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 Home page > Attualità > Politica > Il Federalismo non viene approvato. Ma già divide il paese

Il Federalismo non viene approvato. Ma già divide il paese

Che il Federalismo sia stato bocciato, lo hanno capito anche i sassi. È il caso quindi di guardare con diffidenza quelli che ce la vogliono dare a bere con la storia della pareggio in bicamerale, che a parere loro non è vincolante per i passaggi successivi della legge. È solo un tentativo di difendere l’indifendibile, come cospargersi di profumo, anziché lavarsi, per sopperire al puzzo di sudore. Il pareggio è assolutamente vincolante, almeno se si riconosce ancora l’effettività delle norme giuridiche nel nostro paese.

Il decreto legislativo sul Federalismo municipale, votato ieri in Commissione Bicamerale, ha ottenuto parità di voti. Il regolamento della Commissione all'art.7 parla chiaro: "Le deliberazioni della Commissione sono adottate a maggioranza dei presenti, considerando presenti coloro che esprimono voto favorevole o contrario. In caso di parità di voti la proposta si intende respinta". Punto. In seguito alla bocciatura da parte della commissione, il decreto è stato comunque approvato dal Consiglio dei Ministri che, questo è fuor di dubbio, ha l’ultima parola sul decreto. Tuttavia la legge delega 42/2009 sul Federalismo prevede che, in caso di respingimento, il governo, prima di procedere all’approvazione, si presenti alle Camere per spiegare le motivazioni per le quali intende proseguire su quella strada. È un passaggio a titolo consultivo, ma comunque previsto dalla norma giuridica. E data l’assoluta rilevanza del provvedimento, risulta essere anche doveroso, per rispetto verso l’organo parlamentare, rappresentativo della volontà popolare. Con l’approvazione in fretta e furia del Cdm si è tentato di scavalcare le normali procedure previste per la regolare entrata in vigore della legge.

Parlare di golpe è fuorviante, nonché controproducente, ma che vi sia stata una forzatura istituzionale è lampante. Ed è comprovato dal comunicato del Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano: “Non sussistono le condizioni per procedere alla richiesta emanazione”. Continua: “Il capo dello Stato ha comunicato al presidente del Consiglio di non poter ricevere, a garanzia della legittimità di un provvedimento di così grande rilevanza, il decreto approvato dal governo”. Tralasciando per un attimo i quotidiani attacchi alla magistratura del premier Silvio Berlusconi, che da Bruxelles ha denunciato ancora una volta la natura giudiziaria della nostra Repubblica, bisogna considerare le conseguenze politiche della vicenda. Tra le varie ipotesi la più gettonata è quella di lasciare il testo della legge immutato e di sottoporlo al voto del parlamento, apponendovi eventualmente la questione di fiducia – molto probabile per la pressione della Lega che non ci sta più a farsi prendere in giro da B. – che risulterà vincolante per i parlamentari. In caso di bocciatura infatti il governo sarà costretto a rassegnare le dimissioni. Ovvero, dal Federalismo dipende la sorte di tutta la legislatura. La questione di fiducia è comunque trascurabile. Senza Federalismo, Bossi staccherebbe comunque la spina.

L’attaccamento alle poltrone, qualità indiscussa e risaputa dei nostri parlamentari, risulterà quindi decisiva. Il federalismo è lo scotto che dovremo pagare alla Lega per il suo sostegno all’antipolitica di B., che peraltro non ha mancato di suscitare reazioni e dissapori nell’elettorato del Carroccio. Non facciamoci tuttavia illusioni sul responso delle aule. Dopo aver ascoltato le motivazioni con le quali è stato giustificato il no all’autorizzazione a procedere nei confronti del ragioniere Spinelli, dalle quali emerge quell’inconsistenza nelle argomentazioni propria della malafede, possiamo anche riporre le speranze nel cassetto delle cose inutili. La spavalderia e l’impudenza con cui si è voluto rinviare gli atti alla procura di Milano sono l’indice della mancanza di quei requisiti morali e professionali che attengono all’organo parlamentare.

Senza entrare nel merito della legge, che porterà a un prevedibile inasprimento fiscale, né del grado di disgregazione sociale che ne deriverebbe, un’osservazione va fatta. Questi decreti del governo non renderanno l’Italia un paese federale. Da che mondo è mondo, una federazione nasce quando diversi stati riconoscono la loro comune identità e si “federano” in un unico stato, come gli Stati Uniti. Quello che si vuole far passare nel nostro paese come federalismo è invece la divisione di uno Stato già unito in più piccole regioni con maggiori poteri. L’esatto contrario di un paese federale. Lo ha riconosciuto anche il Presidente della Corte Costituzionale Ugo De Siervo: “Quello di cui si sta parlando non è federalismo, dire federalismo municipale è una bestemmia: è come dire che un pesce è un cavallo, sono due cose che non stanno insieme. Si chiama autonomia finanziaria”.

Il federalismo, è doveroso riconoscerlo, sta dividendo lo Stato prima ancora di essere approvato. Il ministro Calderoli si dice comunque “orgoglioso” del decreto legislativo. Ma, in un paese normale, le convinzioni di colui che ha ideato l’attuale, abominevole legge elettorale definendola poi, in un eccesso di sincerità, una “porcata” non dovrebbero essere nemmeno riportate sui giornali. Dovrebbero essere accolte da un sorriso di compassione e una scrollata di spalle, come si fa con le persone che sono solite esprimere pareri irrilevanti e fuori luogo, niente più. Ma su una cosa siamo d’accordo con il ministro. La legge sul federalismo sarà votata in Parlamento, e sarà sicuramente approvata. Il pessimismo, come già detto, è d’obbligo. D’altro canto non sarebbe corretto espropriare le Camere della facoltà di approvare il decreto legislativo così da potersi macchiare dell’ennesimo delitto verso la nostra Repubblica. I nomi degli autori di tale scempio rimarranno però ben impressi nella nostra memoria. E quei nomi, questo è certo, non li dimenticheremo. Per molto tempo.

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