• AgoraVox su Twitter
  • RSS
  • Agoravox Mobile

 Home page > Attualità > Economia > Il dovere al lavoro

Il dovere al lavoro

Il caso Fiat ha sollevato discussioni e polemiche sui diritti dei lavoratori. Ma, parafrasando il detto “prima il dovere poi il piacere”, dobbiamo riflettere sui doveri ai quali sottostare per averlo, il lavoro. Camusso e Landini permettendo si intende. (tempo di lettura 2 min.)

Marchionne ha finalmente sollevato il caso. Tutte questioni note si dirà, ma almeno l’eco questa volta è stata forte e per qualche sonnacchioso sindacalista anche inaspettata. Eppure, che il sistema facesse acqua lo si poteva facilmente intuire da tempo leggendo i dati ufficiali degli istituti internazionali. Siamo agli ultimi posti per produttività del lavoro. Tanto per capirci in Italia un lavoratore medio lavora circa 1600 ore l’anno mentre negli USA 2000 e 2400 nei paesi emergenti. Specialmente nelle grandi aziende, Fiat in primis, esiste una difficoltà di governo del sistema, alta conflittualità, tendenza all’appiattimento professionale e salariale, rigidità del lavoro.

Abbiamo il record mondiale di assenteismo specialmente nel Sud. Non parliamo poi del settore pubblico. Poiché il lavoro, come l’acqua, è una risorsa limitata, tende a fluire laddove trova migliori opportunità, cioè altrove. Di conseguenza, dicono sempre le statistiche, siamo agli ultimi posti per capacità di attrarre investimenti. Il benessere, l’alto standard di vita della nostra società hanno in altre parole un prezzo doppio da pagare, legato da un lato alla fatica fisica della produzione ma ancor prima alla competizione per potersi aggiudicare il lavoro. Che ci piaccia o no questa è la sola regola che governa il sistema economico internazionale, la globalizzazione insomma.

Qualcuno potrà forse dire che tutto ciò è immorale, uno scontro fra lavoratori, un appiattimento al ribasso architettato per scardinare i diritti dei lavoratori, ma sta di fatto che questi sono i doveri ai quali sottostare perché il lavoro diventi dopo, ma molto dopo, anche un diritto. Lo sapevano bene i nostri padri che dalle macerie della guerra hanno portato il paese ad essere una grande realtà industriale, il terzo paese al mondo per ricchezza delle famiglie. Sacrificio, senso del dovere, solidarietà, entusiasmo, disciplina e serietà estrema sono stati i valori che hanno pervaso la società di allora permettendo quindi l’impresa. Certo parliamo di altri tempi, ma come figli e protagonisti della moderna era industriale, dobbiamo ammettere di non essere stati in grado di trovare un modello alternativo, compiuto ed efficace, in grado di adattarsi ad un mondo diverso, permettendoci di consegnare, a nostra volta, ai figli un paese altrettanto ricco ed efficiente. O forse non siamo stati in grado di perpetuare quei valori, o quantomeno alcuni, di capirne la forza universale, di resistere alla tentazione devastante del “tutto e subito” che ormai gronda da tutti i pori della nostra società, di capire la sorprendente attualità che  “essere” viene prima, ma molto prima di “avere”.

Ciò che colpisce della vicenda Fiat non è il clamore sollevato, ma la desolante assenza di risposte da parte di un certo sindacato che ormai privo della forza impressa dalla crescita a due cifre, non può che raggrumarsi su vuoti slogan di presunta democrazia, su isterici “no” per mascherare l’incapacità di riproporre ai lavoratori da un lato il “senso del dovere” e dall’altro la possibilità di salari più interessanti, legati effettivamente ai risultati e in linea con il resto d’Europa. Eppure una risposta la si deve a quella maggioranza silenziosa che il “senso del dovere” lo mette in opera tutti i giorni sul posto di lavoro, che non crede che la piaga della bassa produttività o dell’assenteismo sia un problema di democrazia o diritti ma un onere vero sui loro salari.

Gent. Sig.ra Camusso, Sig. Landini, da uomo della strada quale sono, mi permetto di dire che bisogna aprire un’era nuova, azioni diverse, incisive che diano risposte finalmente. Bisogna avere il coraggio di raccontare ai lavoratori che il costo del loro lavoro è fra i più alti d’Europa, maggiore che in USA, ma che un fisco ingiusto ne saccheggia i due terzi con un cuneo fiscale a dir poco immorale, che ci relega ad essere i più poveri dell’unione. Bisogna dire ai lavoratori che non sono né la politica e neppure l’economia da sole a risolvere questi problemi perché si sa che chi vive sperando muore precocemente. Bisogna far capire ai lavoratori che ha poco senso scioperare contro chi ti dà il lavoro, lo stipendio ed essere invece compiacenti nei confronti di chi se lo prende. Gentili Signori io un’idea nuova l’avrei. Suggerisco di organizzare l’imminente sciopero dei lavoratori sotto i cancelli del Ministero dell’Economia per reclamare non i miseri 30 euro lordi di aumento concessi da Fiat ma 300 euro che Tremonti, benché smentisca, sa bene come e perché reperire dalla fiscalità. Che successo se migliaia di persone occupassero Via XX Settembre al grido di “Sciur Tremunt dalli belli braghi bianchi fora li palanchi”. Forse si scuoterebbero anche le polverose poltrone dei politici, abilmente latitanti nella vicenda ed avreste al contempo il raddoppio delle tessere sindacali in pochi giorni. Fatemi sapere. Cordialità.

Commenti all'articolo

  • Di pv21 (---.---.---.55) 14 gennaio 2011 19:07

    Non è un referendum salvifico. Il futuro non è la "promessa" di Fabbrica Italia.

    Berlusconi “appoggia” Marchionne ed avverte: “Se dovesse vincere il no per gli imprenditori sarebbe difficile trovare buone motivazioni per non andarsene dal paese”.

    La Merkel e Sarkozy hanno dato “buone” motivazioni (finanziamenti) alle loro imprese automobilistiche.
    Obama e Lula hanno trovato motivazioni “buone” proprio per Marchionne.
    Hanno però preteso un serio piano industriale. E senza aspettare l’esito di un referendum.

    Tremonti, da Ministro dell’Economia, sa solo suggerire la riforma dell’art.41 della Costituzione “per valorizzare i princìpi morali, sociali, liberali della responsabilità dell’imprenditore”.
    Intanto la crisi (ex ripresa) continua a gravare sul paese come Se fosse Stagnazione

  • Di alfadixit (---.---.---.180) 15 gennaio 2011 10:38
    alfadixit

    E’ sicuramente stagnazione, non c’è dubbio. Però è anche chiaro che, o si cambiano le condizioni del sistema o l’unico piano industriale possibile è la delocalizzazione, come già avvenuto in altri casi e in altre realtà. Chi infatti investirebbe soldi a Pomiflìgliano quando gli stessi renderebbero di più in Germania o a Detroit? Iveco, ad esempio, assembla già da anni it top di gamma in Germania ed in Spagna, non a caso. Questo la dice lunga. Bisogna cambiare, cambiare, cambiare. Buttare le vecchie regole e recuperare ciò che di buon abbiamo, ed è veramente molto. Far si che chi lavora seriamente non debba pagare per gli assenteisti, per gli evasori, per le inefficienze del sistema, per i costi della politica. Non sono questi diritti prima di qualunque cosa?

Lasciare un commento

Per commentare registrati al sito in alto a destra di questa pagina

Se non sei registrato puoi farlo qui


Sostieni la Fondazione AgoraVox







Palmares