programma difendiamo l'abolizione universale della prostituzione (della GpA e di tutte le altre forme di reificazione femminile), l’ universale diritto alla casa, il raggiungimento di un'occupazione garantita per tutte/i, la necessità di un sussidio di disoccupazione equivalente allo stipendio minimo interprofessionale per tutte le/i disoccupate/i, scuola e università gratuite per tutte/i e assistenza sanitaria pubblica gratuita. Tutte queste misure devono essere difese per ogni donna, anche e soprattutto per le donne in situazione di prostituzione, perché sono diritti umani fondamentali, indipendentemente dalla condizione particolare che l'oppressione capitalista pone su ogni persona.

Il problema è garantire una vita dignitosa a tutte le persone, affinché non siano costrette a ricorrere alla prostituzione per andare avanti (o a qualsiasi atra attività criminale o illecita). Pertanto, la classe lavoratrice, nel suo insieme, deve lottare per la costruzione di una società in cui le persone raggiungano condizioni di vita decorose e dignitose.

Clara Treves:

Il dibattito sulla prostituzione sta attraversando fortemente il movimento femminista. È possibile pensare a una posizione marxista, anticapitalista e anti-patriarcale di fronte a due posizioni assolutamente polarizzate, come quelle tra abolizioniste e regolamentariste?

Maddalena Celano:

Questo dibattito, in diversi paesi, si sta sviluppando di fronte a una contraddizione cruciale: da un lato, la proliferazione delle reti di trafficanti e la crescita esponenziale dello sfruttamento sessuale delle donne; dall'altra, la forte pressione internazionale per la regolamentazione della prostituzione. Sebbene vi siano molte tendenze e sfumature, il dibattito è egemonizzato da due posizioni fortemente polarizzate, tra determinati partiti politici e organizzazioni femministe abolizioniste, da un lato, e correnti regolamentariste/i dall'altro. Mentre in Spagna, Francia, Germania e America Latina le correnti abolizioniste risultano sempre più egemoniche e preponderanti, in Italia, nonostante il Vaticano (o forse proprio per la scomoda presenza del Vaticano), il dibattito e nettamente monopolizzato dalle correnti regolamentariste, soprattutto a sinistra. Altro paradosso tipicamente italiano: nel resto del mondo, l’ abolizionismo è tipicamente di sinistra e ha poco a che vedere con il Vaticano o con il così detto “punitivismo” (il quale è proibizionista, non abolizionista: la differenza giuridica tra le due correnti è fondamentale ed è ignorante o in malafede chi ignora quest’ aspetto, utilizzando a sproposito l’ aggettivo “punitivo”).

La maggior parte delle abolizioniste italiane, sono vicine a posizioni così dette “punitive” (che condividiamo, in questi casi, ma che non consideriamo sufficienti) e all'esclusione da qualsiasi altra posizione. Considerano, coloro che non supportano la loro causa, “complici della prostituzione”. Alcune abolizioniste del femminismo radicale sostengono: “Non è il momento delle ambiguità, dobbiamo schierarci: o con l'abolizionismo o con la prostituzione”. 

Mentre le regolamentariste rispondono con appellativi offensivi come: “puritane”, “punitive”, “bigotte”, “crociate” e via discorrendo… Noi crediamo fermamente che il "lavoro sessuale" non possa essere regolamentato e sviluppato senza protettori, senza prosseneti, senza violenza. Riteniamo che sia impossibile “differenziarlo” dallo sfruttamento e dalla tratta. Questo per varie ragioni, anche piuttosto banali e facilmente intuibili:

il lavoro (qualsiasi tipo di lavoro) necessita di un’ organizzazione e di un disciplinamento.

L’ organizzazione della prostituzione è il prossenetismo (cioè tenutari, affittuari, papponi, autisti, protettori, ruffiani e via discorrendo). É del tutto naturale che “regolamentare” la prostituzione significhi, sostanzialmente, depenalizzare i prosseneti. Qualsiasi dubbio sulla corrente regolamentarista è additata come "puritanesimo" e/o "persecuzione" delle donne nella prostituzione. La proposta delle regolamentariste è che lo stato debba regolamentare la prostituzione, cioè che debba regolamentare l'installazione del bordello e depenalizzare i prosseneti. Il tutto, sotto varie forme: bordello di stato ricalcato sul modello fascista, così dette “cooperative di prostitute” o club privé. Ovviamente depenalizzare le varie forme di sfruttamento sessuale delle donne e imporre controlli sanitari obbligatori per le prostitute (si badi bene: non per i clienti ma per le prostitute).

Data questa polarizzazione, in primo luogo, è importante respingere categoricamente l'intenzione di espellere le organizzazioni che sono considerate "complici", dagli spazi femministi, senza adeguate prove o senza adeguate fondamenta. In altre parole, la polarizzazione delle reciproche posizioni, crea un clima di sospetto reciproco, paranoia e aggressività che non farà altro che rendere stagnante, asfissiante e ghettizzante il dibattito femminista. La forza, per la lotta, si attinge dalle proprie convinzioni ed argomentazioni, certamente non da un clima di “controllo poliziesco” (tra l’ altro, tipicamente patriarcale). Molte presunte “regolamentariste” sono ragazzine o ex ragazzine che, per ragioni strutturali, risultano poco informate, preparate e vivono in un rapporto di “fascinazione” verso le correnti “sex workiste” (spesso glamour e/o legate all’ industria dello spettacolo e/o alla pubblicità). In parole povere: vivono un rapporto istintuale o/e basato su fascinazione e “plagio” verso le loro leader carismatiche.  Allo stesso tempo, è necessario che il dibattito possa svilupparsi democraticamente, nonostante le differenze politiche e ideologiche - spesso insormontabili - che possono esistere all'interno di un movimento che, lungi dall'essere esclusivamente autonomo, vi convivono varie organizzazioni e partiti politici. Far finta di chiuderlo sotto un presunto consenso forzato è tanto dannoso, quanto imporre una singola posizione considerata "l'unica femminista". Ma il discorso è molto diverso per tutte le femministe materialiste che aderiscono a partiti marxisti ben strutturati (benché misti e non separatisti). Qui (nel mio partito) il problema non si pone poiché la linea è unica e ben collaudata da anni di storia, studi e ricerche. Perciò ritengo che, la “lotta movimentista”, sia molto fragile e facilmente “infiltratile” da elementi estranei o pericolosi.

Clara Treves:

Regolamentazione o abolizionismo così detto “punitivo”? 

Maddalena Celano:

Le abolizioniste hanno un’ unica prospettiva che è focalizzata sulle riforme, orientate a porre limiti legali ai magnaccia e al mercato della prostituzione, ovvero al potente business capitalista mondiale: da un lato; e, d'altra parte parte, aspirano a correzioni legali minime che rendono la vita, già drammatica, delle donne e delle persone in situazioni di prostituzione meno tortuose.

Questo è il paradosso che attraversa i movimenti sociali dalla fine degli anni Settanta e Ottanta. D'altra parte, si ritiene lo Stato responsabile della conquista o meno di più diritti, in modo evolutivo, essendo gli stati capitalisti i primi a violarli mentre applicano tagli al Welfare State che approfondisce, ulteriormente, la povertà e la precarietà delle donne. Non dico che non sia giusto. Noi di Convergenza Socialista siamo vicini all’ abolizionismo. Sosteniamo che, tutto questo, per quanto giusto non sia purtroppo sufficiente. O meglio, anche qualora, utopisticamente, uno Stato decida di applicare tutte le leggi abolizioniste, la prostituzione non sarà debellata ed esisteranno sempre “sexworkiste” disposte a propagandare la bellezza dello stato “magnaccia” o del privato “pappone”. Questo perché, in uno stato liberal-capitalista, i presupposti per la prostituzione si ricreeranno automaticamente, essendoci un humus culturale adatto.

La nostra posizione è schietta. 

Sebbene non siamo regolamentaristi, tantomeno moralisti o religiosi, riteniamo che, ponendo fine a tutte le forme di sfruttamento, oppressione e classi sociali, possiamo porre fine alla prostituzione. Tuttavia non è un motivo per abbandonare la difesa dei diritti delle persone in situazione di prostituzione - di cui le donne sono la maggioranza assoluta, anche se dobbiamo renderci conto che esiste un gran numero di donne transessuali la cui emarginazione sociale e lavorativa le spinge alla prostituzione - contro ogni persecuzione e repressione della polizia, combattendo l’ interferenza dei magnaccia e dello Stato, sia “regolamentarista” (Stato pappone) che “punitivo” (in questo caso, Stato proibizionista).

Pertanto, di fronte a queste posizioni, è possibile pensare a un'alternativa anticapitalista, insieme a misure transitorie volte a creare altre condizioni sociali che attacchino gli interessi dei capitalisti e dei magnaccia/papponi. E non ricreare l'utopia riformista di un "capitalismo dal volto umano", a favore delle donne.

Clara Treves:

Quindi ritiene che la prostituzione sia un’ istituzione patriarcale, al servizio delle grandi imprese e del capitalismo mondiale”

Maddalena Celano:

Nel suo lavoro di riferimento sul femminismo abolizionista, "The Vagina Industry", Sheila Jeffreys[2], si ispira al lavoro sulla prostituzione di altre teoriche radicali femministe come Kathleen Barry (1979, 1995) e Andrea Dworkin (1983), e cerca di espanderlo, affrontando il problema dell'industria globale e la varietà delle sue forme.

È indiscutibile che, sotto il sistema patriarcale, il genere femminile subisca brutali oppressioni e disuguaglianze. Come ha affermato Friedrich Engels in "L'origine della famiglia, della proprietà privata e dello Stato", la prostituzione è un'istituzione sociale che "mantiene la vecchia libertà sessuale ... a beneficio degli uomini" e che, sebbene socialmente fu respinta "non è mai diretta contro gli uomini che la praticano, ma solo contro le donne; queste sono disprezzate e respinte, per proclamare ancora una volta, come legge fondamentale della società, l'assoluta supremazia dell'uomo sul sesso femminile".

Tuttavia, astrarre la "cultura patriarcale" dal sistema politico, economico e sociale su cui si basa - tale è la tendenza del femminismo radicale - è negare la sua relazione con il sistema capitalista che ha tanto bisogno di oppressione, in questo caso “di genere”. Engels sostiene che “tutto ciò che la civiltà produce è anche doppio, ambiguo, equivoco, contraddittorio; da un lato, la monogamia e, dall'altro, l'eterismo, compresa la sua forma estrema, la prostituzione”. E da questa premessa, Engels e il marxismo sviluppano l'idea che la prostituzione sia un'istituzione sociale che nasce come il contraltare della famiglia, basata sul matrimonio monogamico, insieme all'emergere della proprietà privata e dello Stato e della società divisa in classi.

Ora, la prostituzione non è più come nei tempi antichi. L'autrice abolizionista Rosa Cobo, nel suo libro "Prostituzione nel cuore del capitalismo"[3] – di cui condividiamo alcuni elementi della sua analisi - si basa sul presupposto che, sebbene l'origine della prostituzione sia Patriarcale, le trasformazioni che ha subito dopo i cambiamenti strutturali del capitalismo mondiale, l'hanno resa “un'industria essenziale per l'economia capitalista, per l'economia criminale, per gli stati che vedono questa istituzione come una fonte di reddito pubblico, ma anche per le istituzioni del capitalismo internazionale, come la Banca Mondiale o il Fondo Monetario Internazionale […] concepita come entrate del reddito e dell'industria dell'intrattenimento, in grado di garantire il rimborso del debito pubblico”.

Rosa Cobo sostiene che questi cambiamenti coincidono con una maggiore "accettazione e presenza sociale" della prostituzione, che considera un trionfo ideologico del patriarcato. Nello stesso senso, Jeffreys afferma che "il processo mediante il quale la prostituzione è stata industrializzata e globalizzata alla fine del 20° secolo e all'inizio del 21° secolo, (...) deve essere intesa come la commercializzazione della subordinazione femminile". E fa un'analisi critica di come è passata "dall'essere socialmente disprezzata, a diventare un'industria estremamente redditizia e legale, o almeno tollerata in diversi paesi del mondo". 

Da questa idea, suggerisce misure che puntino verso "il declino dell'industria sessuale globale" come il divieto di reclutare prostitute, altre misure per aiutare le persone in prostituzione a uscirne e contro la loro criminalizzazione e, come misura centrale, penalizzare il "cliente". D'altra parte, Jeffreys differenzia gli stati patriarcali o "protettori" a seconda che la prostituzione sia legalizzata o meno. La maggioranza rivendica il cosiddetto "modello svedese", la cui misura principale è la penalizzazione dei “consumatori”.

In un interessante articolo, Andrea D'Atri[4] rafforza l'idea della crescita e dei cambiamenti della prostituzione sotto le trasformazioni del capitalismo, analizza come la liberalizzazione dei confini per il flusso di capitale e il crollo delle economie di paesi semicoloniali, con conseguente aumento esponenziale della mobilità delle masse lavoratrici e della tratta di esseri umani. Ciò ha portato a un aumento, a livello planetario, della tratta di donne a scopo di sfruttamento sessuale e di prostituzione individuale e/o volontaria su scala ridotta. Per la femminista marxista, la prostituzione non può essere considerata come un'istituzione uguale a se stessa nel tempo e nelle diverse società, poiché ciò impedisce di trovare “i legami sovrapposti che conserva con il capitalismo - modalità di produzione che ha anche alterato, drasticamente, rapporti sessuali, matrimonio, famiglia, ecc. - e questo le dà nuove configurazioni”.

Clara Treves:

In che modo la regolamentazione normalizza la prostituzione, come istituzione capitalista e patriarcale? 

Maddalena Celano:

In Spagna, ad esempio, a capo del campo abolizionista c'è il PSOE che strumentalizza questo problema per la sua campagna elettorale. Una posizione abolizionista ipocrita è quella del PP che ha applicato i peggiori tagli, imposto riforme del lavoro penalizzanti e modelli di lavoro precario che hanno portato alla miseria l'intera classe lavoratrice e in particolare delle donne, sovra-rappresentata nei tassi di insicurezza lavorativa e nella povertà.

L'abolizionismo concentra la sua proposta sulla persecuzione (attraverso l’ applicazione del codice penale spagnolo) dei magnaccia e dei protettori, delle persone che sfruttano terze parti per praticare la prostituzione e il "cliente". Sono contrarie a penalizzare le donne nella prostituzione, e propongono piani legali, sociali, sanitari, abitativi, educativi per coloro che desiderano abbandonare la prostituzione. 

Le reti dei trafficanti, in tutto il mondo, hanno raggiunto una dimensione senza precedenti. Secondo la Fondation Scelles, la prostituzione genera 160.000 milioni di euro nel mondo. Cinque milioni al giorno solo nello stato spagnolo, essendo il primo paese in Europa a consumare prostituzione, il terzo al mondo dopo Thailandia e Porto Rico. Nel 2010, la prostituzione costituiva lo 0,35% del PIL (INE). L'ultimo rapporto, sul traffico di esseri umani, nel 2018, pubblicato a gennaio 2019 a Vienna, descrive 24.000 casi documentati nel 2016, in 142 paesi, e lo sfruttamento sessuale (59%) rimane il crimine più comune, dopo il lavoro forzato (34%). Queste cifre dell'Ufficio delle Nazioni Unite contro la droga e il crimine (UNODC) si limitano solo alle vittime individuate. Secondo questo rapporto, oltre il 70% delle vittime globali della tratta sono donne, di cui il 49% è costituito da adulte e il 23% da bambine.

È necessario che qualsiasi critica alla prostituzione trascenda i motivi personali dei singoli coinvolti in questa situazione, per concentrarsi sull’ analisi della prostituzione come istituzione sociale capitalista e patriarcale. Ciò non dovrebbe condurre, in alcun modo, a stigmatizzare le donne e le persone nella prostituzione, con una morale puritana o con pregiudizi borghesi.

Nulla è più lontano dal femminismo marxista. Alejandra Kollontai, lungi dalla considerazione borghese della prostituzione come uno "scandalo morale", dimostrò una forte difesa della sessualità libera, contro puritanesimo e monogamia, così funzionale al patriarcato capitalista. Tuttavia considerava la prostituzione un'istituzione che condannava le donne povere, totalmente contraria all'idea socialista di amore libero, tra liberi ed uguali, fortemente legata a una relazione commerciale. La lotta contro l'istituzione della prostituzione è stata esercitata attraverso la difesa del diritto delle donne di godere del desiderio sessuale, come fanno gli uomini, senza rinunciare alla solidarietà e alla parità. Ecco perché il marxismo assume l'abolizione della prostituzione nella prospettiva della rivoluzione socialista, la lotta per il potere dei lavoratori e la costruzione di uno stato di transizione dei lavoratori, in una società apolide.

Questo non significa non rispettare le donne che si considerano "prostitute", anche se non condividiamo la loro ideologia o politica. Significa semplicemente analizzare e denunciare gli interessi del business globale dello sfruttamento prostituente.

In alcune organizzazioni di regolamentariste, ad esempio, la critica al magnaccia è spesso ambigua o quasi inesistente, come possiamo vedere in OTRAS (Spagna) o AMMAR (Argentina; organizzazione di cui diverse leaders sono state arrestate per traffico di esseri umani), organizzazioni che non contemplano alcuna denuncia esplicita del prossenetismo, pur riconoscendo l'esistenza del traffico e della discriminazione razziale. Alcune donne portavoce di queste organizzazioni, generalizzano la pratica della prostituzione come "una professione che le donne possono scegliere e imporre le loro condizioni al cliente". Il caso di leaders dell'Associazione delle professioniste del sesso (APROSEX) o OTRAS come Conxa Borell, in diversi media hanno dichiarato che "sono stanche di ripetere che non siamo tutte schiave, sottomesse, umiliate e violate; che non si può dire 'no' alle esigenze del cliente, questo è falso, etc."

Un'affermazione che contraddice quando affermano "che la tratta di esseri umani ci disgusta e in nessun caso giustifichiamo o approviamo". Ciò che deve essere esplicitamente denunciato è che la maggior parte delle donne prostituite è, in gran parte, costituita da donne migranti, non solo a causa delle reti di trafficanti, ma anche a causa della forte situazione di emarginazione e povertà a cui sono soggette. Sono donne che non trovano altra via di sopravvivenza che la prostituzione.

Le "lavoratrici del sesso libere" sono una netta minoranza nei confronti di una grande e crescente maggioranza di donne migranti trafficate, vittime della povertà e, quindi, gettate in una situazione che molto probabilmente non avrebbero mai scelto. La mancata risposta a questa realtà (che i numeri mostrano essere nettamente maggioritaria), può finire per “naturalizzare” e persino abbellire la prostituzione come una "professionalizzazione libera" o un possibile lavoro in cui è possibile "guadagnare denaro veloce", che è sempre meglio che "lavorare come cassiere in un supermercato", come possiamo ascoltare in più interviste nei media, tra i portavoce di queste organizzazioni. La realtà è che molte donne sono spinte a lavorare in entrambi i settori, cassiere di supermercati o altre attività lavorative in condizioni di precarietà e/o prostituzione (ricatto sessuale o molestie).

I portavoce dei regolamentaristi finiscono nella trappola della “separazione” o del “manicheismo”, come se vi fosse una barriera insormontabile, tra le attività considerate “di libera scelta” e “senza violenza” da parte del cliente e tra le reti di prostituzione e traffico. OTRAS riconosce che il "lavoro sessuale" è anche quello che viene svolto in locali, ostelli, spettacoli di spogliarelli, sale massaggi e altri spazi chiusi dove esiste un rapporto di lavoro tra azienda e lavoratore, ma quest'ultimo è l'unico che ha degli obblighi. Quando parliamo di LAVORO SESSUALE, lo facciamo deliberatamente e sappiamo di cosa stiamo parlando. Molte persone si identificano solo come prostitute, tuttavia, il lavoro sessuale è esteso, come stiamo descrivendo. Proprio per questa ragione lo consideriamo NON regolamentabile: “sex work” ha un’ accezione troppo vasta, ambigua ed inter-classista. Infatti, si considerano “lavoratori sessuali” anche i magnaccia, i tenutari, gli “imprenditori” del sesso, le spogliarelliste, le ballerine di lap-dance, etc. Le “Organizzazioni per i Diritti delle Sex Workers” somigliano molto di più ai SINDACATI CORPORATIVISTI (di matrice fascista ed inter-classista) che ai normali sindacati classisti.

Che "tutto non è traffico" è una realtà. Ma è anche necessario riconoscere che, i tentacoli delle reti dei trafficanti, raggiungono anche questi spazi considerati “neutri”, per carpire o/e coprire una domanda sempre più capitalizzata di sfruttamento sessuale. Dei rapporti descritti, ci sono altri che si rendono conto che quasi il 90% delle vittime della tratta, solo nello stato spagnolo, erano destinate allo sfruttamento sessuale. La tratta è diventata la principale fonte di fornitura dell'industria mondiale del sesso per tutte le aree: prostituzione di strada o bordelli, negli strip club e nella pornografia.

 

[1][…] ad allarmare sul crescente numero di vittime di tratta di esseri umani è stato anche il 2018 Global Report on Trafficking in Persons, lo studio pubblicato a fine dicembre dall'Ufficio delle Nazioni Unite per il controllo della droga e la prevenzione del crimine (Unodc) che nel 2018 ha raccolto dati provenienti da 142 Paesi. 

È uno studio che si occupa di analizzare il fenomeno criminale della tratta di esseri umani a livello globale, i modelli e i principali flussi attraverso i dati disponibili nei singoli contesti nazionali, analisi che l’Unodc svolge da oltre dieci anni. Il Rapporto è composto da due documenti: uno studio principale sull’analisi globale e regionale, e una nuova indagine che affronta il tema della tratta nell’ambito dei conflitti armati.

Il primo dato sottolineato nello studio è il progressivo aumento del numero delle vittime di tratta rilevate a livello globale: il picco massimo c’è stato nel 2016 con numeri del 40% superiori a quelli del 2011. Tuttavia, è ancora in dubbio se questo incremento sia dipeso da una crescita effettiva del numero delle vittime nel mondo o da una maggiore capacità degli Stati di riconoscere e identificare le vittime di tratta e dell’utilizzo di strumenti e procedure più efficienti.

Nel 2009, infatti, solo 26 Paesi avevano un’istituzione che ha raccolto in maniera sistematica dei dati sui casi di tratta, mentre nel 2018 il numero si è alzato a 65. “Ora c’è un gruppo più numeroso di Paesi che hanno una nuova legislatura e sono quindi più preparati dal punto di vista delle leggi a criminalizzare e perseguire i trafficanti e allo stesso tempo a proteggere le vittime”, ha detto Angela Me, responsabile del settore statistiche dell'Unodc.

Le vittime di tratta risultano essere in larghissima parte donne; quasi la metà delle vittime identificate (il 49%) sono donne adulte, mentre le minori corrispondono al 23% (contro il 21% nel 2014 e il 10% nel 2004): insieme rappresentano il 72% delle vittime di tratta a livello globale. I minori vittime di tratta sono il 30% del totale, con netta prevalenza delle bambine rispetto ai bambini, dato in aumento nel 2016 rispetto agli anni precedenti. I ragazzi si registrano al 7% delle vittime di tratta, meno rispetto all’8% del 2014 ma più alto del 3% del 2004. 

Asia e America sono le regioni che hanno subito la crescita maggiore nel numero delle vittime rilevate: nella zona dell’Africa sub-Sahariana prevalgono i minori tra le vittime (il 55% del totale), mentre le regioni dell’Asia orientale e meridionale vedono una maggiore quota di uomini adulti (circa il 30%). Dati che, considerata la frequente inefficienza dei sistemi di rilevamento, secondo il Rapporto non sempre sono in grado di rispecchiare interamente la realtà.

La tratta per sfruttamento sessuale è quella prevalente nei Paesi europei, mentre nell’Africa Sub-Sahariana e nel Medio Oriente il lavoro forzato è il principale fattore che guida i traffici illeciti. 

Un altro dato significativo messo in luce è che la maggior parte delle vittime di tratta identificate risulta essere cittadina dello Stato di rilevazione. La quota delle “vittime domestiche” è raddoppiata nel corso degli ultimi anni, passando dal 27% registrato nel 2010 al 58% registrato nel 2016. Questo potrebbe indicare tanto un effettivo aumento delle vittime di tratta all’interno del proprio Paese d’origine, quanto una riduzione dei numeri delle vittime di tratta internazionale dovuta a un rafforzamento dei controlli di frontiera; o ancora, il risultato di un rafforzamento delle misure di prevenzione e controllo all’interno dei Paesi d’origine dei flussi criminali.

Il 59% delle vittime identificate nell’anno 2016 è a scopo di sfruttamento sessuale; il 34% è invece oggetto di tratta a scopo di sfruttamento lavorativo. In questo dato emergono le maggiori differenze di genere: mentre l’83% delle donne vittime di tratta è trafficata a scopo di sfruttamento sessuale, tra gli uomini è nettamente prevalente lo scopo di sfruttamento lavorativo, che riguarda l’82% […] 

 https://asvis.it/goal5/home/390-3831/il-72-delle-vittime-di-tratta-a-livello-globale-sono-donne-e-bambine

[2] The Vagina Industry: The Political Economy of Global Sex Trade, di Sheila Jeffreys, accademica e sociologa britannica, è un libro del 2008 sulla prostituzione e l’ industria del sesso, scritto nel Regno Unito e pubblicato dall’ Editore Routledge.

[3] Cobo, Rosa, Prostituzione nel cuore del capitalismo , Madrid, Catarata, 2017. Il libro di Rosa Cobo fa parte di una letteratura abolizionista che analizza la prostituzione come una "industria sessuale globale". Tra le opere più rilevanti vi sono quella di Richard Poulin, La mondialisation des industries du sexe (2005) e quella di Jeffreys Sheila, citata sopra, tra le altre.

[4] D'Atri, Andrea, Dal vecchio lenocidio all'organizzazione sindacale contemporanea , Ideas de Izquierda, Magazine Nº7, 2014.

 

FONTE: www.ideologiasocialista.it

  Ideologia Socialista, Rivista aperiodica teorica del Socialismo Organo politico di Convergenza Socialista 

Foto di StockSnap da Pixabay 

Lasciare un commento

Per commentare registrati al sito in alto a destra di questa pagina

Se non sei registrato puoi farlo qui


Sostieni la Fondazione AgoraVox


Pubblicità




Pubblicità



Palmares

Pubblicità