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Guerra economica e interesse nazionale

Un altro punto di forza di Amazon è la sua presenza nel mon­do della distribuzione fisica (…) diverse indagini hanno sottolineato l’ abu­so di posizione dominante nei negoziati con i fornitori, l’uso di pratiche ai limiti della legalità nei confronti dei subappaltatori e l’evasione fiscale (…) Alla luce di queste brevi osservazioni non possiamo non do­mandarci se sia accettabile che un singolo attore privato possa esercitare questo potere in diverse contesti geografici e soprattut­to se sia legittimo, nel contesto di una più ampia riflessione sulla sovranità nazionale, che sia in grado di condizionare le strutture dei territori stessi, che si tratti di superfici commerciali, di logisti­ca o di reti di trasporto.”

di 

Con piacere ospitiamo questa recensione di Amedeo Maddaluno a “Guerra economica, cognitiva, dell’informazione. Lo stato dell’arte”, ultimo saggio di Giuseppe Gagliano edito da goWare.

Il Professor Giuseppe Gagliano è tra i più apprezzati contributori alle attività del nostro Osservatorio Globalizzazione e da ben prima è stato colui che ha introdotto da più vent’anni lo studio della dottrina francese della guerra e dell’intelligence economica nel nostro paese. Egli torna oggi su questo argomento curando un volume collettaneo che racchiude anni di studi sull’argomento dei quali il CESTUDEC, Centro di Studi Strategici Carlo De Cristoforis da lui presieduto è stato non solo – possiamo dirlo senza tema di smentita – il pioniere italiano ma soprattutto un originale sviluppatore.

Anni di ricerche sull’intelligence economica che – dopo gli spunti dell’ultimo decennio del XX Secolo provenienti (in Italia) da personalità del calibro di Francesco Cossiga, Paolo Savona e Carlo Jean – il CESTUDEC ha portato avanti (occorre sottolinearlo) con solitaria metodicità meritavano un’opera ambiziosa ma completa che facesse il punto della situazione. Giuseppe Gagliano raccoglie la sfida dividendo l’opera in tre parti.

Nella prima, i contributi di Arduino Paniccia, Sara Brzuszkiewicz e Rebecca Mieli, Esther Forlenza, Sara Cutrona e Laris Gaiser fanno il punto sulla teoria e la prassi della guerra economica, sulla guerra informativa e sull’intelligence, nonché sulle riflessioni che la Scuola di Guerra Economica francese (antesignana europea della materia) ha condotto in merito. Nella seconda parte Domenico Vecchioni, Michela Mercuri, Massimo Franchi e Carlo Jean allargano la focale introducendo lo studio del contesto geoeconomico e geopolitico, mentre nella terza parte è Giuseppe Gagliano in persona ad analizzare caso per caso i contesti fisico-politici della geoeconomica: Cina, Europa, Africa, America, Medio Oriente, unendoli a un capitolo finale di casi di studio sinteticamente e chiaramente esposti come nella filosofia dei testi del professore.

Tutto è già stato detto sul ritorno dello Stato, dell’interesse nazionale e della geopolitica nel caotico mondo post-guerra fredda e molto sulla “weaponization”, reductio ad armam, non solo dell’apparato economico, produttivo e tecnologico di una nazione ma anche della comunicazione, dell’informazione, della cultura e dei media; ancora però si stenta a comprendere come una presa di coscienza di merito e metodo non sia un lusso ma una necessità qualora si voglia che una nazione – o un’alleanza di nazioni come la UE -sopravviva.

L’opera in esame è dunque elemento imprescindibile non solo per la biblioteca dello studioso di scienze politiche e dell’analista strategico in quanto “stato dell’arte” della materia nel nostro paese, ma anche dell’economista, per il quale dovrebbe essere predisposto – ci si passi la battuta – come parte di un kit di emergenza culturale. Alla incapacità tipica del nostro paese di riconoscere e difendere il proprio interesse nazionale (ne parlo diffusamente nel capitolo sull’Italia del mio Geopolitica: storia di un’ideologia, sempre per GoWare, e ne ha parlato di recente il Dottor Aresu sui pixel di questo sito) si unisce la debolezza concettuale di tutti gli studiosi ed operatori economici europei, i quali, figli dell’economicismo liberale ancora prevalente nonostante quarant’anni di interazioni tra economia e altre discipline (storia, sociologia, psicologia e neuroscienze – scambi proficui e forieri di premi Nobel) proseguono ad ignorare nel quotidiano le interazioni tra economia e politica nell’essenza epistemologica delle materie, convinti che l’economia risponda a leggi proprie, “naturali”, così come il liberismo afferma e così come ancora si insegna nelle università. Se nei corsi di laurea si insegnano le leggi “naturali” del mercato, nei master che formano i manager del futuro si insegnano con toni agiografici e romantici i prodigi delle innovazioni tecnologiche inventati dai ragazzini nei garage californiani e le meravigliose sorti e progressive delle quotazioni e fusioni in borsa, trascurando in toto il sistema di governo sociale e politico e le interconnessioni con intelligence e strategia nazionale che hanno permesso il successo di quei modelli di sviluppo. Non c’è nulla di naturale nell’economia – o nel mercato: sono le istituzioni e le culture umane a fare la prima e a creare il secondo, come già autori del passato del calibro di Weber, Simmel, Polanyi avevano appurato (senza citare l’abusato Keynes). Solo quando il decisore politico e l’operatore culturale (il giornalista, l’accademico) avranno preso compiuta coscienza di questo potremo superare il paradigma liberista e iniziare, anche nel nostro paese (e nelle istituzioni europee, si veda il masochismo del caso Alstom-Siemens) a ragionare di guerra economica e di interesse nazionale: che siano i fautori di quest’ultimo a riuscire laddove la critica di sinistra al liberismo ha sistematicamente fallito nel corso degli ultimi decenni?

Non possiamo non concludere questa breve lettura del testo curato da Gagliano con un plauso per GoWare, piccola casa editrice che ha scelto di puntare tutto sulla qualità ritagliandosi in breve tempo un posto di riguardo nella nicchia degli studi strategici e ospitando selezionatissime opere come quella in esame con il fine di far dialogare tutte le discipline d’ambito (da quelle economiche e geopolitiche a quelle dell’intelligence). Se c’è qualcosa che il Novecento ci ha insegnato è che per rendere un pensiero patrimonio comune e parte di una “egemonia” non si può fare a meno di riviste e case editrici di qualità.

Questo articolo è stato pubblicato qui

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