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“Guerra all’Isis”, di Aldo Giannuli. Quali sono i piani di Daesh nel breve e lungo periodo?

Giovedì 17 marzo 2016, sarà in libreria il mio ultimo libro (Ed. Ponte alle Grazie) dedicato alla guerra all’Isis di cui do qui una anticipazione. Prima, però devo fare qualche precisazione, perché il titolo può trarre in inganno.

In primo luogo è scritto Isis ma, in realtà il riferimento è al concetto più ampio di Jihad, infatti, l’Isis in quanto tale può anche essere sconfitto e debellato, questo non significherebbe che la “guerra santa dell’Islam” sia finita: Daesh è solo una delle sue incarnazioni ed il problema politico (e militare) si riproporrebbe forse in termini anche peggiori dopo questa sconfitta. Anzi, la cosa potrebbe essere anche la trappola politica in cui l’Isis intende attirare l’Occidente.

Il punto è illustrato nel pezzo di anticipazione che qui segue. La scelta del termine Isis è dipesa dal bisogno di evitare un titolo troppo astratto come “Perché stiamo perdendo lo scontro con la Jihad” o “la guerra con l’islamismo” ma si sarebbe trattato di titoli di scarso impatto e suscettibili di suscitare equivoci.

In secondo luogo, tengo a precisare che la mia posizione è diversa tanto da quella dei fautori di un intervento di terra degli occidentali contro il Califfato, quanto da quella dei sostenitori del “lassez faire”. L’Isis è un pericolo per la pace mondiale, è un progetto imperiale a carattere schiavistico e rappresenta una orribile regressione storica, dunque va abbattuto, ma c’è modo e modo. Anche perché, come dicevamo, abbattuto il Califfato non per questo avremmo risolto il problema dello scontro con l’islamismo (si badi: islamismo, non islam). Il solo confronto militare non risolve nulla, quello che è mancato sin qui è stato il contrasto politico.

Se avrete la bontà di leggere il libro vedrete cosa propongo e potremo discuterne, come sempre. Se vorrete darmi una mano a far conoscere a persone interessate, ve ne sarò grato. …Buona lettura!

Aldo Giannuli

 

Anticipazione: Le “carte” dell’Isis: la strategia della “Fitna” e l’operazione “Daquib”.

Torniamo alla domanda centrale di questo libro: quali sono i piani dell’Isis nel breve e nel lungo periodo?
E’ molto difficile pensare che l’Isis pensi alla fondazione del super stato islamico come aggregazione intorno a sé, cioè assimilando brani di territorio via via strappati agli avversari, sino ad ingoiare Siria, Iraq, Libano, Giordania e, magari, stati minori della penisola arabica e, infine, Arabia Saudita, Quatar eccetera. Ci sono troppi ostacoli ancora su questa strada: le classi dirigenti nazionali arabe, per quanto divise e litigiose, difficilmente lo permetterebbero e le più forti di esse sarebbero in grado di battere anche ciascuna da sola l’esercito del Califfo.

Poi anche i vicini (Iran e Turchia) non è probabile che restino inerti a vedere la ascesa della super potenza arabo-sunnita. Infine, c’è sempre la possibilità di un intervento occidentale (magari insieme alla Russia) se Daesh dovesse diventare troppo preoccupante. Un processo paragonabile all’espansione del Regno di Sardegna non appare realistico, almeno a breve termine: l’Isis non ha nessuna Francia disposta a combattere a suo fianco e nessuna Inghilterra disposta a proteggere il suo “sbarco a Marsala” ed ha nemici molto più numerosi. Dunque, non è una strategia del ”carciofo” quella a cui stanno pensando. Certamente, sin quando gli sarà possibile mantenere il suo stato sovrano e, magari ingrandirlo con questo o quel territorio, lo farà, ma la carta principale della sua strategia è, piuttosto, un’altra: destabilizzare tutto il più possibile, per poi ridefinire i confini e rapporti di forza nel Medio Oriente, giungendo a quel momento con il migliore rapporto di forze possibile. Insomma: destabilizzare per stabilizzare, una cosa già sentita.
Se poi l’esito dovesse essere un grande stato che includa quello che c’è fra Suez e l’Eufrate, o solo una porzione o magari quello che alcuni già chiamano il “Sunnistan” (cioè la sommatoria dei territori sunniti di Iraq, Siria, Libano e Giordania privati dei territori di sciiti, alawuiti e curdi) tutto questo si vedrà e dipenderà dai rapporti di forza con cui il “Califfo” dovesse giungere al momento. Dopo si discuterebbe il da farsi in prospettiva.

Ma questo risultato presuppone:

-la delegittimazione e sgretolamento dei regimi nazionali attuali in quella area, attraverso movimenti di rivolta e defezioni di militari e pezzi di classi dirigenti nazionali
un’ Europa prostrata da una ondata di violenze interne tale da essere indotta a trattare a qualsiasi costo pur di domare il caos
una qualche intesa, quantomeno sotto forma di tolleranza di fatto, con gli Usa ai quali, peraltro, si potrebbe sempre offrire il fiancheggiamento in funzione antirussa
un qualche modus vivendi con i principali interlocutori di area ad esclusione dell’Iran e cioè con Turchia e, soprattutto, Arabia Saudita che è il problema nel problema: difficile pensare che possa essere battuta militarmente o che gli Usa, allo stato attuale delle alleanze, possano consentire che lo sia, e difficile anche pensare ad una insurrezione interna di cui, per quel che se ne sa, mancano i presupposti. D’altro canto, se sauditi e petromonarchi appoggiano ambiguamente Daesh è difficile che non ci sia una qualche intesa per il dopo. Forse

-la spartizione dell’area in due blocchi alleati: quello della penisola capeggiato da Ryiad (già sette-otto anni fa, si parlò di una moneta unica per i sei stati della penisola definita “Gulfo”) e quello di Daesh nella zona Suez-Eufrate.
Ma tutto questo è materia del dopo, in base agli sviluppi.
Per ora l’obiettivo è quello si conquistare il massimo di consensi nelle società arabe (in particolare quelle del “Sunnistan”) e destabilizzare l’Europa, scaricando su di essa la “Fitna”, il caos che storicamente gli islamici temono come il peggiore dei mali che possa investire l’Umma. E, come abbiamo visto, la cosa più auspicabile per l’Isis sarebbe una guerra civile fra europei ed immigrati islamici. Come si noterà, la strategia dell’Isis punta a colpire selettivamente l’Europa piuttosto che gli stati Uniti (ricordate la lettera appello di Abu Mussad?) e questo per diverse ragioni: perché è fisicamente più vicina e, pertanto, ospita numerosissime comunità di immigrati islamici, perché ha coste frastagliate e facilmente raggiungibili, perché ha servizi di intelligence frammentati e, pertanto, poco efficienti, perché è psicologicamente più vulnerabile, perché è dipendente dal petrolio mediorientale eccetera eccetera. Dunque è l’anello debole su cui picchiare.

In sintesi: la strategia della “Fitna” punta a rivolte nel Medio oriente e terrorismo e guerra civile in Europa. Ma, per funzionare, ha bisogno di un innesco e non bastano le punture di spillo. Bisogna spingere gli europei ad intervenire con truppe di terra contro Daesh. Molto probabilmente, Raqqua sarebbe conquistata dagli attaccanti, come anche i poszz di petrolio ed all’Isis non resterebbe che tornare alla guerriglia, ma tutto questo si accompagnerebbe ad una ondata senza precedenti di rivolte islamiche in Europa e in “Sunnistan”, perché ci sono sconfitte molto remunerative sul piano dell’immaginario. Gli israeliani celebrano ancora oggi il massacro di Masada che è del 66 dC, gli anabattisti ricordano il massacro di Munster del 1535 e, venendo a tempi più recenti, la Comune di Parigi fu il principale mito fondativo del movimento socialista europeo.

L’assedio del Califfato di Abu Bakr da parte di truppe “crociate” stimolerebbe rivolte e proteste islamiste un po’ dappertutto. E questa è l’”operazione Daquib” che, per funzionare, ha bisogno di due requisiti: che l’attacco sia di europei e non di altri islamici1 e che abbia carattere aperto e non coperto (come ad esempio con rivolte di falsi foreign fighter, sabotaggi e missioni dietro le linee, rivolte suscitate fra la popolazione locale ecc.). Ma, intanto, anche semplicemente durare fa il gioco dell’Isis perché contribuisce a far mettere radici. Se, alla fine, si stabilisse una sorta di situazione di fatto, per cui l’esistenza del Califfato fosse “digerita” in qualche modo dopo un lungo stallo, non sarebbe la strategia principale e la vittoria piena, ma la conquista di una posizione più favorevole da cui ripartire con l’assedio agli avversari in medio oriente ed in Europa.

Da quello che siamo andati dicendo sin qui si capisce che la maggiore abilità Al Baghdadi e i suoi uomini (ottimi allievi di Al Zarkawi) la hanno dimostrata nell’infilarsi nelle pieghe dell’inestricabile nodo mediorientale, giocando un attore contro l’altro, approfittando delle indecisioni americane, della contemporanea crisi ucraina, dell’inesistenza politica della Ue, utilizzando gli interessati e momentanei appoggi dal mondo sunnita, pur coscienti della loro strumentalità. E’ uno degli aspetti della grande duttilità tattica dell’Isis che, non a caso, abbiamo definito un soggetto anfibio, capace di metter piede sulla terra ferma del potere sovrano, ma di tornare, in ogni momento, ad inabissarsi nelle acque della clandestinità, e del quale abbiamo sottolineato le capacità di rapido adattamento alle mutevoli condizioni del combattimento. Una tattica spesso spregiudicata, come quando Al Zarkawi decise di attaccare gli sciiti, usando il secolare odio che li divide dai sunniti, per trasformare quella che rischiava di diventare una guerra nazionale (ed il principio nazionale è l’aspetto più combattuto dagli jihadisti sunniti) in guerra settaria e, perciò stesso, transnazionale.

E già in questo scorgiamo alcuni elementi che ci dicono della maestria con la quale l’Isis gioca sul piano della guerra psicologica: in tutto quello che abbiamo scritto, dalla scenografia delle esecuzioni, curata sin nei minimi particolari, al tempismo delle operazioni, all’uso dei simboli, gli uomini di Al Baghdadi hanno mostrato di padroneggiare le tecniche della manipolazione psicologica, come se avessero studiato a lungo le opere di Gustave Le Bon, di Serghej Ciacotin, oltre, ovviamente, che di Sigmund Freud.

L’Isis ha un grande vantaggio su chi lo combatte: è quello che ha capito meglio di tutti la guerra asimmetrica ed il suo cuore psicologico. Combattere sul piano convenzionale l’Isis sarebbe come fare lotta greco romana con un maestro judoka coperto di lubrificante.

Questo articolo è stato pubblicato qui

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