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Il creativo declino francese

Mentre siamo impegnatissimi a stappare bottiglie per l’ennesima “fine della recessione” e l’avvento della Ripresa (con la maiuscola), si moltiplicano segnali di criticità e “proposte” di risoluzione dei problemi che rendono terribilmente attuale la definizione di follia data da Albert Einstein: "ripetere la stessa azione attendendosi ogni volta un esito differente".

Nel caso dell’Ue, a dire il vero, c’è una variazione sul tema: ci si attende lo stesso esito, da proiettile d’argento, e si accantona l’esperienza di fallimenti eclatanti di analoghe proposte fatte in passato. Affascinante.

Vediamo alcuni problemi: ad esempio, il fatto che ormai anche gli uscieri sanno e ribadiscono che alla Grecia serviranno nuovi aiuti finanziari, il prossimo anno. Non che ci volesse un esperto di cosmologia, a dire il vero. Se un paese sfonda sistematicamente le previsioni di crescita e di conseguenza di deficit e debito, serve colmare il gap, in un modo o nell’altro.

Si è ora aggiunto il rischio-Portogallo, con l’ammissione da parte del presidente dell’Eurogruppo, l’olandese Jeroen Dijsselbloem, che “sarà più difficile” che il paese iberico riesca a tornare sui mercati dei capitali il prossimo anno. In realtà questo è un pallido eufemismo, visto che al Portogallo serviranno nuovi aiuti con eventuale ristrutturazione di debito, che al primo stadio colpirebbe i privati. E non dimentichiamo poi l’eterno “miracolo” irlandese, quello che tanto piace ai nostri liberisti onirici. Un paese con deficit-Pil al 9% ed un welfare onnipresente ed orgogliosamente difeso da ingerenze bruxellesi, che sta “ricominciando a crescere” con continui flussi emigratori e malgrado ciò tassi di disoccupazione, totale e giovanile, che restano da piena depressione.

Mercoledì poi, è giunta la notizia che la Francia è in viaggio per sforare la stima di deficit-Pil per il 2013, dal 3,7 al 4,1%. Il paese continua a perdere competitività, come dimostra l’andamento del saldo delle partite correnti, ha una costante erosione di occupazione, a cui risponde con pannicelli caldi e posticci. In attesa che Monsieur Hollande decida quali misure adottare per ristrutturare e rilanciare l'economia, dopo l’annuncio di una pseudo-riforma pensionistica su tempi lunghissimi ma che ha già scatenato vibrate proteste, si conferma che la Francia ha una elevata creatività, quando si tratta di tasse e sussidi.

Sul primo tema, il governo francese ha sollecitato la Commissione europea ad introdurre una “Google Tax” comunitaria, per combattere le forme di elusione fiscale delle multinazionali digitali globali. La Francia prende atto (meglio tardi che mai) che non è possibile procedere ad imposizione fiscale in un solo paese, dopo aver accantonato un’altra sua specialità, la fiscalità protezionistica travestita da orgoglioso anticolonialismo culturale. Ma il rimedio è peggiore del male, visto che Parigi propone compulsivamente una sorta di Tobin Tax digitale. E qui cominciano i problemi, visto che il concetto di Tobin Tax continua a non funzionare, ed ormai lo stanno scoprendo anche i sopracitati uscieri (con rispetto parlando). Però il concetto è talmente attraente che è altrettanto duro a morire.

Avendo un ritardo di comprensione sulla inerente disfunzionalità della Tobin Tax, di recente ribadita dal servizio legale del Consiglio europeo riguardo le misure anti elusione progettate dalla Commissione, i francesi ritengono che lo stesso pasticcio si possa applicare all’imposizione sui contenuti digitali. Tuttavia, la mossa rischia di rivelarsi intempestiva oltre che goffa, visto che il G20 ha ormai ufficializzato l’esigenza di mettere un freno alle forme più eclatanti di elusione, quelle attuate attraverso triangolazioni e con uso delle cosiddette letterbox company. È di qualche giorno fa la notizia che l’Antitrust europeo ha avviato una indagine conoscitiva sugli accordi fiscali tra le multinazionali ed i governi di IrlandaOlanda e Lussemburgo. Tale indagine potrebbe sfociare in una procedura di infrazione per aiuti di stato. È di tutta evidenza che le pratiche elusive delle multinazionali digitali ricadrebbero nella più ampia fattispecie del contrasto alle società-casella postale, e quindi i francesi dovrebbero forse meglio orientare i propri tentativi di avere sempre e comunque la primogenitura delle iniziative europee, oltre che l’ultima parola sulle medesime.

Altra bizzarra proposta francese è quella relativa alla monetizzazione da parte della Bce del finanziamento alle energie alternative. In pratica, secondo il Consiglio economico, sociale ed ambientale francese, la Bce dovrebbe stampare denaro e consegnarlo alla Bei, che lo girerebbe ai singoli stati per finanziare la “transizione ecologica ed energetica” in un momento di severe restrizioni dei bilanci pubblici nazionali. È l’uovo di Colombo, no? Stampiamo moneta sulle priorità di finanziamento comune e la lanciamo con l’elicottero ai paesi interessati, per evitare loro di svenare se stessi ed i propri consumatori/contribuenti con sussidi suicidi. Fosse così semplice, potremmo estendere la monetizzazione a tutto, e vivremmo tutti felici e contenti.

In alternativa servirebbe forse rivedere il bilancio comunitario, evitando di impegnarne una quota ancora esorbitante sulla politica agricola comune, ma da quell’orecchio i francesi (ed i tedeschi) non ci sentono. Quindi la “solenne” ed onirica richiesta del saggio organismo francese finirà ad illustrare qualche brochure durante convegni di esponenti ambientalisti avversi alla “Europa delle banche”.

Al momento del risveglio, i problemi restano intatti.

Foto: Wikimedia

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