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 Home page > Attualità > Società > I venditori di pezze a colori

I venditori di pezze a colori

Da ragazzo, mi capitava sovente di vedere girare per le strade del mio paese - in groppa alla bicicletta oppure su rudimentali carretti, di solito stancamente trainati da un asinello - dei poveri ambulanti, i quali avevano la caratteristica di avvisare i residenti del loro passaggio, arringandoli con il grido «capiddri e pezze!».
Un richiamo effettuato semplicemente a viva voce, senza ombra di strumenti di amplificazione.
 
Tali «operatori» commerciali proponevano alla gente di ritirare i ciuffetti di lunghi capelli, frutto delle auto pettinature delle donne, che, man mano, venivano accuratamente custoditi dietro qualche sassolino dei muretti a secco attigui alle abitazioni, oppure stoffette, o frammenti non più utilizzati, di tessuti o indumenti di lana (prodotti che, attraverso intermediari, finivano con l’essere poi conferiti a fabbricanti di parrucche o ai cenciaioli della zona di Prato).
 
In contropartita, offrivano qualcosa, a scelta, fra pettini, pettinini, aghi, spagnolette di cotone, fermacapelli.

 
Non c’è che dire, magri, anzi magrissimi affari, nella formula più antica e primordiale del baratto. Eppure, nel contesto di un’indigenza assai diffusa, sebbene non proprio nera, l’utenza non mancava.
 
Al giorno d’oggi, segnato da un nuovo secolo e insieme da un nuovo millennio, pur con schemi radicalmente mutati, v’è sempre chi acquista e chi vende.
 
Si osserva, anzi, grazie fra l’altro al veicolo della promozione pubblicitaria (certamente non lo stesso sgangherato carretto degli ambulanti rievocato prima) o a robe similari, una grande proliferazione di venditori. E, fra essi, dei «venditori di pezze». E, per dirla con ancora maggiore precisione, dei «venditori di pezze a colori».
 
Tanto, da dover sempre tenere gli occhi ben aperti. 

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