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Il Consiglio d’Europa compara in­fi­bu­la­zio­ne e circoncisione

Da tem­po ci si in­ter­ro­ga or­mai sul­la li­cei­tà di cir­con­ci­sio­ne ma­schi­le e mu­ti­la­zio­ne ge­ni­ta­le fem­mi­ni­le, in quan­to pra­ti­che ri­tua­li che com­por­ta­no me­no­ma­zio­ni fi­si­che im­po­ste ai bam­bi­ni che non pos­so­no de­ci­de­re. Una nuo­va sen­si­bi­li­tà che ar­ri­va so­prat­tut­to nei pae­si del nord Eu­ro­pa, dove è cre­sciu­ta la com­po­nen­te isla­mi­ca e il pro­ble­ma si fa sen­ti­re tra le co­mu­ni­tà di im­mi­gra­ti. L’an­no scor­so il tri­bu­na­le di Co­lo­nia, in Ger­ma­nia, ave­va pa­ra­go­na­to la cir­con­ci­sio­ne ma­schi­le a una ag­gres­sio­ne. An­che in Nor­ve­gia e in Sviz­ze­ra ci si era in­ter­ro­ga­ti sul tema, su­sci­tan­do l’op­po­si­zio­ne con­giun­ta del­la co­mu­ni­tà mu­sul­ma­na e di quel­la ebrai­ca, che han­no par­la­to di vio­la­zio­ne del­la li­ber­tà re­li­gio­sa.

Il tema con­ti­nua a far di­scu­te­re in Ger­ma­nia, dove la cor­te di Hamm, nel Nord Re­no-Vest­fa­lia, ha di re­cen­te im­pe­di­to ai me­di­ci di ef­fet­tua­re una cir­con­ci­sio­ne ri­tua­le im­po­sta a un bam­bi­no di sei anni dal­la ma­dre, nata in Ger­ma­nia e di ori­gi­ne ke­nyo­ta. Pri­ma di vi­si­ta­re il Ke­nya, dove al­me­no l’80% dei ma­schi è cir­con­ci­so, la don­na vo­le­va che il fi­glio fos­se sot­to­po­sto alla pra­ti­ca. Se­con­do la sen­ten­za del tri­bu­na­le la ma­dre non avreb­be però con­si­de­ra­to il dan­no psi­co­lo­gi­co che ciò avreb­be ar­re­ca­to. In pre­ce­den­za un tri­bu­na­le di Dort­mund ave­va sug­ge­ri­to che fos­se il lo­ca­le uf­fi­cio per i mi­no­ri a do­ver ave­re l’ul­ti­ma pa­ro­la su even­tua­li cir­con­ci­sio­ni.

È ar­ri­vato an­che il pa­re­re del Con­si­glio d’Eu­ro­pa, che ha ap­pro­va­to un te­sto in cui si con­si­de­ra per la pri­ma vol­ta la cir­con­ci­sio­ne alla pari del­le mu­ti­la­zio­ni ge­ni­ta­li fem­mi­ni­li. Il do­cu­men­to è sta­to ap­pro­va­to dal­l’as­sem­blea par­la­men­ta­re del Con­si­glio con 77 sì, 19 no e 12 asten­sio­ni. Non chie­de la mes­sa al ban­do del­la cir­con­ci­sio­ne, ma la con­si­de­ra una vio­la­zio­ne del­l’in­te­gri­tà fi­si­ca dei mi­no­ri. Piut­to­sto, ven­go­no con­te­sta­te le pra­ti­che dei ta­tuag­gi e dei pier­cing su mi­no­ri, non­ché gli in­ter­ven­ti me­di­ci su bam­bi­ni in­ter­ses­sua­li. Il tut­to al­l’in­se­gna del­la de­fi­ni­zio­ne di cri­te­ri chia­ri per il ri­spet­to del­le nor­me sa­ni­ta­rie per que­gli in­ter­ven­ti che non han­no una mo­ti­va­zio­ne me­di­ca. Agli sta­ti mem­bri vie­ne chie­sto di le­gi­fe­ra­re su que­sto tipo di ope­ra­zio­ni, in par­ti­co­la­re per ga­ran­ti­re che il mi­no­re non deb­ba su­bir­le se non è in gra­do di dare il suo con­sen­so.

No circoncisione, no infibulazione

Cri­ti­che a que­sta pre­sa di po­si­zio­ne eu­ro­pea sono ar­ri­va­te non a caso dal­la Tur­chia e da Israe­le. Nel pri­mo pae­se c’è in que­sti anni un ri­tor­no di fiam­ma del con­ser­va­to­ri­smo isla­mi­co e il go­ver­no di Er­do­gan sta sman­tel­lan­do di fat­to la lai­ci­tà del­lo Sta­to: ul­ti­mo pas­so, è sta­to tol­to il ban­do del velo per le im­pie­ga­te pub­bli­che. Nel se­con­do pesa la for­te iden­ti­tà na­zio­na­le e re­li­gio­sa, con­si­de­ra­to che la cir­con­ci­sio­ne è un tra­di­zio­na­le ob­bli­go per gli ebrei. Se­con­do l’Or­ga­niz­za­zio­ne mon­dia­le del­la Sa­ni­tà cir­ca il 30% dei ma­schi so­pra i 15 anni ha su­bi­to la cir­con­ci­sio­ne, di cui 7 su 10 per­ché pro­ve­nien­ti da fa­mi­glie mu­sul­ma­ne.

Fi­nal­men­te ci si co­min­cia a ren­de­re con­to an­che a li­vel­lo in­ter­na­zio­na­le di come sia dif­fi­ci­le so­ste­ne­re allo stes­so tem­po che in­fi­bu­la­zio­ne ed escis­sio­ne di cui sono vit­ti­me le bam­bi­ne sia­no da con­dan­na­re, men­tre sul­la cir­con­ci­sio­ne dei ma­schiet­ti per fi­na­li­tà ri­tua­li si deb­ba chiu­de­re un oc­chio. Si con­ti­nua a dare per scon­ta­to che l’ap­par­te­nen­za re­li­gio­sa o et­ni­ca deb­ba­no es­se­re tra­man­da­te in fa­mi­glia an­che con pra­ti­che che mar­chia­no il cor­po del­le per­so­ne, cosa che è una pa­le­se ne­ga­zio­ne del­la li­ber­tà di scel­ta. Non a caso, con la se­co­la­riz­za­zio­ne non sono po­chi quel­li che oggi da adul­ti poi ri­fiu­ta­no la cir­con­ci­sio­ne, per ri­pri­sti­na­re il tes­su­to con pra­ti­che note come fo­re­skin re­sto­ra­tion.

L’ap­par­te­nen­za a una con­fes­sio­ne re­li­gio­sa deve es­se­re sem­pre una li­be­ra scel­ta con­sa­pe­vo­le, quin­di adul­ta o quan­to­me­no ado­le­scen­zia­le. Seb­be­ne non in­va­si­vo a li­vel­lo fi­si­co, an­che il bat­te­si­mo sui bam­bi­ni rap­pre­sen­ta un mar­chio (un “si­gil­lo in­de­le­bi­le” per la Chie­sa cat­to­li­ca) e una vio­la­zio­ne del­la li­ber­tà di scel­ta. Un mar­chio ri­co­no­sciu­to dal­lo Sta­to e con ef­fet­ti ci­vi­li, per­ché la sen­ten­za del­la cor­te d’ap­pel­lo di Fi­ren­ze sul caso dei “con­cu­bi­ni di Pra­to” non è mai sta­ta con­trad­det­ta. Con con­se­guen­ze pra­ti­che, come nei casi di cop­pie in cui uno dei due part­ner im­po­ne bat­te­si­mo, riti o edu­ca­zio­ne re­li­gio­sa ai fi­gli in di­sac­cor­do con l’al­tro, in cui la giu­ri­spru­den­za dà ra­gio­ne a chi è re­li­gio­so.

In una so­cie­tà sem­pre più plu­ra­le e glo­ba­liz­za­ta come la no­stra, il se­gno di un’ap­par­te­nen­za di­ven­ta mar­chio del­la dif­fe­ren­za, spes­so an­che del­la di­scri­mi­na­zio­ne e del­la con­trap­po­si­zio­ne ri­spet­to al re­sto del­la so­cie­tà, la chiu­su­ra in un ghet­to iden­ti­ta­rio. Con tut­ti gli stra­sci­chi a li­vel­lo per­so­na­le e i tur­ba­men­ti che pos­so­no con­se­guir­ne. Pur­trop­po, que­sta ap­par­te­nen­za vie­ne im­po­sta, ma­te­rial­men­te, an­che sul­la pel­le dei bam­bi­ni. Ma è ora di dare un ta­glio a que­ste pra­ti­che.

 

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