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Guerra di religione? A proposito delle dichiarazioni di Papa Francesco | Vera guerra, vera fede

Gli ultimi papi ci hanno abituato a facili slogan in cui si alternano banalità e sciocchezze. Non fa eccezione la dichiarazione di Bergoglio all’indomani delle più recenti violenze islamiste in Europa: “Il mondo è in guerra perché ha perso la pace… Quando io parlo di guerra, parlo di guerra sul serio, non di guerra di religione, no. C’è guerra di interessi, c’è guerra per i soldi, c’è guerra per le risorse della natura, c’è guerra per il dominio dei popoli: questa è la guerra. Non è una guerra di religione. Tutte le religioni vogliono la pace. La guerra la vogliono gli altri. Capito?”.

Sì, capito. Chi non capisce che è meglio vivere in pace che in guerra? O che la guerra scoppia quando vien meno la pace? Sono affermazioni in grado di incontrare il facile consenso delle masse, peccato però che avrebbe potuto proferirle anche Max Catalano ai tempi di “Quelli della notte”. È invece completamente falso che le guerre di religione non esistano. Anche i meno scolarizzati ricorderanno che la stessa storia della Chiesa è costellata di guerre e massacri ai danni di pagani, eretici, musulmani, ebrei, protestanti, satanisti e miscredenti vari, veri o presunti.

Bergoglio non è nuovo a tesi economicistiche circa le presunte cause profonde delle guerre. Durante il viaggio a Nairobi aveva dichiarato che “L’esperienza dimostra che la violenza, il conflitto e il terrorismo si alimentano con la paura, la sfiducia e la disperazione, che nascono dalla povertà e dalla frustrazione”. L’esperienza propriamente detta, a cominciare dalle biografie di numerosi attentatori, ha invece dimostrato che natali e alimenti sono in genere ben diversi. A questo proposito Panebianco osservò che “tanti condividono, o sembrano condividere, l’argomentazione pseudo-sociologica (radicalmente sbagliata) secondo cui il terrorismo islamico sarebbe figlio del «degrado» e della «povertà»… è stupefacente che la pensino così anche diversi cattolici: se costoro, infatti, considerano il radicalismo islamico (che è comunque frutto di scelte religiose) un fatto «sovrastrutturale» in senso marxiano, dipendente cioè dalle condizioni «materiali», come fanno poi a non pensare la stessa cosa del proprio cattolicesimo, della propria scelta religiosa?”.

Pochi giorni fa Meghnagi incalzava: “Il terrorismo di matrice islamico-jihadista ha dei fondamenti perversi che si richiamano esplicitamente a categorie di natura teologica. E una ideologia che viene da lontano e che demonizza l’Occidente e la democrazia, e che identifica gli ebrei con il male. E una visione del mondo che attualizza, assolutizzandola, la polemica antiebraica presente in importanti Sure del Corano… L’aspetto paradossale di questo processo è che mentre in Europa si vive, almeno ufficialmente, come se il terrorismo jihadista non avesse alcuna valenza di natura religiosa, nel mondo arabo e islamico a nessuno verrebbe in mente di negarlo… Per un europeo di formazione laica è quasi impossibile pensare che per motivi religiosi ci si possa uccidere. Scoprire che non è più così, non in un paese lontano, ma nella vita di tutti i giorni, nel cuore delle nostre metropoli, è fonte di smarrimento. Da qui la tendenza a chiamare il problema con altri nomi più rassicuranti”.

Nessuno dei due autorevolissimi commentatori, pur così lucidi contro certo perbenismo ipocrita, menziona esplicitamente Bergoglio, forse per timore di toccare la suscettibilità di fedeli troppo permalosi. E in fondo uno dei problemi è proprio questo. Alcuni dei commentatori più devoti hanno invece cercato di giustificare variamente le ingenuità papali: occorre favorire il dialogo, evitare di esasperare gli animi, impedire che i cristiani si sentano chiamati in armi contro i musulmani.

Tuttavia tacere la verità e diffondere le menzogne, sia pure con le migliori intenzioni, non è mai un buon affare. Qui inoltre c’è evidentemente dell’altro. Assolvendo l’Islam si assolve retrospettivamente (e preventivamente) la propria religione: il vero cristianesimo è quello buono, se qualcosa di male si commette in nome del cristianesimo, allora non si tratta di autentico cristianesimo, checché ne possano dire gli studiosi. E pazienza se la nozione di bene muta nel tempo e se la Chiesa ogni volta fatica ad adeguarsi finendo, nei casi migliori almeno, per chiedere timidamente scusa, ma sempre con grave ritardo. La vera fede è comunque salva.

Certo infine che alla Chiesa sta a cuore anzitutto l’alleanza con l’islam, ma anche nella comune lotta contro la modernità, la libertà e la laicità. Stavolta in Francia è stato ucciso un sacerdote e ne è conseguito un invito a condividere il lutto rivolto ai musulmani. Quando invece fu sterminata la redazione di “Charlie Hebdo” Bergoglio fu molto più comprensivo nei confronti dei terroristi, se la cavò equiparando vignette e omicidi, edichiarando in modo sconcertante che chi “dice una parolaccia contro la mia mamma” deve aspettarsi un pugno “perché non si può provocare, insultare, ridicolizzare la fede degli altri”.

Più che altro non serve: le fedi si ridicolizzano benissimo da sole. Quel che non si vuol vedere è che proprio l’ambiguo e cieco richiamo alla fede, quella vera e indiscutibile, è sempre stato in grado di giustificare qualsiasi atto, anche e soprattutto in spregio ai più elementari valori di convivenza. E sempre lo sarà.

Andrea Atzeni

Questo articolo è stato pubblicato qui

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