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 Home page > Attualità > Politica > Il caso D’Alema-Cpl di Ischia

Il caso D’Alema-Cpl di Ischia

Con il caso D’Alema si sta scoperchiando il pentolone delle cooperative che da tempo immemore non sono più tali ma, di fatto, società di capitali travestite, per pagare meno tasse e godere di altri privilegi. Nella faccenda ci sono diversi profili che affronteremo separatamente in altri pezzi come il ruolo delle cooperative ed il finanziamento della politica, qui ci interessa parlare dei rapporti fra politica e magistratura.

Diciamo subito che il caso in questione non ci convince molto sul piano giuridico. Non sono sospettabile di simpatie di Massimo D’Alema che incontrai la prima volta nel 1982, quando era segretario del Pci pugliese e, devo dire, che non mi entusiasmò sin dall’inizio e nei 33 anni successivi mi è piaciuto ancora meno. Dunque, lungi da me l’idea di farmi difensore di “baffino”, ma in questa storia è tirato dentro piuttosto gratuitamente.

Riflettiamoci un po’: sappiamo che la Cpl-Concordia (il nome già dispone bene…) è sotto inchiesta per aver distribuito tangenti a diversi politici in cambio di appalti, questo stando alle dichiarazioni di Francesco Simone, il manager pentito. Benissimo, sin qui non possiamo che compiacerci del fatto che venga fuori un altro caso di corruzione per il quale auspichiamo, se le accuse verranno provate, il massimo della severità per corrotti e corruttori.

Ma veniamo a D’Alema: sempre secondo Simone la cooperativa Ischitana ha versato 87.000 euro alla fondazione Italiani-Europei, ha comperato alcune centinaia di copie di un libro di D’Alema e 2.000 bottiglie di vino della sua impresa vinicola. Ma non si dice se e in che caso questo sia il pagamento di una tangente per un qualche illecito favore ricevuto.

Il reato dove è? Una catena cooperativa veneto-emiliana della distribuzione ha acquistato 60.000 copie del libro di Landini, da offrire gratis ai suoi clienti: che facciamo, incriminiamo anche Landini o chi gli ha comperato il libro? Anche il versamento alla fondazione fa parte della prassi corrente, anzi diciamoci sinceramente che i politici si sono dati le fondazione proprio per raccogliere sottoscrizioni. Magari questo è un costume indecente che a me non piace affatto, ma allo stato non è proibito da alcuna legge. Il vino? Ecco questo potrebbe essere un motivo per irrogare almeno 4 anni di reclusione a D’Alema, ma perché è un vino tragico che ho assaggiato qualche anno fa in Puglia: secondo me lui fissa troppo intensamente le bottiglie ed il vino va in aceto. Ma cosa c’entra questo con una inchiesta per corruzione? I versamenti e gli acquisti sono stati fatti in cambio di qualche favore? Bisogna dire quale e dimostrarlo.

Questa cosa è uscita giustificata dal solito argomento del “contesto”. Il Pm Henry John Woodcock che guida l’indagine (vecchio allievo di un’altra indimenticata gloria della magistratura inquirente come Arcibaldo Miller di cui è stato uditore) ha fatto altre celebri inchieste come il Somaliagate, Vallettopoli, lo scandalo Lega, il caso Savoia, il caso P4, non tutte di esito felicissimo. Nel cosiddetto Vip Gate finirono inquisiti Franco Marini, Nicola Latorre, Maurizio Gasparri, Francesco Storace, Toni Renis, A. L. R. ed altre 72 persone. Altra inchiesta criticatissima che non ha portato ad alcuna condanna.

D’accordo, la mia considerazione della magistratura giudicante è tale da non farmi pensare automaticamente che le inchieste in questione fossero tutte sbagliate o infondate, ma qualche dubbio sorge. E’ decisamente imbarazzante trovarsi a “difendere” degli inquisiti della cui innocenza il dubbio non ci assale (“con quella faccia?” direbbe Totò), però il garantismo penale non possiamo mettercelo sotto i piedi e qui dobbiamo capire che fine fa il segreto istruttorio. A questo punto, tanto vale abolirlo e fare le inchieste direttamente in redazione, almeno l’imputato potrebbe difendersi. E’ ovvio che si tratta di un paradosso, ma se il segreto deve esserci a tutela dell’inchiesta (mica possiamo far sapere ad un imputato che gli stiamo mettendo il telefono sotto controllo o lo stiamo facendo pedinare o che dopodomani gli perquisiremo casa), però deve esserci anche a tutela dei diritti dell’indagato. Ed a maggior ragione di chi indagato non è.

Ma ci sono notizie di interesse pubblico, mi direte. Certamente è così, ma è bene che l’istruttoria faccia il suo corso e poi alla fine di veda tutto. Diversamente l’inquisito è esposto ad una sorta di gogna preventiva senza possibilità di difendersi e questo non va bene neanche se l’imputato si chiami Berlusconi, Renzi, Bossi o il mostro della Salaria. Non possiamo far dipendere il nostro garantismo dal coefficiente di antipatia che ci ispira l’inquisito.

Ho paura che questo modo di fare per così dire, un po’ leggero, finisca per fornire ottimi argomenti a chi vuole una riforma della giustizia pensata per fermare le inchieste scomode. Un po’ di prudenza non guasterebbe.

Poi c’è il problema delle intercettazioni di cui si fa ormai abbondante uso. Nulla da ridire sul fatto che gli inquirenti cerchino prove anche in questo modo, anzi benvengano, però, poi, le intercettazioni che non sono materia di processo penale le togliamo di mezzo, vero?

Mi pare invece che ci sia un uso sconsiderato delle intercettazioni che finisce per dare una mano a quelli che vogliono il “giro di vite” su magistrati e giornalisti.

Il problema più serio mi sembra un altro: sarà una mia impressione ma sento un odore di Tangentopoli in arrivo. Ho la netta sensazione che la magistratura si stia preparando ad una maxi retata e non è una cosa che mi rallegra, ma ne riparleremo.

Questo articolo è stato pubblicato qui

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