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Il Ros lascia la caccia a Matteo Messina Denaro. A Palermo è tornato il Palazzo dei Veleni?

Update: in serata il Ros ha fatto sapere che "la cattura del noto latitante resta un obiettivo primario del Ros, che continua a svolgere le indagini delegate dalla procura di Palermo con lo stesso impegno"

Nella storia della lotta al crimine organizzato, situazioni di questo genere si erano già viste ma senza un finale così inaspettato. 

Sono diventate quasi barzelletta le rivalità fra l’Arma dei Carabinieri e la Polizia di Stato e qualche volta, ad acuire certe differenze di visione e di operatività, ecco che ad intervenire sono i magistrati, che non sono sempre una forza unica come dovrebbe avvenire in un paese normale e che, come in questo caso complicano le cose. 

Succede infatti, che la caccia al numero uno dei latitanti, al numero uno della mafia siciliana viene stoppata dai Ros

Il reparto all’occhiello dell’Arma nella caccia ai ricercati. Il reparto che fu del capitano Ultimo, quello che da anni stava in un capannone con video collegati alle case di presunti boss e sodali pronto a intercettare ogni più piccolo spiraglio per arrivare al super-latitante. 
 
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Teresa Principato

 Teresa Principato e i suoi sostituti, Marzia Sabella e Paolo Guido insieme al nuovo comandante dei Ros, il generale Mario Parente, hanno deciso di non proseguire più le indagini su Matteo Messina Denaro. Perché? Cosa ha portato a una decisione così drastica e negativa? 

 
Il motivo è che le indagini dei Ros, che seguivano una determinata pista che riguardava la cosca Sutera e Leo Sutera in particolare è stata “bruciata “ da un blitz della polizia su ordine del procuratore capo Messineo e da altri pm. 
 
L’operazione ha portato sì all’arresto di 49 persone della cosca stessa, nel mese di giugno, ma ha anche vanificato mesi di indagini che stavano, forse, dando i frutti sperati. 
 
Ma andiamo nel dettaglio di questa storia che sembra uscita dalla sceneggiatura di una delle serie della “Piovra”. Sceneggiato girato molte volte a Trapani tra l’altro. 
 
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Leo Sutera

 Leo Sutera è un noto capomafia dell’agrigentino e da un po’ di tempo era sotto l’occhio attento dei carabinieri e ultimamente anche dell’Aisi (i servizi segreti, ex Sisde per intenderci). Proprio l’Aisi era entrato in possesso di un pizzino di Matteo Messina Denaro scritto proprio per il Sutera. 

Contemporaneamente il Ros aveva intercettato la conversazione tra il boss agrigentino e un suo uomo mentre gli raccontava dell’incontro tenuto con il superlatitante. 
 
Due indizi di un certo spessore quindi, a cui son seguiti lunghi e minuziosi pedinamenti nelle campagne per ascoltare le riunioni con i vari capi mandamento palermitani e trapanesi, utilizzando anche un piccolo aereo spia, il “Predator”. 
 
Francesco Messineo Ecco perché il gruppo di pm che stava seguendo le indagini, insieme al Ros, chiese ripetutamente al procuratore Messineo di non effettuare quel blitz che invece, puntualmente avvenne, vanificando ogni operazione di pedinamento e ascolto avvenuta sino ad allora. Ma perché non aspettare ancora qualche giorno, qualche mese prima di arrestare Sutera e la sua gente? Non sarebbe stato meglio provare a perseguire questa pista che avrebbe, probabilmente, portato al fantasma della provincia di Trapani? 
 
Dopo il blitz, come ovvio, in Procura si sono incrociate le mail, le riunioni e i fogli protocollati come fossero spade di un rinascimentale duello. Da una parte una combattiva Teresa Principato e dall’altra un drastico Messineo che ha affermato che gli indizi che aveva il Ros erano troppo generici. Due Pm con visioni diverse di una storia che si è protratta anche troppo ormai.
 
Messina denaro identikit Ma il reparto dei Ros non è la prima volta che esce dal Palazzo che fu dei veleni (o lo è ancora?) e forse non è neanche così dispiaciuto di lasciare questo posto che lo ha visto sul banco degli imputati per la cattura di Riina, per il ’93 e per la trattativa Stato-mafia con il suo ex comandante Mori
 
Strano destino per questi uomini che lavorano a stretto contatto con il male per combatterlo e che quando muoiono lo fanno a bassa voce, come il caso del maresciallo Filippo Salvi, un bergamasco che cinque anni fa, mentre stava installando una videocamera in un costone a Bagheria cadde e morì. In silenzio, per non allertare nessuno. Perché anche quella volta la preda era sempre quella, quel volto, non più ragazzo, che nelle foto si nasconde dietro a degli occhiali scuri e a quell’omertà che va oltre la paura.
 
Di Alessandro Ambrosini

Commenti all'articolo

  • Di (---.---.---.163) 7 dicembre 2012 15:51

    Mi sembrerebbe molto probabile che Messineo abbia ricevuto ’ordini superiori’ affinche’ riuscisse a mettere il bastone tra le ruote a quelli del "Ros". Non sarebbe la prima volta: ’Binnu’ (allora capomafia) chiese al Sig. Pino Migliore (proprietario del gruppo "Migliore" in tutta la Sicilia), di entrare a far parte di un gruppo antimafia affinche’ si potessero coprire meglio le operazioni tra il medesimo e la mafia. Questo stando alla testimonianza del pentito "Lo Verso". 

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