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Il Movimento 5 stelle ed il “punto di confusione” - 1 parte

Ma il movimento di Grillo è di sinistra o di destra? Alzi la mano chi non si è fatto questa domanda. Prendiamo il discorso un po’ alla larga.

Quasi 30 anni fa, discutendo con il mio amico Franco Acanfora del nascente movimento ecologista, ci chiedevamo se e in che senso esso potesse essere considerato di sinistra. Infatti, anche se gran parte del suo personale politico proveniva dal Pci, da Dp o dai radicali, il movimento rifiutava qualsiasi etichettatura, auto collocandosi fuori dal tradizionale continuum destra-sinistra. 

In effetti, il fenomeno presentava caratteristiche piuttosto insolite: esprimeva forte diffidenza verso la tecnologia e lo sviluppo economico (posizione di destra per i parametri dell’epoca), ma esprimeva una generica ispirazione libertaria (non condivisa da tutti ma dalla maggioranza) che lo collocava a sinistra, mentre sui temi sociali esso non esprimeva una posizione univoca, per cui non era classificabile.

Ugualmente era poco chiaro quale fosse la posizione dei verdi in tema di laicità o di riforme dell’appartato statale. Socialmente si trattava di un’area di opinione molto eterogenea, salvo una prevalente caratterizzazione urbana. Le stesse considerazioni potevano essere fatte per i radicali decisamente laici e libertari, quel che li collocava a sinistra del Pci (e, infatti, molte campagne per i diritti civili furono fatte con Lotta Continua e Dp), ma che, in politica economica, pur dichiarandosi “socialisti autogestionari”, condividevano le posizioni di Ugo La Malfa che, al tempo, erano considerate di centro o di centro destra.

Poi dagli anni novanta scomparve ogni riferimento al socialismo sostituito dal più oltranzistico neo liberismo. Quanto alle innovazioni tecnologiche, erano passati da una convinta battaglia a favore del nucleare, nei primi sessanta, alla testa del nascente movimento anti nucleare negli ultimi settanta.Pertanto, provammo ad ipotizzare una diversa organizzazione dello spazio politico, non più sulla sola dimensione lineare destra-sinistra, ma distinguendo tre diverse dimensioni basate sui due valori base di riferimento (eguaglianza e libertà), mentre tutta un’altra serie di questioni, (laicità dello stato, sviluppo scientifico e tecnologico, processi di socializzazione politica, internazionalizzazione del sistema) vennero raggruppate in un’unica dimensione che definimmo “modernizzazione”. Naturalmente si trattava di una soluzione empirica e convenzionale, dato che avremmo potuto ripetere l’esercizio su più assi distinguendo ogni singola voce. Ma per non complicare troppo lo schema preferimmo semplificare le cose con questo accorpamento.

Pertanto, ritenemmo che le tre voci considerate fornissero una base sufficiente per ripensare lo spazio politico in base ad alcuni assi valoriali fondamentalissimi.

Ne ricavammo tre dimensioni, ciascuna delle quali aveva un centro pari a zero ed uno sviluppo + da una parte e – da quella opposta. Pertanto, lo spazio politico era pensato come un cubo al cui centro c’era un punto zero. Questa sistemazione dello spazio politico aveva diversi vantaggi: consentiva di distribuire le forze politiche secondo collocazioni più aderenti alla loro reale funzione nel sistema ed anche di registrare meglio i loro spostamenti nel tempo.

Approfondendo meglio il discorso, man mano che collocavamo le forze politiche nel nostro immaginario cubo seguendone gli spostamenti progressivi, notammo che, intorno allo zero, si definiva un’area molto particolare che chiamammo “punto di confusione”. Un’area abbastanza limitata nella quale si collocavano quasi automaticamente una serie di movimenti nella loro fase embrionale: peronismo, fascismo, poujadismo (dopo la Lega di Bossi) ecc. Oggi potremmo collocare in questa area anche i movimenti islamisti delle origini (fra gli anni venti ed i trenta) o anche anticoloniali come l’Anc o il soekarnismo. Questi movimenti non si collocano intorno allo zero per la mancanza di pulsioni radicali versi l’uno o l’altro degli assi valoriali considerati, ma, al contrario, perché ospitano nel proprio seno spinte molto radicali, ma assolutamente divergenti.

Nel fascismo c’erano nazionalisti ed anarcosindacalisti, repubblicani e generali monarchici, futuristi e fautori della tradizione ecc. Anche il peronismo era un crogiolo di tendenze di destra parafasciste e di ali di sinistra sindacale prossime al socialismo. Considerazioni dello stesso tipo si possono fare per i movimenti di protesta antifiscale come quello di Glistrup nella Danimarca dei primi anni settanta.

Questi fenomeni politici sorgono quando una serie di domande politiche non riescono a “passare” nell’agenda e questo determina una crescente delegittimazione del sistema. Si determina in questo modo una convergenza di domande anche eterogenee che, però, spesso, trovano il loro punto di coesione intorno ad un leader carismatico che tiene insieme le diverse anime. Questa sorta di “emulsione” non dura a lungo: in breve si produce un processo di decantazione che avvia ciascun movimento verso il suo esito. Nella maggior parte dei casi, questo processo determina lo scioglimento del movimento che non sopravvive ad una effimera fortuna (è il caso di movimenti populisti-qualunquisti come quelli di Giannini, Glistrup in Danimarca, Poujade in Francia, Ross Perrot negli Usa ecc.). In altri casi, il movimento definisce meglio la sua identità -perdendo alcune ali- e e realizza una sua stabilizzazione minoritaria (è il caso dei verdi europei o dei radicali, ma anche della Lega e di alcuni movimenti similari). Ma alcuni di questi movimenti “esplodono” producendo rivoluzioni politiche di segno più o meno autoritario (è il caso di fascismo e peronismo).

In questo caso, le componenti autoritarie ed antiegualitarie hanno prevalso su quelle libertarie ed egualitarie, per una serie di ragioni, la principale delle quali sta proprio nel carattere carismatico del movimento. Peraltro hanno influito anche altri elementi come il diverso accesso alle risorse, la pressione dell’ambiente circostante (nazionale ed internazionale), la maggiore o minore abilità tattica dei vari attori ecc.

La mia tesi è che per comprendere il Movimento 5 stelle occorra partire proprio dalla nozione di “punto di confusione”.

Questo articolo è stato pubblicato qui

Commenti all'articolo

  • Di Vincenzo Fatigati (---.---.---.166) 8 maggio 2012 09:19
    Vincenzo Fatigati

    Secondo la mia modesta opinione, il movimento 5 stelle, è una forma di populismo anti-parlamentarista, molto più vicino ad ambienti di destra, benché sia globalista e non identitario, e chiaramente aggiornato all’epoca del web 2.0.
    Si cerca, implicitamente di scavalcare le istituzioni democratiche (si veda gli attacchi a Napolitano),e la stessa forma parlamentarista. Una politica urlata nelle piazze, più che rappresentativa. Inoltre c’è l’identificazione dell’elettore, col partito (uno vale uno?) e quindi con l’immagine carismatica di beppe grillo, che può de facto decidere vita e morte del partito. Non più una pluralità di visioni, ma l’identificazione tra elettore-partito e leader carismatico. Una nuova forma di destra. Vedremo cosa succede quando va al potere, certo ridurre la dimensione politica a semplice "amministrazione" neutrale, può essere molto pericoloso. vf

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