Il caso Lambert, un sì dalla Francia e un no dall’Europa
La condanna a vivere, almeno biologicamente parlando, per il tetraplegico trentottenne francese Vincent Lambert rimane, al momento, esecutiva. Il Consiglio di Stato francese, pronunciatosi sul ricorso presentato dalla moglie di Lambert, ha acconsentito allo spegnimento degli apparati artificiali che impediscono di porre fine a un’esistenza che di vita ha ormai ben poco. Diciamo pure nulla. E ciò in base alla legge “Leonetti”, varata nel 2005 dal governo Sarkozy, che vieta l’accanimento terapeutico qualora il paziente non abbia concrete aspettative di recupero e abbia espresso la volontà di non essere posto in una condizione di vita artificiale.
Nel caso di Lambert, come a suo tempo in Italia per la povera Eluana, non esistendo alcun documento sottoscritto che dia indicazioni precise sulla volontà del paziente, questa è stata ricostruita sulla base di testimonianze rese quando era ancora in salute, in grado di interagire, prima che il tragico incidente motociclistico di sei anni fa ponesse fine alla sua vera vita, non l’attuale stato vegetativo. Determinanti le perizie rese da tre consulenti del tribunale che hanno dichiarato irreversibili le lesioni cerebrali riportate da Lambert. In altre parole l’uomo non potrà mai recuperare le funzioni del suo cervello, non c’è nessuna ragionevole possibilità che possa tornare a una seppur minima vita di relazione con il mondo che lo circonda. Ma questo per i suoi genitori non conta. Per loro, entrambi ferventi cattolici, il padre un ginecologo antiabortista, le funzioni biologiche di quel corpo inanimato devono continuare a essere tenute attive per mezzo della tecnologia. Per questo, subito dopo l’emissione della sentenza, hanno presentato ricorso presso la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo.
Naturalmente occorreranno dei mesi, forse anni, prima che la Cedu esamini il caso e sentenzi in merito, quindi nell’immediato è stato chiesto alla giustizia francese di sospendere l’esecuzione della sentenza. Non avrebbe del resto senso discutere della liceità dell’interruzione di un trattamento sanitario se quanto deciso non potrebbe avere nessun effetto pratico, questo va senz’altro riconosciuto. Per lo stesso motivo la Cedu ha chiesto di non trasferire il paziente dall’ospedale di Reims in cui si trova ricoverato, e questo per timore che la moglie decida di portarlo nel vicino Belgio per l’eventuale eutanasia, pratica legale in quel paese. Non rimane a questo punto che aspettare per vedere se, come auspichiamo, la corte continentale riconoscerà l’unico diritto in questione: quello di Lambert di autodeterminare il proprio fine vita, e quindi di non vivere una non-vita. Non può essere considerato un diritto e quindi non dovrebbe poter essere riconosciuto tale da una corte che per definizione si occupa di “diritti dell’uomo”, quello rivendicato dai genitori di Lambert di portare avanti le terapie e l’alimentazione forzata su un corpo che, semplicemente, non è il loro.
Nello stesso giorno della sentenza in oggetto, il 24 giugno scorso, un altro tribunale francese decideva in merito al caso del dottor Nicolas Bonnemaison, denunciato per aver provocato la morte di sette malati terminali suoi pazienti. Anche per questo caso la decisione è stata presa in base alla legge “Leonetti”, essendosi i fatti verificati dopo la sua entrata in vigore, e tuttavia Bonnemaison non è stato riconosciuto colpevole di aver praticato l’eutanasia.
Lo stesso avvocato dell’accusa aveva detto che Bonnemaison non può essere considerato “un assassino nel senso comune del termine”, mentre la difesa chiedeva al tribunale di non prendere in considerazione mezzi termini; o il medico è un criminale, oppure non lo è. E secondo il tribunale non lo è, perché ha agito in buona fede e nell’interesse dei suoi stessi pazienti, la cui unica prospettiva era quella di vivere i loro ultimi giorni in crescente sofferenza. Per l’avvocato di Bonnemaison questa decisione obbligherà i politici a riformare l’attuale legislazione, che presenta sì delle garanzie minime, ma anche diverse lacune che fanno sì che non venga applicata in molti casi. Non a caso una legge sull’eutanasia era già stata promessa da Hollande in campagna elettorale, perciò non si esclude che in seguito a queste vicende il governo si dia finalmente da fare in merito.
E in Italia? Qui da noi la legge di iniziativa popolare sostenuta anche dall’Uaar attende tuttora di essere discussa dal parlamento, nonostante lo stesso capo dello Stato se ne sia fatto promotore in un appello rivolto al Parlamento. Francesco Lizzani, figlio del regista Carlo, ha voluto ringraziare Napolitano con una lettera, rilanciata da Umberto Veronesi in un articolo su MicroMega, che suona come un’ulteriore esortazione alle camere, sorde alle istanze che provengono dalla società civile ma sempre pronte ad accogliere i desiderata d’Oltretevere. Nel frattempo i Comuni italiani continuano a istituire registri dei testamenti biologici, ultimo in ordine di tempo ma non certo d’importanza quello di Roma. Per evitare che, nel caso qualcuno di noi si ritrovasse nella stessa situazione di Lambert e di Eluana, altri possano obiettare: “non si era mai espresso in proposito”.
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