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I destini incrociati di Sergio Mattarella e Giuseppe Conte

Il perenne divenire da un lato, la granitica continuità dall’altro; l’avvio della Terza Repubblica su un fronte, la continuità dello Stato e della Costituzione sull’altro; dichiarazioni continue e protagonismo mediatico per il primo, frasi mirate e silenzi eloquenti per il secondo. Giuseppe Conte e Sergio Mattarella sono per certi punti di vista figure politiche appartenenti a pianeti distanti, arrivati a entrare in rapporto e a gravitare l’uno intorno all’altro nell’evoluzione delle dinamiche sviluppatesi a partire dalle elezioni del 2018.

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Ovvero da quando il presidente della Repubblica conferì il mandato di formare il governo di coalizione tra Lega e Cinque Stelle all’oscuro docente di diritto dell’Università di Firenze e avvocato di origini foggiane. Passato di crisi in crisi, tra Luigi Di Maio, Matteo Salvini e Matteo Renzi, attraverso la pandemia di Covid-19 e il cambio delle coalizioni di governo e degli scenari globali a arrivare alla guida di Palazzo Chigi fino al 2021. E perennemente intento a confrontarsi con Mattarella, uomo della vecchia guardia democristiana, docente di diritto costituzionale, ex ministro della Difesa scelto dal Pd renziano nel 2015 per occupare il ruolo di capo dello Stato. Un ruolo interpretato anno dopo anno con un occhio attento alla pedagogia nazionale, all’unità del sistema-Paese e a un rigoroso rispetto del dettato costituzionale. Non un presidente “notaio”, ma nemmeno uno sfrenato “interventista”.

A un anno dall’elezione del nuovo capo dello Stato il teatro della politica romana ruota attorno a due figure tanto agli antipodi tra di loro quanto portate, per dedizione personale, carattere e contingenze politiche, a cercare un reciproco modus vivendi. La relazione tra il premier e l’inquilino del Quirinale è un vero e proprio racconto sulle istituzioni nei complessi anni che il Paese sta attraversando. E proprio “racconto sulle istituzioni” è il sottotitolo che si accompagna al saggio Conte e Mattarella – Sul palcoscenico e dietro le quinte del Quirinale, il più recente lavoro dell’accademico, editorialista ed ex deputato di Alleanza Nazionale Paolo Armaroli, edito dai tipi de “La Vela”.

Forte della capacità di analisi dell’uomo rodato dalla lunga conoscenza ed osservazione delle istituzioni e dello stile di scrittura incalzante, che fa apparire quasi romanzesca la narrazione delle vicissitudini e dei dibattiti politici, Armaroli traccia i ritratti “paralleli” della condotta di Conte e Mattarella negli anni di convivenza politica. Mostrando la transizione graduale di Conte da vicepremier dei suoi vicepremier (Luigi Di Maio e Matteo Salvini), fautore del “sovranismo in Costituzione” e figura politicamente marginale del primo esecutivo al baldanzoso protagonista dello showdown del 20 agosto 2019 contro Matteo Salvini in Senato che ha posto le fondamenta per la sua riconferma a Palazzo Chigi. E la susseguente centralizzazione e personalizzazione del suo ruolo durante la pandemia. Sviluppi affiancati alla radicale inamovibilità di Mattarella dai precetti morali, umani e politici che ne hanno contraddistinto il cursus honorum. “Più riservato di un flemmatico suddito di Sua Maestà”, nota Armaroli, “la sua arma segreta è soprattutto la moral suasion” verso gli attori della politica e non l’intervento diretto nell’agone politico. In cui, pur tirato per la giacca da più parti, disdegna di scendere se non per esercitare con forza le sue prerogative in occasione delle festività nazionali, delle occasioni solenni, dei momenti di più grave difficoltà per la patria.

Cresciuti a “pane e diritto”, posati e composti, appartenenti (Mattarella per storia, Conte più a parole) al campo del cattolicesimo democratico, Conte e Mattarella sono definiti da Armaroli, nonostante questi punti di contatto, come personalità profondamente diverse. Più Conte parla e appare, più Mattarella risponde con silenzi e attese. Pesa ogni parola, contrappone la presenza al presenzialismo. È anche una questione di stile quella narrata da Armaroli, che riesce con acuta capacità descrittiva e una tagliente ironia a tratteggiare la differenza tra i più navigati frequentatori delle istituzioni, appartenenti ai cavalli di razza della Prima Repubblica, e i “turisti” appena sbarcativi con le elezioni del 2018. Viva vox costitutionis, per dirla con Piero Calamandrei, quella del capo dello Stato, forte di una brevitas estremamente diversa dalla loquace e ciarliera vena dialogante di Conte. Per necessità, per convenienza, per abitudine i due hanno imparato a capirsi. Conte ha appreso di non poter cercare di portare sul suo terreno l’inquilino del Colle più alto della Repubblica (come quando, nel 2019, parlando in Puglia ne auspicò la rielezione), Mattarella ha gradualmente capito come prender le misure al premier sul tema della precisione dei testi giuridici, della bulimia comunicativa, del coinvolgimento delle opposizioni nella risposta alla pandemia. Il clima di assoluta fiducia che i due intendono far trasparire consente a Mattarella di spronare e rimbottare l’esecutivo quando necessario, di poter svolgere la sua funzione pedagogica di capo dello Stato parallelamente a quella di arbitro delle crisi politiche senza creare contraddizioni tra i due campi.

Nulla come la presente fase di incertezza conferma che quanto tratteggiato da Armaroli sui protagonisti sul teatro e dietro le quinte del Quirinale è in concreto attinente alla realtà. Prima e dopo la crisi aperta da Matteo Renzi sul governo Conte II il presidente della Repubblica ha rispettato l’autonomia di partiti e istituzioni, usando l’arma della moral suasion nei confronti dei “duellanti” e limitandosi a messaggi di invito alla coesione e alla responsabilità, come quello promosso durante i saluti di fine anno.

Mattarella ha più volte chiamato al confronto interno tra le forze di maggioranza; alla scelta delle priorità per la ripresa del Paese; a un’agenda capace di condividere anche con le opposizioni la scelta delle mosse future di indirizzo dell’attività politica; a un confronto capace di svolgersi nelle opportune sedi istituzionali. La dottrina presidenziale dell’ex esponente democristiano è oramai nota a Conte: assoluto rispetto delle prerogative parlamentari e partitiche nelle fasi di crisi, sfruttamento dei margini di autonomia e scrutinio a crisi o negoziazioni aperte, moral suasion sulla procedura di nomina dei ministri-chiave (Economia, Esteri, Difesa) per tutelare l’appartenenza di Roma al campo euro-atlantico. Una visione articolata e complessa cui, nel corso degli anni, il camaleontico e mutevole Conte si è plasticamente adattato, dal primo incontro al Quirinale nel maggio 2018 fino al processo aperto dalla rottura di Renzi col governo.

Perché come ben fa notare Armaroli Conte e Mattarella incarnano, in fin dei conti, due principi divergenti ma complementari: il primo la caducità dei cicli politici, delle figure che li animano, delle classi dirigenti partitiche, al punto tale da essere arrivato a Palazzo Chigi digiuno di ogni esperienza politica; il secondo, la granitica continuità dello Stato in ogni sua forma, la memoria collettiva della Repubblica, la Costituzione letterale e materiale del Paese. Un vero e proprio baluardo in tempi incerti, come più volte il Quirinale si è dimostrato anche durante la crisi pandemica. La grande lezione del libro di Armaroli è dunque un invito a pensare che non sempre al presenzialismo mediatico, al chiacchiericcio da social e alla visibilità conquistata corrispondono potere, rilevanza o capacità d’azione reale. Anche i silenzi parlano, in maniera molto spesso eloquente. E Sergio Mattarella col silenzio riesce a dialogare proficuamente.

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Foto: Wikimedia

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