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I Diritti Umani secondo i sauditi

Potrebbe essere comico, se non fosse tragico, che a pochi mesi dall’acquisto alla Commissione per i Diritti Umani dell’Onu della rappresentanza dell’Arabia saudita, nel regno saudita il 2016 è stato inaugurato con una esecuzione di gruppo di ogni qualsiasi voglia oppositore, accomunando i terroristi legati ad Al Qaida o al Daesh ai sostenitori dei diritti civili.

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Un’esecuzione che ha visto tra le vittime lo sceicco Nimr Baqir al-Nimr, leader della minoranza sciita. La “giustificazione” della condanna a morte di tutti questi sunniti radicali è perché sono ben più pericolosi per i regnanti hascemiti e perché silenziosamente presenti anche nelle strutture amministrative del governo saudita ,e ancorpiù per l’intolleranza di un clero wahabita poco propenso ad accettare spiragli d’indulgenza islamica.

La morte dello sceicco Nimr Baqir al-Nimr ha scatenato le proteste dell’Iran e, se mai possa essere possibile, acuire ulteriormente la rivalità tra i sunniti e gli sciiti per occupare una posizione egemonica nel mondo musulmano e nell’area medio orientale.

Il politologo francese ed esperto dell’Islam Gilles Kepel, nella video intervista https://www.youtube.com/watch?v=UDk4sWBTZ8I di Laurence Alexandrowicz per EuroNews http://it.euronews.com/2016/01/04/gilles-kepel-gli-usa-si-sono-chiamati-fuori-dai-giochi-in-medio-oriente/, aiuta a comprendere lo scenario della crisi fra Arabia Saudita e Iran.

Una crisi che i sauditi non intendono attenuare, anzi si prospetta un’acutizzazione, mettendo sotto processo quattro cittadini iraniani accusati di spionaggio, il tutto perché si sentono trascurati dal governo statunitense.

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I sauditi, mossi da gelosia per l’immaginario “feeling” sbocciato tra gli Stati uniti e l’Iran, accusano Teheran di essere da sempre capofila del terrorismo.

I sauditi non sentono solo la tensione provocata dal calo dei prezzi del petrolio, ma temono che Washington riveda i termini di alleanza, sentendo scricchiolare la loro posizione privilegiata nella politica regionale.

Gli iraniani e i sauditi sono le due facce dell’Islam, ma tragicamente accomunate nell’erogare con la stessa facilità la pena di morte.

È surreale il fatto che l’Iran condanni un’esecuzione in Arabia Saudita,: è come se il bue dicesse cornuto all’asino, come dimostrano le almeno 830 esecuzioni compiute in 11 mesi del 2015.

Sembra una gara a chi ammazza di più e i sauditi si preparano ad altre condanne a morte, non solo di persone condannate per atti di violenza, ma anche per reati d’opinione, come dimostra la presenza nella lista di Ali al-Nimr, il ventenne nipote dello sceicco sciita Nimr Baqir al-Nimr e del trentacinquenne poeta e artista, di origine palestinese, Ashraf Fayadh, del collettivo anglo-sauditi Edge of Arabia http://edgeofarabia.com/ oltre che curatore della mostra Rhizoma alla Biennale di Venezia http://edgeofarabia.com/exhibitions/rhizoma-generation-in-waiting, in attesa di essere decapitato, colpevole di apostasia e per propaganda laicista attraverso le sue poesie e senza aver mai potuto consultare un legale.

L’indignazione dell’Occidente è sempre alquanto formale, quasi sommessa, verso il gusto medioevale con il quale un “amico” come l’Arabia Saudita applica la giustizia.

 

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Qualcosa di più:

Diritti Umani: Chi vigila trasgredisce

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