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Il complesso di Cenerentola: il segreto fascino della dipendenza

Una graziosa fanciulla dalla bocca di rosa e il corpo leggiadro avvolto in una veste d’oro e d’argento, che si contraddistingue dalle altre per la delicata bellezza che la caratterizza per natura, destando invidia da parte di tutte le signore che la osservano e ammirazione nel bel principe che si innamorerà al primo sguardo. Una fanciulla che sia “brava”, “bella” e “dolce”. Una fanciulla che “sopporti pazientemente” qualunque ingiustizia e che non osi mai lamentarsene. Questa è la Cenerentola descritta nella ben nota fiaba di Charles Perrault.

Cenerentola è in grado di sopportare ogni genere di crudeltà ma non è altrettanto capace di vincere da sola la propria terribile condizione, per superarla ed elevarsi a nobildonna, a principessa, sono necessari l’intervento della fata madrina e il salvataggio da parte del principe azzurro.

Questa immobile attesa di un bel salvatore pronto a tutto pur di proteggere l’amata fanciulla, che caratterizza non solo la storia di Cenerentola ma la maggior parte delle fiabe classiche con protagonista una principessa, ben descrive quello che Colette Dowling definì, nel 1982, Complesso di Cenerentola. Con questo termine la Dowling si riferisce al più o meno inconsapevole desiderio, di alcune donne, di abbandonare le proprie passioni e attività in favore di qualcuno che possa proteggerle e che si prenda cura di loro. Secondo la psicoterapeuta, ciò che si nasconde dietro al complesso di Cenerentola, è una vera e propria paura di raggiungere l’indipedenza personale.

Le protagoniste delle fiabe con cui molte donne sono cresciute, e con cui si sono confrontate da bambine, ottengono spesso il famigerato lieto fine grazie al matrimonio o all’incontro con un uomo che sia bello e buono (Consolo, 2017).

Spesso le donne col complesso di Cenerentola si legano a partner che tendono a gestire ogni ambito della vita di queste, quasi fossero marionette o graziose bambole prive di giudizio, arrivando anche a sminuire ogni slancio di indipendenza delle compagne criticandole e svalutandole.

Solitamente queste donne sono state educate ad un atteggiamento maggiormente remissivo verso la figura maschile, hanno una bassa autostima e tendono a definire la propria identità solo in relazione a quella del proprio uomo (Cheeran, 2016).

Secondo Saha e Safri (2016), sembra che le donne vengano incoraggiate sin da bambine ad essere dipendenti da qualcuno. A differenza dei maschi, che sin da piccoli vengono incoraggiati all’ indipendenza, alle bambine viene spesso suggerita l’idea che esista un’opzione alternativa: in un modo o nell’altro incontreranno qualcuno, che, prendendo il controllo della situazione, consentirà loro una vita felice ponendosi a mo’ di scudo tra loro e le difficoltà della vita.

L’esigenza di sentirsi salvati e protetti è propria di qualunque essere umano, ma non può essere il fulcro principale della vita di un individuo.

Una relazione di coppia in cui uno dei due partner risulti estremamente dipendente dall’altro è spesso disfunzionale, il rapporto risulta cristallizzato sulla base di ruoli rigidi che non consentono la crescita personale né di coppia. Uno degli elementi fondamentali che caratterizza una relazione di coppia sana è, infatti, l’interdipendenza in cui entrambi i soggetti conseguono obbiettivi che siano anche individuali ma comunque interconnessi.

Scardinare lo stereotipo della donna accudente e remissiva non è facile, anche quando esso sembra essere superato, come si potrebbe credere ai giorni nostri. Sin dall’infanzia, infatti, sia i bambini che le bambine vengono costantemente bombardati da immagini caratterizzate da ruoli di genere stereotipati che, in un modo o nell’altro, vengono assimilati (Cheeran, 2016).

Per quanto gli obbiettivi che portano una donna a sentirsi realizzata siano cambiati, sembra ancora fin troppo presente l’idea che una donna arrivi alla vera e propria realizzazione solo dopo il matrimonio.

Ancora oggi si tende a identificare la possibilità di una realizzazione totale della propria vita e della propria persona solo tramite il matrimonio con un uomo che, quasi per magia, sarà in grado di rendere completa la propria amata (Consolo, 2017).

Per quanto le donne siano sulla giusta strada per scardinare il mito, ancora fin troppo stereotipato, della femminilità, e stiano sempre più affermando la propria indipendenza in modi concreti, ci si ritrova ancora troppo spesso impigliati nelle trame di una morale difficile da vincere, secondo la quale, come scriveva Perrault a metà del XVII secolo nella sua Cendrillon, “la grazia è proprio il dono delle Fate: tutto si può con essa, senza non si può niente” e ancora: “Gran bella cosa avere talento, nobil sangue, coraggio, chiaro discernimento, e gli altri doni che dispensa il cielo. Ma a nulla serviranno, se a metterli in valore non ci sarà lo zelo di padrini e di madrine di buon cuore”.

A cura della tirocinante IISS: Claudia Isaia

Tutor: Davide Silvestri

 

Sitografia:

https://www.danielemalaguti.it/amore-di-coppia-fiducia-e-interdipendenza/

https://www.psicosgambati.it/2017/05/30/la-sindrome-di-cenerentola/

https://lamenteemeravigliosa.it/cose-complesso-cenerentola/

http://www.benesserepsicosessuale.it/complesso-di-cenerentola/

Bibliografia:

  • Cheeran, A. S. Waiting for the Other Glass Shoe: A Study on the Politics behind the Wants of Women by Reinventing Cinderella.
  • Consolo, I. (2017). Il piacere femminile: scoprire, sperimentare e vivere la sessualità. Giunti.
  • Dowling, C. (1982). The Cinderella complex: Women’s hidden fear of independence(Vol. 6481). Pocket Books; Markham, Ont.: Distributed in Canada by PaperJacks, 1982.
  • Perrault, C. (2012). Le fiabe. Simonelli Editore.
Questo articolo è stato pubblicato qui

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