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Ici per la Chiesa è sparita: miracolo a Roma

Un paese riceve su un piatto d’argento la possibilità di incassare tra i quattro e i cinque miliardi di imposte non versate. È un paese da anni sotto la lente di ingrandimento della Commissione europea per il rischio di violare le regole di bilancio. Un paese costantemente alla ricerca di fondi per investimenti e per ripianare un deficit alle stelle. Cosa fa? Nulla.

Se il paese è l’Italia e l’organizzazione che deve pagare gli arretrati è la Chiesa un tale epilogo non stupisce più di tanto. Nessun governo, anche quelli che promettono di eliminare privilegi, ridurre il cuneo fiscale e in generale di fare il bene dei contribuenti italiani, ha mai intaccato l’aggravio sui conti pubblici causato dalla Chiesa, stimato in maniera dettagliata e tuttavia prudenziale in oltre sei miliardi l’anno nell’inchiesta icostidellachiesa.it. Figuriamoci un esecutivo che recupera in una volta sola quattro miliardi di arretrati Ici non versati.

Ricostruiamo brevemente la vicenda, che stavolta ha aspetti più paradossali del solito. Nel 2005 Berlusconi fa sì che alberghi, cliniche e altre proprietà ecclesiastiche non paghino l’Ici: bastava anche una piccola porzione della struttura dedicata al culto per esentarla per intero. Nel 2011 l’Imu prende il posto dell’Ici, e Mario Monti escogita un cavillo più sofisticato: l’esenzione – valida anche per le onlus, ma quante onlus possiedono alberghi, scuole o cliniche? – scatta se le tariffe praticate dalla struttura di proprietà ecclesiastica sono “simboliche”, o in ogni caso non superiori a certi parametri spesso di non facile determinazione. Un esempio? Per una scuola dell’infanzia fissare rette annue appena sotto i 6.000 euro garantisce l’esenzione Imu. Nel 2012 la Commissione Ue conclude un’inchiesta aperta due anni prima su segnalazione dei radicali Turco e Pontesilli: viene stabilito che l’esenzione Ici era sì un indebito aiuto di stato, ma che l’Italia può chiudere un occhio in quanto sarebbe troppo complicato calcolare il dovuto. La questione passa alla Corte di giustizia Ue che in prima istanza, nel 2016, conferma incredibilmente che quei miliardi non versati possono sul serio passare in cavalleria. Ma nel novembre 2018 la sentenza di primo grado viene ribaltata e si arriva finalmente a stabilire l’ovvio: gli arretrati Ici non versati tra il 2006 e il 2011 vanno pagati. Non ci sono più santi che tengano.

Ecco spiegato il piatto d’argento contenente una cifra superiore ai quattro miliardi di euro (la stima è dell’Anci). Arduo invece spiegare perché le istituzioni della Repubblica non fanno nulla per incassarli. I governi Conte non ci hanno neppure provato. Anzi, l’allora ministro Tria arrivò addirittura a sostenere che trattenere in acconto parte del gettito dell’otto per mille destinato ogni anno alla Chiesa cattolica – si badi, la quota aggiuntiva rispetto a quella derivante dalle esplicite scelte compiute in sede di dichiarazione dei redditi – sarebbe stato “lesivo delle scelte dei contribuenti”. Proprio così, lesivo di scelte non espresse. Ma se il governo semplicemente non agisce e, beffa oltre al danno, tale inerzia può causare all’Italia una procedura d’infrazione, c’è chi fa forse peggio, facendo lavorare per anni funzionari e società partecipate senza cavare un ragno dal buco. O meglio, senza incassare un euro da un malloppo di 200 milioni.

Ricorderete infatti che in campagna elettorale Virginia Raggi aveva promesso che, in caso di vittoria, avrebbe chiesto le tasse sugli immobili della Chiesa. “Incasseremo 200 milioni l’anno”, era il convincente slogan elettorale. Niente da fare, lo scorso 21 gennaio Il Messaggero ha dato notizia che l’esito di anni di lavoro da parte di pool di tecnici dell’Ufficio Bilancio di Roma Capitale e poi degli ispettori di Æqua Roma S.p.A., società che ha tra i propri obiettivi “attività di contrasto all’evasione ed elusione fiscale”, si concretizza in un nulla di fatto. Secondo quanto emerge dai dossier riservati del Campidoglio di cui è venuto in possesso Il Messaggero, sarebbe infatti troppo difficile fare il conteggio dei beni della Chiesa su cui far pagare sia gli arretrati Ici 2006-2011, come impone la Corte di giustizia europea, sia l’Imu dovuta per le strutture che non rispettano i parametri previsti per l’esenzione.

Una resa inaccettabile. Sarebbe come dire che la Guardia di finanza alza bandiera bianca nella lotta all’evasione fiscale, giustificandosi con il fatto che è dannatamente difficile individuare tutti gli evasori e tutte le forme di evasione. Certo che lo è, ma proprio per questo è importante andare a fondo, caso per caso, ordine religioso per ordine religioso. Da quanto trapelato sembra quasi che non si voglia muovere un passo, che si attenda all’infinito per fare un conto unico da presentare non si sa bene a chi. E nel frattempo non solo mancano fondi per investimenti di cui Roma ha urgente bisogno, ma c’è chi paga l’Imu sull’albergo o il bed&breakfast che possiede mentre la Chiesa, che di strutture ricettive ne ha a bizzeffe, continua a essere esonerata dal pagamento.

Di dati ne sono stati sicuramente raccolti se i tecnici hanno stimato che sono circa diecimila gli immobili su cui chiedere l’imposta e che gli enti non commerciali che svolgono attività alberghiera a Roma sono al 90% di proprietà della Chiesa cattolica. Cosa aspetta la giunta Raggi a smentire quanto riportato dal Messaggero, a rispettare le promesse elettorali e a far partire la prima cartella esattoriale indirizzata al più grande immobiliarista del mercato?

Roberto Grendene

Articolo pubblicato su Left del 7 febbraio 2020

Foto di Thomas B. da Pixabay 

Questo articolo è stato pubblicato qui

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