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Ha senso parlare di bambini atei?

Alex e suo padre Ian scrivono per HumanistLife a proposito di ‘bambini atei’.

Secondo me, i bambini non dovrebbero pensare di dover avere la stessa religione dei genitori, se non gli va. Non ha alcun senso seguire le regole di una religione in cui non si crede. Una persona deve decidere di credere non solo in un dio, ma anche nelle regole associate a questa credenza.

Credo che un bambino non sia veramente religioso fino a quando non afferma di esserlo e ne sa abbastanza della religione che dice di seguire. A volte penso che i bambini della mia età a scuola sentono di dover appartenere a una religione. A volte dipende da dove sono nati o dal colore della loro pelle. Questo senso di appartenenza deriva dal fatto che vanno in luoghi di culto con la famiglia, non perché hanno riflettuto su queste cose.

Per ora io mi considero ateo, ma potrei cambiare idea. Diventando grande le mie idee potrebbero cambiare, ed è giusto così. Tuttavia non credo che il mio fratellino (che ha 5 anni) sia abbastanza grande per decidere sulla sua religione, perché ancora non ne sa abbastanza.

Alex (9 anni e ⅔)

humanistlife

Le recenti discussioni se un bambino venga al mondo senza una credenza religiosa — e non se un bambino nasca ‘ateo’, come è stato riportato in modo fuorviante — non sono discussioni nuove né originali. Come genitore, io direi che gli esseri umani vengono al mondo sostanzialmente creduli, ma che non nascono con una specifica fede religiosa. Credere ciecamente in ciò che ci viene detto dai genitori potrebbe comportare un netto vantaggio evolutivo, ma significa che forse non riflettiamo criticamente sulle cose che ci vengono insegnate.

Per quanto mi riguarda cerco il più possibile di non cadere in questo errore. Io mi considero per lo più ateo, certamente agnostico, e all’inizio ero molto attento a discutere di religione con i miei figli, inquadrando il discorso dicendo: "Alcune persone credono che…", anziché parlarne in termini di dati di fatto. Le cose si sono complicate quando ho scoperto che alcuni insegnanti presentavano le storie religiose come se si trattasse di eventi storici. Così, adesso, quando i nostri figli ci fanno delle domande, diciamo loro cosa pensiamo, assicurando sempre che in futuro potranno decidere con la propria testa.

Faccio notare che non sempre dico la cruda verità ai miei figli. Anche noi abbiamo raccontato le classiche storie da bambini, come Babbo Natale o la fatina dei denti. Abbiamo disquisito di porte girevoli azionate dai topi (il cigolio era il loro squittire), e delle mie cicatrici chirurgiche dovute a un duello a fil di spada, o all’attacco di uno squalo. O un duello di spada contro uno squalo. Però, una volta raggiunta l’età per formulare domande sulla religione, erano abbastanza grandi anche per sapere cosa riteniamo vero.

Agnostico, per me, è l’impostazione di default. È curioso che spesso non venga considerata la posizione neutrale, dato che le persone religiose sono in realtà esse stesse non credenti nei confronti di qualsiasi altra fede che non sia la loro. Le mie opinioni sulla libertà dei bambini di scegliere la propria fede dovrebbero esseri evidenti già dalla campagna che ho lanciato, “YAH4schools”. Credo che la libertà di religione sia di enorme importanza — motivo per cui penso che dovremmo mettere in discussione se abbia senso identificare un bambino con la fede dei genitori. Molto dipende, a mio avviso, da come concepiamo la fede, come qualcosa che si basa sui sentimenti oppure sul pensiero. Ma il punto in questione qui è se una giovane persona possa o debba essere considerata appartenente a una fede religiosa. Io non sono più giovane, così l’ho chiesto a qualcuno che invece lo è. E sono molto orgoglioso delle parole di mio figlio riportate sopra.

Ian (36 anni)
Ian Horsewell insegna Scienze e ha lanciato lo scorso aprile la campagna “Young Atheist’s Handbook for Schools“.

 

Traduzione del post No such thing as an atheist child?, da HumanistLife.

 
 
Questo articolo è stato pubblicato qui

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