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 Home page > Tempo Libero > Musica e Spettacoli > I Masnadieri di Giuseppe Verdi al Teatro la Fenice

I Masnadieri di Giuseppe Verdi al Teatro la Fenice

Al Teatro al Fenice di Venezia non si assisteva ad una recita de I Masnadieri da 164 anni, ma in occasione del bicentenario della nascita di Verdi, in coproduzione con la Fondazione Teatro S. Carlo di Napoli, questo titolo torna in cartellone.

I Masnadieri, opera scritta su commissione dell’Her Majesty’s Theatre di Londra debuttò alla presenza della Regina Vittoria il 22 Luglio 1847. Il cast era tutto di prim’ordine e la parte di Amalia, unico personaggio femminile, fu composta su misura per Jenny Lind, detta “l’usignolo svedese” per le qualità funamboliche della voce, e ammirata anche da Mendelssohn, Schumann, Berlioz e Chopin col quale le viene attribuito anche un legame amoroso.

Il melodramma tragico in quattro parti, tratto dalla tragedia “Die Rӓuber” di Friedrich Schiller, su libretto dell’aristocratico Andrea Maffei, è un dramma totale: degli affetti e del sociale, in cui non si salva nessuno.

È la storia di Carlo di Moor, il cui fratello Francesco sobilla il padre affinché venga ripudiato e diseredato, Carlo decide dunque di mettersi a capo di una banda di irriducibili: i masnadieri.

La produzione del Teatro la Fenice offre una profonda lettura del libretto, contestualizzata in epoca contemporanea, che porta con sé la rabbia e la solitudine di una generazione che trova nel “branco” forza e sostegno, ma il cui destino non può essere che tragico.

Il disagio viene denunciato nell’atmosfera buia, tetra in cui la sensazione di disfacimento viene resa efficacemente dalle scene di Alessandro Camera, i costumi di Andrea Viotti e le luci di Gabriele Lavia cui è affidata la regia.

L’orchestra esegue il preludio a sipario chiuso, chi assiste ascolta i colori tragici e malinconici del lungo assolo di violoncello (Alessandro Zanardi) osservando il pesante velluto verde ricamato, ma quando la scena si apre l’impatto visivo è molto forte ed ecco uno scenario gotico di natura postmoderna: fondale e quinte sono coperti di graffiti come e più delle strade delle periferie urbane malfamate e un enorme teschio risalta su tutto. La boscaglia è risolta con nudi pali conficcati nel palcoscenico il cui impiantito è semidistrutto e invaso di terra e fogliame e le cui assi si protendono spezzate fino al golfo mistico. La scena resterà tale per tutte le quattro parti. Il sapiente uso delle luci rende il tutto addirittura inquietante. Una scena ben aderente al carattere del libretto il cui lessico e contenuti esprimono una forte carica di cruda, drammatica scelleratezza che grazie ai sopratitoli (bilingui) dello Studio GR di Venezia vengono messi nel giusto rilievo.

Il tenore Andeka Gorratxategui nel ruolo di Carlo di Moor, possiede voce timbrata, ma non ancora le qualità drammatiche per esprimere le sfaccettature del suo personaggio, Artur Rucin҆ski, baritono, opera un gran lavoro di scavo e delinea con forza, con la sua voce estesa, calda e dal nobile fraseggio, i colori del personaggio di Francesco, governando anche egregiamente la motricità di uno storpio. L’Amalia di Maria Agresta ha una voce ricca, con buona pronuncia e mezze voci, ma la parte è forse troppo impervia per la sua vocalità. Giacomo Prestia è un Massimiliano con un’importante voce di vecchio e piace molto. Altrettanto interessante il Moser di Cristian Saitta.

Il coro è vocalmente compatto, sufficientemente canagliesco e ben preparato dal M° Claudio Marino Moretti, e malgrado la regia un po’ statica i coristi sono credibili nel fare i farabutti.

Il M° Daniele Rustioni, classe 1983, tiene insieme buca e palcoscenico, canta con i cantanti, piace a chi assiste e trova consensi sia in orchestra che nel cast offrendo un’interessante e notevole lettura di un’opera che ha visto nei secoli anche molti detrattori. 

L'altra sera, alla prima, rose dai palchi. Il pubblico ne ha decretato il successo.

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