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Il Papa e la via crucis della laicità

Una via crucis sottotono per Francesco. Meno partecipanti del solito (la paura fa novanta), ma anche meno telespettatori del solito. La preghiera deve comunque essere piaciuta parecchio al Fatto Quotidiano, che ha deciso di riprodurla integralmente in quanto “invettiva”. A essere presi di mira dal papa, però, interloquendo idealmente con la “Croce di Cristo”, sono stati soprattutto “coloro che vogliono toglierti dai luoghi pubblici ed escluderti dalla vita pubblica, nel nome di qualche paganità laicista o addirittura in nome dell’uguaglianza che tu stesso ci hai insegnato”.

Una bella invettiva contro i laici, in effetti. Che tuttavia in pochi hanno notato: forse perché non ritengono opportuno seguire il papa quando fa il papa, o forse perché l’invettiva collideva un po’ troppo con l’immagine del papa pacificamente aperto al mondo costruita in questi tre anni. L’unica rilevante eccezione è stata quella dello storico dell’arte Tomaso Montanari, che su Repubblica ha pubblicato un pezzo scritto “da cristiano che dissente da un papa così evidentemente profetico ed evangelico”.

In qualche modo, dunque, anche Montanari sembra essersi fatto un’immagine di Francesco a proprio uso e consumo. Perché a chi scrive, che cristiano non è, questo papa non è mai sembrato discostarsi in alcun modo dal concetto di laicità nella dottrina cattolica. Potrà anche definirsi saltuariamente “anticlericale”, Bergoglio, ma servirebbe qualche pezza di appoggio per dargli credito. E non se ne trovano. Nemmeno le parole sul crocifisso costituiscono una novità: rappresentano anzi persino un passo indietro rispetto al cardinale Camillo Ruini, che cercava di giustificarne la presenza negli edifici pubblici quale “segno dell’identità della nostra Nazione”, in grado di “esprimere” l’anima profonda del nostro Paese”.

Argomentazioni discutibili: sono le stesse usate oggi da un Salvini o una Meloni — ammesso e non concesso che ci siano argomentazioni valide a sostegno della presenza di un simbolo di parte in luoghi di tutti. In fondo, per la Corte Europea dei diritti dell’uomo il crocifisso può starci, nelle scuole, soltanto perché simbolo “passivo”: un arredo inoffensivo, insomma. Un giudizio di cui proprio i cattolici dovrebbero lamentarsi per primi. E invece niente: pare proprio che si ritenga più importante mantenere il privilegio esclusivo di esporlo. Arrivando così a Francesco che non cerca nemmeno più di giustificare la sua presenza: guai a chi lo toglie, sembra dirci.

Piacerà anche a tanti progressisti perché pauperista, papa Bergoglio, ma non è ancora pervenuta alcuna notizia della rinuncia di propria sponte a qualche privilegio. Mentre gli anni passano. E in hoc signo vincit, la Chiesa, nei confronti delle istituzioni e da quasi due millenni. Facendo leva su un bisogno ancestrale di totem sfruttato a destra come a sinistra (vedi Piero Fassino, che non a caso ha studiato dai gesuiti). La diffusa volontà di non criticare in alcun modo il papa si è ormai trasformata in scarsa voglia di mettere in discussione la religione de facto di Stato. Ma se si vuole che questo Paese faccia un salto di qualità occorre non far più sconti a nessuno: politici, religiosi, media. Per non finire come in Bangladesh, la cui Costituzione rivendica la laicità dello Stato, ma nel contempo dichiara l’islam religione di Stato.

È questo ciò che vogliamo?

Raffaele Carcano

Questo articolo è stato pubblicato qui

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