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Il Governo cinese cerca il controllo delle religioni

Il Governo della Repubblica Popolare Cinese ha fin dal 1949 fondato il proprio potere sull'ateismo dello Stato. Come credo del regime comunista, la Cina ha tentato di controllare i poteri religiosi oppure ha provato a sopprimerli. I movimenti religiosi sono ancora oggi contrastati dal governo centrale attraverso l’incarcerazione dei fedeli, una rieducazione psicologica degli stessi o il tentativo di impossessarsi dei vertici delle varie religioni, in modo tale che siano assoggettati al suo controllo.

Proprio in questa prospettiva, nel 1957 fu creata l’Associazione patriottica cattolica cinese, che aveva lo scopo di controllare le attività dei cattolici in Cina. La convivenza tra la Chiesa ufficiale, che riconosce cioè l'autorità dello Stato e non quella del Papa, e quella "sotterranea", che risponde solamente a quella del Vaticano, sopravvive ai tentativi del primo di avere la supremazia sui fedeli cattolici, ma durante quest’ultimo papato ci sono stati diversi scontri ufficiali tra le nomine compiute dall'Associazione e la Santa Sede.

A luglio, la Chiesa Patriottica aveva parlato dell'intenzione di nominare nuovi vescovi, nonostante ci fosse già stata la clamorosa scomunica del Rev. Lei Shiyin il 4 luglio scorso da parte di Benedetto XVI a causa della sua ordinazione a vescono per volere dell’Associazione patriottica e “senza mandato pontificio e quindi illegittimamente”. Nella dichiarazione della Santa Sede si leggeva anche che “lo stesso Rev. Lei Shiyin era stato informato da tempo che non poteva essere accettato dalla Santa Sede come candidato episcopale, a causa di motivi comprovati e molto gravi”; succesivamente, il 14 luglio, il Papa aveva scomunicato anche il Rev. Giuseppe Huang Bingzhang, perché un vescovo legittimo era già presente nella diocesi. Il Vaticano ha fatto così sapere che appoggia quei vescovi e quei cattolici che si stanno opponendo alle nomine forzate dei patriottici e all'obbligo di iscriversi all'Associazione. Qualche giorno fa, inoltre, decine di sacerdoti e laici sono stati arrestati dalle forze dell’ordine. Questi sacerdoti farebbero parte della cosiddetta “comunità cattolica sotterranea” di Tianshui nella provincia di Gansu, comunità che riconosce l’autorità del Papa, ma non quella dello stato cinese. Sembrerebbe che dietro a queste carcerazioni si nasconderebbe il tentativo di convincere la comunità, che conta ben 14 preti sotterranei sui 27 totali, ad appoggiare l’elezione di un vescovo patriottico e non sotterraneo come invece potrebbe succedere, ossia di una figura “amica” al Fronte unito. A causa del gran numero di fedeli, 4 milioni per la sola Chiesa cattolica “ufficiale”, riconosciuta cioè dall’Associazione, più i 16 milioni di seguaci della chiesa sotterranea, il controllo dei vertici del cattolicesimo in Cina è fondamentale da parte del Governo. 

Si sta assistendo alla stessa strategia di controllo del governo cinese nei confronti del buddismo tibetano. La Cina, dal settembre del 2007, si è arrogata il diritto sulla nomina della carica di Dalai Lama, che tradizionalmente spetterebbe ai soli lama tibetani. Di fronte alle difficoltà di rappresentare una religione che si sta espandendo anche a livello internazionale e nello stesso tempo uno stato considerato illegale da chi ha il controllo del territorio, si è assistito a un atto eclatante di fine strategia politica da parte dello stesso Dalai Lama attualmente in carica, Tenzin Gyatso. Infatti fino a qualche mese fa il ruolo di guida spirituale corrispondeva alla figura politica di Presidente del Governo tibetano in esilio, fino a quando cioè Tenzin Gyatso non si è dimesso dalla carica politica mantenendo solamente quella spirituale. Anche qui i numeri non sono irrilevanti. Il Presidente infatti, che dall’8 agosto è Lobsang Sangay, rappresenterebbe almeno 140.000 tibetani in esilio e il Dalai Lama tutti i fedeli anche internazionali che fanno capo al buddismo tibetano. Quindi, prima che fossero annunciate al mondo suddette reali dimissioni, avere il controllo del vertice della religione buddista equivaleva a controllare anche un nutrito numero di tibetani risiedenti in paesi esteri, legati alla propria terra d'origine dal credo religioso.
 
A tutto questo si aggiungono anche le numerose repressioni avvenute verso le minoranze cinesi musulmane come gli Uiguri nello Xinjiang.
 
La religione ha la capacità di muovere grandi masse e di far passare valori e ideologie profonde, come spesso un governo non riesce. Motivo per cui gli stati laici tentano in qualche modo di creare una religione civile, che dia legittimità e forza al proprio governo. Il territorio cinese è molto grande e racchiude al suo interno regioni molto diverse tra loro e per riuscire a mantenere intatto il controllo si è trovato costretto a creare un background culturale comune cercando di mantenere la propria legittimità attraverso l’idolatria statale e del sistema, mantenendo il suo ruolo di guida spirituale e morale del Paese.

Commenti all'articolo

  • Di (---.---.---.241) 30 gennaio 2012 05:32

    Potremmo dire, piuttosto, con molta modestia, che la Cina non vuole interferenze ed invasioni di alcun genere. Conoscendo la storia, e quindi l’arroganza delle tre religioni monoteiste, la Cina ed il suo popolo si guarda bene dal permettere che si invada la cultura millenaria dell’impero dell’est. Il buddismo e’ una religione dell’India, per questo anch’esso, e’ visto come una ingerenza nella cultura e nel quieto vivere di un sesto dell’umanita’. Siamo arroganti, e presuntuosi, usiamo il Tibet come scusa per danneggiare un paese che non si vuole sottomettere alla triade monoteista. Allah, Yah e Dio non sono con noi, sono con la passione di chi ama e chi non falcia la vita per denaro e terra.

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