Quando l’uomo "invento’" il denaro pensò di aver trovato un modo comodo per evitare tutta quella rottuta di balle a cui lo costringeva il "barattare" le sue cose con quelle di qualcun altro.
Il pensare a cosa portare dietro da scambiare che fosse utile a qualcun altro doveva essere una roba da mal di testa. E poi come determinare il "valore" del tuo prodotto in rapporto a quello fatto da qualcun altro? La fatica? Il tempo passato intorno all’attrezzo? L’ingegno?
Quando quella robetta di metallo prezioso iniziò a riempire le tasche dei nostri eroi il mondo sembrò più facile da affrontare.
La moneta assumeva una funzione terza rispetto a due "oggetti" e in qualche modo ne cristallizzava il valore nella prassi faticosa di una contrattazione che in quel modo non aveva il problema di misurare il valore a cui scambiare due "manufatti" quanto quella di determinare il valore di quell’oggetto di contrattazione e solo di quello.
Il compratore, forse, valutava quanto era nelle sue possibilità e in funzione di quello decideva cosa fosse per lui prioritario e più utile. Il venditore misurava la sua fatica, il tempo e di quanto quel denaro doveva "remunerare" quello sforzo per permettergli di usarne una parte per sé e il proprio sostentamento e il resto per migliorare la sua condizione e accumulare altro "capitale".
Processo lungo e complesso in cui il commercio delle eccedenze prodotte e la velocità in cui il circuito moneta/merce perpetuava la propria produzione di maggior valore innescava meccanismi moltiplicatori sia delle merci che dei capitali che della fatica spesa per produrli.
Meccanismo moltiplicatore anche di beni e dilatatore delle dimensioni del mercato così come di masse di uomini che nel tempo avrebbero perso il rapporto diretto e creativo con il proprio manufatto per diventare solo una fattore parcellizzato legato alla contabilità economica e ad un bilancio.
La moneta in sé conteneva già l’inganno su cui il sistema si consolidò nel tempo. Quando la quantità d’oro (o d’argento) con cui le monete venivano prodotte fu ridotto nel tempo in modo truffaldino, a causa della difficoltà di trovare quei metalli, in qualche modo si accettava l’idea che in realtà il valore del denaro in quanto tale non esisteva. In fondo si trattava di una convenzione a cui era legata l’idea che quell’inganno (il valore intrinseco e la capacità di moltiplicarsi) bisognava salvaguardarlo.
Sarebbe lunga e faticosa una narrazione sulla storia del denaro e di come il "capitale", quella cosa in funzione della quale tutto si muove, abbia mutato la sua natura diventando sempre più qualcosa d’impercettibile e legato in misura parziale a "manufatti" e beni tangibili.
Ci interessa, però, cercare di capire qual è il punto di rottura di quest’elastico virtuale. Perché da quello dipenderà una parte di ciò che saremo nel futuro e di come organizzeremo le nostre relazioni. Facciamo per questo un percorso in tre tappe, la prima passa da un libro del quale nel video vi leggo qualche brano. Per le altre vi dirò.