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Il caso Lambert, un sì dalla Francia e un no dall’Europa

La con­dan­na a vi­ve­re, al­me­no bio­lo­gi­ca­men­te par­lan­do, per il te­tra­ple­gi­co tren­tot­ten­ne fran­ce­se Vin­cent Lam­bert ri­ma­ne, al mo­men­to, ese­cu­ti­va. Il Con­si­glio di Sta­to fran­ce­se, pro­nun­cia­to­si sul ri­cor­so pre­sen­ta­to dal­la mo­glie di Lam­bert, ha ac­con­sen­ti­to allo spe­gni­men­to de­gli ap­pa­ra­ti ar­ti­fi­cia­li che im­pe­di­sco­no di por­re fine a un’e­si­sten­za che di vita ha or­mai ben poco. Di­cia­mo pure nul­la. E ciò in base alla leg­ge “Leo­net­ti”, va­ra­ta nel 2005 dal go­ver­no Sar­ko­zy, che vie­ta l’ac­ca­ni­men­to te­ra­peu­ti­co qua­lo­ra il pa­zien­te non ab­bia con­cre­te aspet­ta­ti­ve di re­cu­pe­ro e ab­bia espres­so la vo­lon­tà di non es­se­re po­sto in una con­di­zio­ne di vita ar­ti­fi­cia­le.

Nel caso di Lam­bert, come a suo tem­po in Ita­lia per la po­ve­ra Elua­na, non esi­sten­do al­cun do­cu­men­to sot­to­scrit­to che dia in­di­ca­zio­ni pre­ci­se sul­la vo­lon­tà del pa­zien­te, que­sta è sta­ta ri­co­strui­ta sul­la base di te­sti­mo­nian­ze rese quan­do era an­co­ra in sa­lu­te, in gra­do di in­te­ra­gi­re, pri­ma che il tra­gi­co in­ci­den­te mo­to­ci­cli­sti­co di sei anni fa po­nes­se fine alla sua vera vita, non l’at­tua­le sta­to ve­ge­ta­ti­vo. De­ter­mi­nan­ti le pe­ri­zie rese da tre con­su­len­ti del tri­bu­na­le che han­no di­chia­ra­to ir­re­ver­si­bi­li le le­sio­ni ce­re­bra­li ri­por­ta­te da Lam­bert. In al­tre pa­ro­le l’uo­mo non po­trà mai re­cu­pe­ra­re le fun­zio­ni del suo cer­vel­lo, non c’è nes­su­na ra­gio­ne­vo­le pos­si­bi­li­tà che pos­sa tor­na­re a una sep­pur mi­ni­ma vita di re­la­zio­ne con il mon­do che lo cir­con­da. Ma que­sto per i suoi ge­ni­to­ri non con­ta. Per loro, en­tram­bi fer­ven­ti cat­to­li­ci, il pa­dre un gi­ne­co­lo­go an­ti­a­bor­ti­sta, le fun­zio­ni bio­lo­gi­che di quel cor­po ina­ni­ma­to de­vo­no con­ti­nua­re a es­se­re te­nu­te at­ti­ve per mez­zo del­la tec­no­lo­gia. Per que­sto, su­bi­to dopo l’e­mis­sio­ne del­la sen­ten­za, han­no pre­sen­ta­to ri­cor­so pres­so la Cor­te Eu­ro­pea dei Di­rit­ti del­l’Uo­mo.

Na­tu­ral­men­te oc­cor­re­ran­no dei mesi, for­se anni, pri­ma che la Cedu esa­mi­ni il caso e sen­ten­zi in me­ri­to, quin­di nel­l’im­me­dia­to è sta­to chie­sto alla giu­sti­zia fran­ce­se di so­spen­de­re l’e­se­cu­zio­ne del­la sen­ten­za. Non avreb­be del re­sto sen­so di­scu­te­re del­la li­cei­tà del­l’in­ter­ru­zio­ne di un trat­ta­men­to sa­ni­ta­rio se quan­to de­ci­so non po­treb­be ave­re nes­sun ef­fet­to pra­ti­co, que­sto va sen­z’al­tro ri­co­no­sciu­to. Per lo stes­so mo­ti­vo la Cedu ha chie­sto di non tra­sfe­ri­re il pa­zien­te dal­l’o­spe­da­le di Reims in cui si tro­va ri­co­ve­ra­to, e que­sto per ti­mo­re che la mo­glie de­ci­da di por­tar­lo nel vi­ci­no Bel­gio per l’e­ven­tua­le eu­ta­na­sia, pra­ti­ca le­ga­le in quel pae­se. Non ri­ma­ne a que­sto pun­to che aspet­ta­re per ve­de­re se, come au­spi­chia­mo, la cor­te con­ti­nen­ta­le ri­co­no­sce­rà l’uni­co di­rit­to in que­stio­ne: quel­lo di Lam­bert di au­to­de­ter­mi­na­re il pro­prio fine vita, e quin­di di non vi­ve­re una non-vi­ta. Non può es­se­re con­si­de­ra­to un di­rit­to e quin­di non do­vreb­be po­ter es­se­re ri­co­no­sciu­to tale da una cor­te che per de­fi­ni­zio­ne si oc­cu­pa di “di­rit­ti del­l’uo­mo”, quel­lo ri­ven­di­ca­to dai ge­ni­to­ri di Lam­bert di por­ta­re avan­ti le te­ra­pie e l’a­li­men­ta­zio­ne for­za­ta su un cor­po che, sem­pli­ce­men­te, non è il loro.

cedu

Nel­lo stes­so gior­no del­la sen­ten­za in og­get­to, il 24 giu­gno scor­so, un al­tro tri­bu­na­le fran­ce­se de­ci­de­va in me­ri­to al caso del dot­tor Ni­co­las Bon­ne­mai­son, de­nun­cia­to per aver pro­vo­ca­to la mor­te di set­te ma­la­ti ter­mi­na­li suoi pa­zien­ti. An­che per que­sto caso la de­ci­sio­ne è sta­ta pre­sa in base alla leg­ge “Leo­net­ti”, es­sen­do­si i fat­ti ve­ri­fi­ca­ti dopo la sua en­tra­ta in vi­go­re, e tut­ta­via Bon­ne­mai­son non è sta­to ri­co­no­sciu­to col­pe­vo­le di aver pra­ti­ca­to l’eu­ta­na­sia. 

Lo stes­so av­vo­ca­to del­l’ac­cu­sa ave­va det­to che Bon­ne­mai­son non può es­se­re con­si­de­ra­to “un as­sas­si­no nel sen­so co­mu­ne del ter­mi­ne”, men­tre la di­fe­sa chie­de­va al tri­bu­na­le di non pren­de­re in con­si­de­ra­zio­ne mez­zi ter­mi­ni; o il me­di­co è un cri­mi­na­le, op­pu­re non lo è. E se­con­do il tri­bu­na­le non lo è, per­ché ha agi­to in buo­na fede e nel­l’in­te­res­se dei suoi stes­si pa­zien­ti, la cui uni­ca pro­spet­ti­va era quel­la di vi­ve­re i loro ul­ti­mi gior­ni in cre­scen­te sof­fe­ren­za. Per l’av­vo­ca­to di Bon­ne­mai­son que­sta de­ci­sio­ne ob­bli­ghe­rà i po­li­ti­ci a ri­for­ma­re l’at­tua­le le­gi­sla­zio­ne, che pre­sen­ta sì del­le ga­ran­zie mi­ni­me, ma an­che di­ver­se la­cu­ne che fan­no sì che non ven­ga ap­pli­ca­ta in mol­ti casi. Non a caso una leg­ge sul­l’eu­ta­na­sia era già sta­ta pro­mes­sa da Hol­lan­de in cam­pa­gna elet­to­ra­le, per­ciò non si esclu­de che in se­gui­to a que­ste vi­cen­de il go­ver­no si dia fi­nal­men­te da fare in me­ri­to.

E in Ita­lia? Qui da noi la leg­ge di ini­zia­ti­va po­po­la­re so­ste­nu­ta an­che dal­l’Uaar at­ten­de tut­to­ra di es­se­re di­scus­sa dal par­la­men­to, no­no­stan­te lo stes­so capo del­lo Sta­to se ne sia fat­to pro­mo­to­re in un ap­pel­lo ri­vol­to al Par­la­men­to. Fran­ce­sco Liz­za­ni, fi­glio del re­gi­sta Car­lo, ha vo­lu­to rin­gra­zia­re Na­po­li­ta­no con una let­te­ra, ri­lan­cia­ta da Um­ber­to Ve­ro­ne­si in un ar­ti­co­lo su Mi­cro­Me­ga, che suo­na come un’ul­te­rio­re esor­ta­zio­ne alle ca­me­re, sor­de alle istan­ze che pro­ven­go­no dal­la so­cie­tà ci­vi­le ma sem­pre pron­te ad ac­co­glie­re i de­si­de­ra­ta d’Ol­tre­te­ve­re. Nel frat­tem­po i Co­mu­ni ita­lia­ni con­ti­nua­no a isti­tui­re re­gi­stri dei te­sta­men­ti bio­lo­gi­ci, ul­ti­mo in or­di­ne di tem­po ma non cer­to d’im­por­tan­za quel­lo di Roma. Per evi­ta­re che, nel caso qual­cu­no di noi si ri­tro­vas­se nel­la stes­sa si­tua­zio­ne di Lam­bert e di Elua­na, al­tri pos­sa­no obiet­ta­re: “non si era mai espres­so in pro­po­si­to”.

 

Foto: Marissa Anderson/Flickr

 

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