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Il breve passo dall’integrità all’integralismo

Non sappiamo se il recente caso della nonnina tedesca che ha deciso, alla veneranda età di 84 anni, di abbandonare formalmente la Chiesa evangelica luterana può essere considerato il primo “veterosbattezzo” reso pubblico, ma è certo che si tratta di uno dei casi di sbattezzo più discussi. Un gruppo Lgbt ha ripreso la foto della lettera inviata dalla signora, che era stata pubblicata su Facebook da suo nipote, e adesso quel post è diventato virale. Nel giro di soli quattro giorni il documento aveva totalizzato oltre cinquemila condivisioni e quasi ventiduemila “mi piace”.

L’aspetto interessante di questa vicenda non è però tanto l’età della sbattezzata, che rappresenta più che altro una nota curiosa, quanto il motivo che sta alla base della sua decisione. Non è un caso infatti che la lettera di sbattezzo sia stata rilanciata da un gruppo Lgbt, perché la molla nella signora è scattata quando questa ha visto in televisione un pastore puntare il dito proprio contro i gay peccaminosi che secondo lui dovrebbero curarsi, e avendo la signora due nipoti gay va da sé che non ha gradito affatto la dichiarazione.

Una forma di protesta quindi, un po’ come quella attuata diversi mesi fa dal professor Davide Zotti che, offesosi per le dichiarazioni del cardinale Ruini sulle unioni omosessuali, decise di togliere il crocifisso dalla parete dietro alla sua cattedra. Con la differenza che la posizione dei cristiani protestanti, in particolare luterani scandinavi, valdesi e metodisti, è in genere più aperta nei confronti degli omosessuali. E con l’altra differenza che la signora tedesca non si è offesa per se stessa ma empaticamente per i suoi nipoti.

A questo punto viene da chiedersi quanto un credente possa essere in grado di comprendere e valutare la dottrina della sua organizzazione religiosa posto che questa, essendo fondata su testi sacri arcaici e pressoché immutabili, non può essere al passo con l’evoluzione della società e dei diritti delle persone. Ovviamente non mi riferisco a comprensione in senso letterale, è chiaro che chiunque è perfettamente in grado di capire che le religioni hanno enormi difficoltà ad evolversi e quindi a mutare la loro posizione nei confronti degli omosessuali, dei diversamente credenti, dei non credenti e perfino delle donne. Ma fino a che punto questo viene effettivamente realizzato? Fino a che punto si percepiscono le implicazioni sociali che ciò comporta, che sfociano poi in episodi di stigmatizzazione e perfino di emarginazione? Molto poco, purtroppo, anche perché se così non fosse casi come quello della signora tedesca e del professor Zotti sarebbero all’ordine del giorno, e invece si registra giusto qualche fiammata di defezioni in occasione di uscite particolarmente infelici.
sbattezzo_luterano

Piuttosto la tendenza generale è quella di accontentarsi di quelle poche parole sufficientemente ambigue da poter essere interpretate come timide aperture, anche quando poi si rivelano puntualmente per quello che sono: aria fritta. Come definire altrimenti, ad esempio, le presunte aperture di Bergoglio ai gay, quel famoso “chi sono io per giudicare” che si è poi scoperto essere stato causato dall’imbarazzo per una domanda scomoda sulla collocazione di mons. Ricca allo Ior.

Il messaggio che passa rimane quello che c’è un’apertura, poco importa se poi il papa si scaglia a giorni alterni contro la fantomatica “teoria del gender” o se il Vaticano rifiuta la nomina di ambasciatori dichiaratamente, ma cristianamente, gay. Anche quando tutto ciò cozza con i principi del fedele, che magari è invece apertissimo verso le persone Lgbt, questi cercherà nella maggior parte dei casi di giustificarla in qualche modo.

Del resto la fede è per definizione adesione cieca, acritica. Basti pensare alla Sindone di Torino, di cui è appena iniziata l’ostensione e la cui autenticità viene ritenuta aspetto secondario perfino da chi la millanta, fino al punto di trovarle definizioni alternative quali “simbolo identitario nazionale” e “conferma del bisogno di ricostruire”. Una ragione per adorarla la si trova a prescindere dal fatto che sia autentica, né più né meno di quanto si fa quotidianamente con le centinaia di reliquie spacciate per autentiche.

Se si è in grado di rifiutare queste evidenze, a maggior ragione si può accettare che la propria Chiesa si mantenga rigida verso qualunque modifica della sua dottrina perché ciò viene ritenuto segno di integrità morale. In realtà di tratta di integralismo, termine che oggi viene usato principalmente in riferimento a gruppi religiosi fondamentalisti estremisti ma che nel suo stretto significato indica il rifiuto intransigente di qualunque posizione diversa dalla propria. Che è poi il fondamento di tutte le religioni, anche di quelle apparentemente più pluraliste perché se tali si dichiarano è solo perché non possono fare altrimenti nel contesto in cui operano.

Non solo delle religioni, a dirla tutta. La tendenza all’integralismo, inteso come eccessiva intransigenza nel promuovere la propria integrità, è propria anche di movimenti politici e talvolta perfino di altri tipi di formazioni sociali laiche che per questo non condividono diverse battaglie portate avanti dall’Uaar. Una di queste è la campagna “Ora alternativa”, che per noi ha il merito di aver dato a tante famiglie la possibilità di una reale alternativa all’ora di religione cattolica, al posto del parcheggio del proprio figlio in bidelleria, ma per alcuni rappresenterebbe una legittimazione proprio dell’indottrinamento secondo Concordato. In realtà l’obbiettivo dell’Uaar è in prima istanza quello di abolire il Concordato e tutto ciò che da esso consegue e in seconda istanza l’eliminazione di privilegi confessionali specifici come appunto l’Irc, ma preso atto che al momento non ci sono molte possibilità in questo senso si agisce partendo dal basso per ottenere da un lato una concreta diminuzione dei disagi per le famiglie, e dall’altro un’erosione del pilastro su cui l’Irc poggia.

Lo stesso ragionamento vale anche per la richiesta di Intesa con lo Stato che molti interpretano, in buona o cattiva fede, come una richiesta di accesso alla ripartizione dell’Otto per mille. È vero che per accedere all’Otto per mille occorre un’Intesa, ma è falso che un’Intesa garantisca automaticamente l’accesso all’Otto per mille, come ben sanno diverse confessioni che pur avendo un’Intesa vengono escluse dalla ripartizione. Lo scopo dell’Intesa è piuttosto quello di vedere rappresentati e tutelati anche i non credenti che sono uno dei gruppi più numerosi (in Europa secondi solo ai cristiani), come statuito perfino dal Trattato di Lisbona.

Ancora, sempre riguardo all’Otto per mille, l’Uaar viene criticata perché nell’ambito della campagna “Occhiopermille” invita tutti a scrivere ai propri sindaci affinché chiedano contributi derivanti dalla quota di scelte optate in favore dello Stato e destinate a interventi straordinari per l’edilizia scolastica o per calamità naturali. Vale lo stesso discorso fatto per l’Irc, perché gli obbiettivi dell’Uaar sono sempre quelli (superamento del Concordato e dei privilegi clericali) ma nel frattempo un fiume di denaro viene impiegato annualmente per il sostentamento delle religioni. Ha senso arroccarsi su posizioni rigide consentendo di fatto che i nostri soldi vadano ai soliti noti, o è più proficuo scardinare il sistema utilizzandone quei lati che per noi possono essere validi appigli e per altri sono certamente debolezze da occultare adeguatamente? A me la risposta sembra evidente, non so quanto sia condivisa.

Va benissimo essere integri fino a quando con questo termine si intende la difesa dei propri principi e si lasci sempre aperto uno spiraglio al dubbio, perché pensare che le proprie ragioni non possano essere mai rivedute è molto fideistico e molto poco razionale. Va malissimo invece se si arriva al punto da far diventare la propria presunta integrità una forma di integralismo, perché è proprio arroccandosi che si fa il gioco di chi sfrutta appieno i privilegi acquisiti. Non viceversa.

Massimo Maiurana

Questo articolo è stato pubblicato qui

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