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Il battesimo e i riti inconsapevoli del maggio odoroso

A maggio, si sa, fioriscono le rose. E le comunioni e le cresime e perché no, i battesimi senza i quali non si avrebbero le prime.

Tempo quindi di confetti, di vestiti nuovi, di pranzi di famiglia e di regali più o meno (di solito più) costosi. Quanto sia sentito, e da quanti, il senso ultimo e profondo di questi “sacramenti”, di queste tappe obbligate e obbligatorie per chiunque voglia professarsi cattolico, non è dato ben sapere in realtà. La rinuncia alle pompe di Satana (con il battesimo) e il diventare perfetti cristiani e soldati di Cristo (con la confermazione) sembrano spesso, se non costantemente, perdere la battaglia di seduttività a fronte dell’abbacchio a scottadito del ristorante sulla Cassia e/o del nuovo modello di smartphone che nonna commossa ha promesso di regalare al pargolo disinteressato di turno.

Sicuramente anche il semplice far festa ha tutta la sua piacevole importanza, come lo ha e lo ha sempre avuto il sottolineare e celebrare momenti topici della vita dell’individuo, ben prima che il cristianesimo si affacciasse al mondo e a prescindere dall’aspetto spirituale che si voglia vedere nell’evento. Certo, il fatto che alternative non religiose, diffuse comunemente in tutta Europa, nel nostro paese siano ancora viste come esotiche buffonate, o ostacolate dalle stesse istituzioni (si pensi allo squallore di molti dei luoghi preposti ai matrimoni civili) non aiuta. Ma ancor più da carburante naturale fa quel conformismo sociale, quella necessità di adattamento senza scandali che porta a fare “ciò che si è sempre fatto”, anche senza volerne comprendere e vivere a fondo il significato.

Lo dimostra, pur se in parziale senso inverso, il clamore suscitato dalla comunione negata, nonostante la regolare frequenza del corso di catechismo, al bambino affetto da autismo perché giudicato immaturo e ancora non in grado di capire quello che stava per fare: ricevere per la prima volta il corpo di Cristo. Parroco più compiacente ha comunque in seguito provveduto. Sicuramente dove la volontarietà del soggetto parrebbe invece non contare affatto è il battesimo, praticato nel cattolicesimo degli esordi solo su adulti consenzienti, dopo lungo periodo di prova e riflessione (come ancor oggi avviene per molte chiese cristiane), attualmente su neonati o comunque infanti di pochi mesi.

Attraverso il battesimo “ci si libera dal peccato e, rigenerati come figli di Dio, si diventa membra di Cristo, ci si incorpora alla Chiesa e resi partecipi della sua missione” (Catechismo della Chiesa cattolica, n. 1213): si viene quindi incorporati, attraverso un esorcismo in senso stretto e tecnico, vita natural durante, in una comunità religiosa ben specifica. Senza che se ne possa minimamente aver coscienza, viene conferita un’appartenenza forzata che nulla garantisce possa collimare con le volontà del futuro adulto consenziente.

E che un bambino appena nato appartenga già, senza saperlo, ad una religione stride con le più moderne concezioni dei diritti umani, fa decisamente a pugni con il principio fondamentale, anche per il nostro ordinamento (Corte Costituzionale, n. 239/84) che la libertà di religione sia anche libertà di entrata, oltre che libertà di uscita, che l’adesione a un credo debba essere pertanto fondata solo sulla volontà dell’individuo.

Anche la sacrosanta libertà educativa dei genitori non dovrebbe comunque includere la possibilità di imporre un’iscrizione a vita a un club ristretto e ben identificato come una confessione religiosa; e in ogni caso, fa specie come questa potestà venga spesso esercitata per semplice convenzione sociale, per accontentare la vecchia zia di turno o per fare a gara di bomboniere. Come poi, in realtà, nessuno (genitori in testa) si preoccupino delle conseguenze “sacre” sembra non rilevante; anzi, frequente sentir dire che, dopo il battesimo, “da grande sarà libero/a di scegliere”. A quanti realmente importa, magari presi loro stessi nell’ossimoro del cattolico non praticante? Quanti impongono regole che per primi non rispettano o non considerano poi tanto importanti?

Quanti padrini o madrine, per esempio, sanno di assumersi il compito di cooperare (con i genitori) affinché il battezzato conduca una vita cristiana conforme al battesimo e adempia fedelmente gli obblighi ad esso inerenti (can 872)? Perché, appunto, al battezzato vengono dati obblighi e doveri da cattolico non indifferenti, oltre che un’identità ben precisa. Secondo il Catechismo, tra le altre, “il battezzato non appartiene più a se stesso […] perciò è chiamato […] a essere “obbediente” e “sottomesso” ai capi della Chiesa” (nn. 1267 e 1269).

Come “dono” non c’è male. Dono che peraltro ancor oggi è previsto come forzato dal codice di diritto canonico (can 868: il bambino di genitori cattolici e persino di non cattolici, in pericolo di morte è battezzato lecitamente anche contro la volontà dei genitori). Volontà di levare un supposto peccato originale, certo; pragmaticamente, anche volontà di aumentare la conta dei fedeli, poco importa se saranno tali anche “da grandi”. Certo, per molti anche se purtroppo ancora non per tutti, c’è lo “sbattezzo”, cacofonico slang(introdotto nel senso che conosciamo da Avvenire in polemica contro il primo a richiederlo, il credentissimo Aldo Capitini, fondatore della marcia Perugia-Assisi) che indica un serio e rigoroso procedimento, riconosciuto e formalizzato dal Garante per la protezione dei dati personali.

Al di là delle polemiche sistematicamente strumentali, come quelle che hanno investito lo sbattezzo-point presente alla festa Arcigay al Cassero di Bologna, e delle altrettanto sistematiche accuse di, quando va bene, anticlericalismo goliardico, di contro-rito vendicativo quando va male, la cosiddetta apostasia dalla chiesa cattolica riconosciuta dalla normativa italiana ha precise conseguenze giuridiche e vanta, a pieno titolo, la definizione di “leading case del diritto all’identità” (Colaianni). Perché può capitare che il nostro essere deciso da altri cattolico apostolico romano non corrisponda affatto a ciò che pensiamo, a come agiamo, a come vogliamo essere visti (e conteggiati).

Così come dobbiamo avere a pieno titolo e a tutto campo il diritto di esserlo, cattolici, se lo decidiamo: ancora una volta, libera entrata e libera uscita. Libertà di religione, libertà dalla religione. Sopra tutto, inclusiva, libertà di coscienza. Che è triste vedere barattata così facilmente per un po’ di tulle e per la suocera arcigna. In ogni caso, per convinzione o convenzione che sia, un battesimo non si rifiuta mai: lo ha ribadito Bergoglio pochi giorni fa, nell’ordinare 19 nuovi sacerdoti: “porterete nuovi fedeli al popolo di Dio: non rifiutare mai il battesimo a chi lo chiede”.

Ecco, appunto. A chi lo chiede. E che sappia anche cosa sta chiedendo.

Adele Orioli, responsabile iniziative legali Uaar

 

Foto: C. Kainz/Flickr

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