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Il fattore R

Poco meno di un mese fa il terrorismo islamista colpiva per la prima volta all’interno di una chiesa cristiana. Per la prima volta in occidente, s’intende. Eravamo abituati a sentire di simili attacchi in paesi africani o mediorientali, ma quelli sferrati finora in questa parte del mondo si erano concentrati o su obbiettivi con alta concentrazione di persone, allo scopo di massimizzare il numero delle vittime, oppure significativi dal punto di vista della lotta a quella che noi chiamiamo modernità ma loro percepiscono come empietà, come nei casi di Charlie Hebdo e del Bataclan. Nulla del genere nel caso di Rouen che riguardando un sacerdote si è inevitabilmente caricato di significato.

Molti hanno storto il naso notando che lo spazio riservato dagli organi di informazione alla vicenda era sproporzionato rispetto alla sua entità, e da un certo punto di vista non hanno tutti i torti – si trattava pur sempre di un’unica vittima, oltre che di una persona non nota al di fuori della sua parrocchia. Tuttavia il fatto che a cadere fosse stato un prete, per di più ucciso dentro una chiesa, è stata come una doccia fredda per quanti fino a quel momento avevano ritenuto che gli islamisti ce l’avessero con gli immorali costumi occidentali. No, non è per quello, o almeno non è solo per quello; ce l’hanno anche con il cristianesimo in quanto tale. Così come del resto ce l’hanno con l’ebraismo, con qualunque altro culto non sia il loro e in particolare con chi un culto non lo professa. Altrimenti non sarebbero fondamentalisti.

Una parte delle comunità islamiche, quella più moderata, ha poi reagito all’attacco inedito con un’iniziativa altrettanto inedita: è andata a pregare in chiesa per esprimere sostegno ai cristiani contro i loro fratelli violenti. “Era ora!”, verrebbe da dire, da tempo si sollecitava una presa di posizione netta dei musulmani pacifici. Anche in Italia è stata avviata un’iniziativa simile con il plauso della Cei, ma i mal di pancia sono stati parecchi, alcuni anche da parte cristiana, e alla fine solo 23 mila musulmani, cioè meno dell’1,5% rispetto agli 1,6 milioni complessivamente presenti in Italia, ha risposto all’appello.

Decisamente pochi per poter affermare che l’islam moderato sia maggioritario, specialmente considerato che i sondaggi rivelano un numero di sostenitori dell’Isis più che doppio, ma a parte ciò non si può non notare che perfino l’attenzione del mondo islamico ha risentito del fatto che a essere coinvolto è stato stavolta un ministro di culto. Infatti solo in un’altra occasione gli islamici erano scesi in piazza per prendere le distanze dal terrorismo e in quel caso erano perfino molti di meno, giusto qualche centinaio di persone.

A distanza di tre settimane dall’uccisione del sacerdote Jacques Hamel un altro religioso è stato assassinato, ma stavolta si è trattato di un imam. Diversi anche il luogo e la modalità dell’esecuzione: mentre Hamel era stato sgozzato all’interno di un luogo di culto, Maulama Akonjee e il suo assistente sono stati freddati per strada con spari alla testa. Anche in questo caso però il fattore religioso ha avuto il suo peso. La comunità bengalese newyorkese ha subito etichettato l’accaduto come crimine d’odio puntando il dito contro la retorica del candidato repubblicano Trump e la notizia ha fatto il giro del mondo, nonostante esecuzioni con modalità simili avvengano di continuo ovunque. In realtà gli inquirenti si sono orientati fin dall’inizio più sulla pista della rapina, la matrice religiosa non è stata presa in seria considerazione, ma questo non è stato sufficiente per convincere i fedeli di Akonjee.

Da questi casi si potrebbe quasi trarre una teoria matematica: la gravità percepita Gp di un evento delittuoso è data dalla gravità reale Gr moltiplicata per il fattore di religiosità R. Teoria che se venisse applicata ai soli eventi delittuosi non sarebbe un problema, perché comunque un omicidio è a prescindere una cosa da condannare e la sua Gp sarebbe sempre e comunque un numero positivo ed elevato. I problemi sono altri. Il primo è che spesso questa teoria viene applicata anche al contrario; si pensi alle reazioni dei fedeli cattolici nei casi in cui i loro parroci sono stati accusati di pedofilia piuttosto che di reati patrimoniali. La comunità tende a identificarsi nel suo leader, a volte in modo fanatico, e questo può portarla a usare la R come divisore invece che come fattore.

Il secondo problema è che l’effetto determinato dal fattore R si riverbera anche in chi non appartiene alla comunità di fede presa in questione. Le varie religioni pretendono generalmente di stabilire i dettami su cui deve basarsi la vita non solo dei loro fedeli ma idealmente di tutto il mondo, e il successo nell’applicazione erga omnes dei loro principi è tanto maggiore quanto più esse, e di conseguenza il loro fattore R, sono grandi. È innegabile che le culture occidentali hanno subito non poco l’influenza delle varie incarnazioni del cristianesimo nel corso dei secoli, ed è altrettanto innegabile che oggi si trovano ad avere a che fare con un nuovo clericalismo che si sovrappone al primo: l’islam, contrapposto al cristianesimo nella sua variante radicale, alleato ad esso nella sua variante moderata, come abbiamo visto più sopra.

Se però da un lato eravamo riusciti ad affrancarci dall’oppressione clericale grazie all’affermazione di principi laici, dall’altro sembriamo non riuscire a fare la stessa cosa con il clericalismo islamico per una ragione molto semplice: il sistema di garanzie messo su dopo la rivoluzione laica avviata con l’Illuminismo si dimostra inefficace rispetto ai nuovi clericalismi perché paradossalmente consente loro ampi spazi di manovra. La stessa opinione pubblica si ritrova divisa quando si tratta di opporsi alle iniziative islamiche laddove viene posta in questione una pretesa “difesa del sentimento religioso”. Basti pensare alle assurde condanne verso chi fa satira sull’islam (i famosi “del resto se la sono cercata”), senza considerare che ammettere la possibilità di limitare la libertà d’espressione porta poi a casi come quelli attualissimi di Abdel Samad e di Fouad Bamaarouf. Ma si pensi anche all’opposto sostegno verso chi vuole insinuare una cultura misogina, o comunque mortificante del corpo, in un mondo che è quasi riuscito a sbarazzarsene; è il caso del dibattito in corso sul burqini. L’occidente sembra proprio non aver ancora preso atto che, come diceva Popper, non si può essere tollerante con gli intolleranti.

Massimo Maiurana

Questo articolo è stato pubblicato qui

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