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I quartetti per archi di Beethoven all’Auditorium "Lo Squero" dell’isola San Giorgio

Seconda puntata. 

C’è stata una modifica nella disposizione delle sedie (quelle da regista) nell’auditorium “lo Squero” della Fondazione Cini. Non più orizzontale, ma diagonale, in concomitanza con una pedana che ha alzato i musicisti rispetto al pubblico, consentendo una visione migliore. Chissà che si arrivi a cambiare anche le sedie per un maggior conforto e indipendenza: le sedie “regista”, tutte legate fra loro, hanno infatti un effetto “uno per tutti”, ossia il movimento di una persona è sentito da tutta la fila.

Per la seconda puntata dell’integrale dei quartetti per archi (17) di Beethoven è nuovamente accorso molto pubblico, anche se non si è raggiunto il tutto esaurito. Il Quartetto di Venezia ancora una volta ha dato il meglio di sé, ha soddisfatto i palati più esigenti, motivo per il quale merita di essere ricordata l’opinione di Bruno Giuranna, celebre violista milanese:”E’ un complesso che spicca con risalto nel pur vario e vasto panorama musicale europeo. La perfetta padronanza tecnica e la forza delle interpretazioni, caratterizzate dalla spinta verso un valore assoluto propria dei veri interpreti, pongono il Quartetto di Venezia ai vertici della categoria e fra i pochissimi degni di coprire il ruolo dei grandi Quartetti del passato”.

Il pomeriggio si è aperto con il secondo dei tre “quartetti Rasumovsky”, nei quali si riconosce la manifestazione più alta del cosiddetto secondo stile beethoveniano nell’ambito della musica da camera.

Ricchi di colore romantico, ma tradizionali nella forma, i quartetti Rasumovsky, 
secondo il libretto di sala redatto da Mauro Masiero, sono "un vero banco di prova per ogni musicista che vi si cimenti e furono composti fra il 1805 e il 1806. Il committente e dedicatario era l’ambasciatore russo a Vienna Andrea Kirillovich Rasumovsky (1751-1836), eccellente violinista dilettante e mecenate, che nel 1808 fondò un quartetto d’archi privato.Nel movimento finale di un quartetto di lunga durata (quaranta minuti), la viola introduce, in onore dell’ambasciatore, un frizzante tema russo che doveva essere molto popolare e conosciuto : se ne servirà anche Mussorgsky nella scena dell’incoronazione del suo Boris Godunov".

Il quinto quartetto dell’opera 18, in La maggiore, secondo quanto riporta il programma della serata ha in sé una grazia settecentesca che è servita come momento di distensione, dopo la frenetica cavalcata del finale del precedente. Dopo una pausa che ha concesso alla platea di ammirare la splendida vista, l’ensemble ha eseguito la “Grande Fuga”, opera 133, diciassette minuti di musica originalmente collocata come finale del quartetto opera 130. Opera tra le più estreme e visionarie mai concepite, è una doppia fuga in cui si susseguono diversi episodi. E’ richiesto uno sforzo trascendentale sia ai musicisti che agli ascoltatori, costantemente messi a dura prova. Si tratta di un ascolto massacrante, che investe con le sue sonorità graffianti e aspre di dissonanze, che nascono dall’urto di linee melodiche spezzate e sghembe. Un generoso applauso liberatorio si è diffuso lungo l’intero auditorium, meritato tributo alla bravura del Quartetto, che esibisce sempre un sorprendente amalgama sonoro.

La terza puntata, prima di una bimensile pausa estiva, è per sabato 25giugno, sempre alle 17. Si ascolteranno il “Quartetto in Mi bemolle maggiore, opera 74 Delle Arpe”; il “Quartetto in Do minore, opera 18, n°4”, l’unico dei sei dell’opera ad essere stato scritto in modo minore; il “Quartetto in Si bemolle maggiore, opera 130”, quello appunto da cui Beethoven scorporò la “Grande Fuga”.

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